Entro il 30 giugno 2026 tutte le grandi società quotate nell’Unione europea dovranno avere il 40% tra gli amministratori non esecutivi e il 33% tra tutti gli amministratori occupati dal genere sottorappresentato, e quindi quello femminile solitamente assente. Dopo dieci anni dalla proposta della Commissione europea, il Parlamento europeo ha infatti dato il via libera definitivo alla direttiva sulla parità di genere nei consigli di amministrazione e le società, quindi, dovranno ora adottare delle misure per incrementare la presenza delle donne nelle posizioni apicali.
“Il soffitto di vetro che impediva alle donne di accedere alle posizioni di vertice nelle aziende è andato in frantumi. Questo è un momento davvero storico e commovente”, ha scritto su Twitter la presidente della Commissione Ue, Ursula Von Der Leyen. E insieme alla vicepresidente Jourová e al commissario Dalli hanno ha aggiunto: “Ci sono molte donne qualificate per i migliori lavori e con la nostra nuova legge europea faremo in modo che abbiano una reale possibilità di ottenerli”.
After 10 years since the @EU_Commission proposal, we will now have an EU law for gender equality on company boards.
The glass ceiling preventing women from accessing top positions in companies has been shattered.
This is a truly historic and moving moment. #WomenOnBoards
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) November 22, 2022
Ora che succede
Una volta pubblicata nella Gazzetta ufficiale, la direttiva entrerà in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione e gli Stati membri avranno due anni per recepire le sue disposizioni nel diritto nazionale. Dovranno, quindi, garantire che le aziende si sforzino di raggiungere l’obiettivo prefissato.
La misura non sarà applicata per sempre, ma ha una scadenza: il 31 dicembre 2038. Fino ad allora le aziende con una quota inferiore saranno tenute a fissare le nomine sulla base di un’analisi comparativa delle qualifiche dei candidati applicando criteri chiari, neutri rispetto al genere e univoci e per garantire che i candidati siano valutati oggettivamente in base ai loro meriti individuali, indipendentemente dal genere. Solo quando due candidati sono ugualmente qualificati la scelta dovrebbe essere fatta a favore del genere sottorappresentato.
Le aziende che non raggiungono l’obiettivo della direttiva dovono spiegare i motivi e le misure che stanno adottando per affrontare questa mancanza. Se gli obblighi non sono rispettati le società dovono essere sanzionate dagli Stati membri economicamente o con la revoca della nomina dell’amministratore contestato.
I paesi dell’Ue poi devono pubblicare, inoltre, informazioni sulle società che stanno raggiungendo gli obiettivi, facendo così pressione sulle altre per integrare l’applicazione.
Cosa cambia per l’Italia
Non molto, in verità. Nel nostro paese, infatti, la percentuale delle donne nei cda delle società quotate è già al 36%, molto vicina quindi alla percentuale suggerita dall’Ue. Questo è merito della legge Golfo-Mosca entrata in vigore dal 2011 che prevede infatti che il genere sottorappresentato sia almeno il 40 nei cda delle società quotate.
In 11 anni il nostro Paese ha potuto adeguarsi alla direttiva nazionale e a oggi possiamo dire che un cambiamento rivoluzionario per l’Italia c’è stato: la norma, infatti, ci ha permesso di passare da circa il 7% all’attuale percentuale di donne nei cda e che non sarebbe stato possibile senza le cosiddette “quote rosa”.
Per una volta l’Italia si trova quindi in cima alle classifiche. A livello globale solo il 18,7% delle poltrone nei cda sono occupate da donne. In Europa la situazione è leggermente migliore con il 30,6% dei membri donne nei cda, ma ci sono delle differenze significative tra gli Stati membri che vanno dal 45,3% in Francia all’8,5% a Cipro, come riporta Deloitte nel rapporto Women in the Boardroom: a global perspective, 2022.