Ottantotto milioni di dollari al giorno. Trentadue ogni anno. Tanto spende l’Italia per l’industria della difesa. Cifre spropositate? Forse. Ma è bene sapere che in graduatoria il nostro Paese occupa l’undicesima posizione. Primi, ovviamente, gli Stati Uniti: 801 miliardi di dollari in tutto. Che rappresentano il 2,2% del Pil globale: sono 5,8 miliardi ogni giorno. Segue la Cina (293 miliardi), e poi a seguire India, Regno Unito e Russia. Nel complesso, nel 2022 il mondo ha speso oltre 2.000 miliardi. In tutto, 5,8 miliardi di dollari al giorno.
I dati sono del centro studi di Mediobanca, in quella che è un’ampia panoramica sul business legato all’industria della difesa. E quindi, agli armamenti, tema diventato ancora di più d’attualità dopo l’ultimo via libera agli aiuti militari all’Ucraina da parte del governo. “Con l’invasione russa lo scenario mondiale è cambiato, accrescendo l’esigenza di sicurezza -spiega in una nota il Centrostudi-. Gli effetti di questa mutata percezione si riflettono nei bilanci delle multinazionali della Difesa considerate e nelle loro quotazioni in Borsa: nel 2022 gli investimenti sono cresciuti a una velocità più che tripla rispetto ai ricavi e i titoli azionari hanno realizzato i rendimenti più elevati”. Ma procediamo con ordine.
A quanto ammonta il valore degli aiuti militari italiani all’Ucraina
Più di un miliardo di euro. Tanto è il valore degli aiuti militari che l’Italia ha spedito all’Ucraina. Cinque pacchetti nel 2022. Il sesto è stato approvato a inizio anno. E un altro potrebbe subentrare a breve. Armi nuove. Mezzi pesanti zero, niente caccia né carri armati. La novità è rappresentata dai droni e dai missili di lunga gittata, in aggiunta a munizioni, sistemi di artiglieria semovente e radar. Non più soltanto armi di difesa dunque, ma anche di attacco.
Non è certo di primo piano il ruolo italiano nella fornitura delle armi all’Ucraina. Ma i numeri parlano chiaro. Il miliardo di euro fin qui speso, annunciato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani al Corriere della Sera, è destinato ad aumentare proprio con l’approvazione del settimo pacchetto. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in una recente intervista, ha rassicurato il fatto che l’Italia non stia spendendo nulla per comprare armi e mandarle a Kiev. Vero, ma non verissimo. Nel senso che se da una parte si tratta di armamenti già a disposizione delle forze armate italiane, dall’altra occorrerà ripristinare le scorte, come confermato anche da Guido Crosetto, e questo ovviamente avrà un costo.
Non solo. L’Ue ha stanziato finora 3,6 miliardi di euro per assistenza militare all’Ucraina attraverso il fondo denominato: “Strumento europeo per la pace” avviato da nel 2021, finanziato dagli Stati membri in base alla quota del loro reddito nazionale lordo. E l’Italia contribuisce per il 12,8%: in tutto sono 460 milioni. Insomma, checché se ne dica, ci siamo dentro fino al collo.
Armamenti, il giro d’affari nel mondo: primato agli Usa, sesta l’Italia
Del giro d’affari sulle armi, noi di Dealflower abbiamo già parlato qui, in occasione dell’ennesimo episodio di violenza negli Stati Uniti avvenuta la scorsa estate. Il mercato, come anticipato, vale più di 2 mila miliardi di dollari. Se la cifra può sembrare enorme, è bene sapere che si tratta di un dato in continua crescita. E quindi l’invasione russa in Ucraina c’entra, ma solo fino a un certo punto. Perché guardando alla decade 2011-2020, la spesa militare complessiva di tutti i Paesi del mondo ha registrato un aumento del +9,3%, secondo quanto riportato dal Sipri, che sta per Stockholm International Peace Research Institute. Dal 1950 è l’istituto che vigila su questo mercato.
Inoltre, nel quinquennio 2017-2021, la classifica dei maggiori esportatori di armi vede gli Stati Uniti al primo posto. Seguono Russia, Francia, Cina e Germania. L’Italia è sesta. Davanti a Regno Unito, Corea del Sud, Spagna e Israele. Ed è interessante aggiungere che i primi cinque Paesi in graduatoria assorbono il 77% di tutto l’export globale. L’Italia detiene il 3,1% della quota mondiale dell’export di armi. L’Egitto è storicamente il più legato a noi in questo senso. Ma nell’ultimo anno è il Qatar ad aver preso la palma del più grande partner del nostro Paese. Seguito da Turchia, Kuwait e Turkmenistan. Il nostro import arriva invece soprattutto dagli Stati Uniti. E, in piccola parte, da Germania, Israele e Francia.
Per fare un raffronto, il 38,6% dell’export è a stelle e strisce, in crescita (+6,4%) rispetto al lustro precedente. Durante l’ultimo arco di tempo, gli Stati Uniti hanno rifornito di armi più di 100 Paesi, primo fra tutti l’Arabia Saudita.
L’Italia e le armi
Per esportare armi e tecnologie militari in Italia serve un’autorizzazione governativa. Viene concessa solo se le armi vengono vendute a nazioni che non hanno attaccato o invaso altri Paesi, o a nazioni non sottoposte a embargo dalle organizzazioni internazionali. La vendita deve essere inoltre conforme alla politica di difesa dell’Italia e rispettare i principi costituzionali. L’ente che si occupa di controllare le vendite di armi e di concedere le licenze è il Ministero degli Esteri.
La conferma del fatto che la guerra in Ucraina non sia l’unico fattore a incidere sulla crescita degli armamenti e in generale dell’industria della difesa arriva dal Documento programmatico pluriennale della Difesa approvato nel 2021, dove lo stanziamento decennale previsto è di 2,7 miliardi di euro per la “costituzione, gestione e ripianamento delle scorte strategiche di munizionamento”, di cui 603 milioni di euro tra il 2022 e il 2024. Il 2021 è l’anno in cui il governo ha autorizzato l’esportazione e l’importazione di materiale bellico per un totale di 5,340 miliardi di euro (4,821 nel 2020): 4,661 miliardi in uscita (4,647 nel 2020) e 679 milioni in entrata (174 nel 2020).
Il 52% delle armi esportate dall’Italia è andato a Paesi membri della Nato o dell’Unione europea: è la prima volta dal 2015 che le esportazioni verso questi due gruppi di Paesi costituiscono la maggioranza delle vendite di armi. Nel 2018 la quota europea e della Nato aveva toccato un minimo, pari al 27 per cento. La metà delle armi destinate alla Nato e all’Ue è stata esportata verso sette Paesi: Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Norvegia, Turchia, Albania e Macedonia del Nord. Come richiesto
dalla Nato nel 2014, l’Italia sta gradualmente innalzando la propria spesa nella difesa con l’obiettivo di raggiungere la soglia del 2% del PIL entro il 2028.
Principali produttori: le italiane nella top 100
Nel 2022 il giro d’affari aggregato dei trenta gruppi mondiali con prevalente specializzazione nella Difesa è stato di 432 miliardi di euro. Il panorama è dominato dai player statunitensi con una quota del 74% del totale, seguiti dai gruppi europei con il 22% e da quelli asiatici con il 4%. Nel 2023 è atteso un ulteriore incremento dei ricavi del +6% sul 2022, per l’aumento dei budget nazionali in risposta alle crescenti tensioni geopolitiche. Gli Stati Uniti, con i loro 15 big, si aggiudicano il primato anche a livello numerico davanti alla Francia, distanziata con tre società; due gruppi ciascuno per Germania, Gran Bretagna, India e Italia che, con Fincantieri e Leonardo, conta per il 21% del giro d’affari europeo e per il 4,7% di quello mondiale.
I primi cinque posti per ricavi stimati generati dal comparto della Difesa sono occupati esclusivamente da gruppi statunitensi: Lockheed Martin con 57,5 miliardi di dollari, Raytheon Technologies (37,1 miliardi), Boeing (35,6 miliardi), Northrop Grumman (29,5 miliardi) e General Dynamics (25,9 miliardi). In ottava posizione si colloca Leonardo (12,2miliardi di euro) e in 23esima Fincantieri (2,4 miliardi). Entrambi i gruppi italiani si distinguono per un incremento dei ricavi superiore alla media: Fincantieri +8,1%, Leonardo con +4,1%. L’incidenza dei ricavi generati dalla Difesa nel 2022 è stata pari all’83% per Leonardo e al 32% per Fincantieri.
In rialzo a doppia cifra gli investimenti che sfiorano complessivamente i 12 miliardi di euro (+13,2% sul 2021) e salgono al 2,7% dei ricavi (dal 2,5% del 2021). Il podio per intensità di investimento vede in prima posizione la statunitense Bwt Technologies (8,9%). I gruppi italiani sono ben posizionati, a conferma della loro forza industriale: sesto posto per Fincantieri (4%) e 12esimo per Leonardo (3,3%). La capitalizzazione delle multinazionali della Difesa si attesta a 736 miliardi di euro a fine 2022, pari allo 0,8% del valore complessivo delle borse mondiali (0,5% a fine 2021).
Armi nucleari: chi le possiede
Ci sono circa 13.400 testate nucleari distribuite nel mondo. Una quarantina di ordigni nucleari sono detenuti in Italia, tra le basi di Aviano (Veneto) e Ghedi (Lombardia), dove sono state di recente ampliate le strutture per ospitare i nuovi caccia F35 in grado di trasportare nuove testate atomiche ancora più pericolose (le B61-12).