Alessandro Grimaldi, fondatore e amministratore delegato di Armònia, non ha dubbi: la realtà che ha contribuito a creare (insieme a Sigieri Diaz della Vittoria Pallavicini, Francesco Chiappetta, Luca Rovati e Fabrizio Di Amato) ha tutte le carte in regola per svolgere il ruolo di principale player di private equity focalizzato sul mercato italiano.
La società nasce facendo tesoro delle esperienze di Grimaldi come co-fondatore di Clessidra, con l’obiettivo di proporsi agli investitori e alle aziende target come un player autorevole e indipendente, con lo scopo di aiutarle a crescere anche al di fuori dei confini nazionali. Armònia ad oggi ha contribuito a creare tre leader italiani nei loro rispettivi settori: GSA (antincendio), Estendo (servizi post-vendita), Arrigoni (agrotessile).
Intanto, a rafforzare il progetto di Armònia c’è l’arrivo in squadra di Manuel Catalano come vicepresidente, che si unisce a Dario Cenci, anche lui ex di Clessidra.
E da qui partiamo con l’intervista a Grimaldi. Cosa significa, nel vostro percorso di crescita, l’ingresso di Catalano?
“Io e (Manuel) Catalano abbiamo lavorato insieme in Fininvest. Poi abbiamo fondato Clessidra nel 2003, insieme al compianto Claudio Sposito e Matteo Ricatti. Il fatto che lui sia con noi ci riempie d’orgoglio. Come senior advisor, vicepresidente e membro del cda, aiuterà molto la crescita del team.”.
Recentemente Armònia ha realizzato l’exit di Gruppo Servizi Associati (GSA). Un deal soddisfacente?
“E’ un investimento tipico del nostro approccio: da subito abbiamo impostato l’operazione prevedendo un reinvestimento dell’imprenditore nell’ordine del 30% del capitale, aiutandolo nel processo di crescita attraverso add-on, acquistando società in Italia e in Francia. Con l’imprenditore abbiamo costruito un gruppo che in tre anni ha triplicato l’ebitda e raggiunto un backlog di oltre 300 milioni. Abbiamo inoltre reinvestito una porzione del ricavato perché riteniamo che, nei prossimi tre anni, GSA crescerà ancora”.
Qual è l’attuale composizione del portafoglio di Armònia?
“Accantonando la porzione di GSA, ci sono quattro partecipazioni: Aspesi, Estendo, BioDue e Arrigoni. A parte Aspesi, sulle società investite abbiamo effettuato otto add-on. Cresciamo con l’impresa al fianco dell’imprenditore. È un meccanismo che funziona: apportiamo competenze e management, creiamo valore. Allineiamo gli interessi di tutti gli stakeholder“.
A che punto di maturazione sono le aziende in portafoglio?
“Penso che BioDue sarà pronta all’exit tra fine 2022 e inizio 2023. Abbiamo realizzato due ulteriori acquisti: Farcoderma e Pharcomed, potenziando ulteriormente la produzione per conto terzi e quella con marchi propri. Il timing della vendita dovrebbe essere lo stesso per Estendo, società operante nei servizi post-vendita per gli elettrodomestici (estensione di garanzia e assistenza). Prevedibilmente, dunque, nei prossimi due anni vedremo due processi di vendita”
Quanti investimenti prevedete di effettuare ancora con il primo fondo?
“Abbiamo raccolto 280 milioni, ma il mercato ci ha fatto capire che se avessimo avuto un fondo di 400 milioni non avremmo avuto problemi a investirlo. Da qui ai prossimi nove mesi effettueremo ancora due investimenti e almeno un add-on. Con Arrigoni stiamo guardando un’acquisizione in Spagna”.
Quali settori state analizzando con maggiore attenzione?
“Packaging, food, industriale tecnico e Itc. Abbiamo capienza per fare due deal in comparti in cui ancora non siamo presenti”.
Quando partirete con l’attività di pre-marketing del secondo fondo?
“Non appena terminato il plafond di investimento del primo fondo, partiremo con il secondo. Abbiamo un target ambizioso: tra 400 e 500 milioni. Cercheremo aziende più grandi, guardando alla trasformazione del sistema industriale dopo il Covid-19. Sicuramente manterremo una view importante sui servizi. E guarderemo con grande interesse alla sanità e alla logistica. Effettueremo sempre investimenti solo in Italia, per poi guardare ad add-on all’estero”.
Pensate di allargare l’orizzonte degli investitori con il secondo fondo?
“Il primo giro lo faremo con gli investitori del fondo I. Quindi contatteremo i soggetti italiani che non avevano potuto sottoscrivere in precedenza perché tecnicamente eravamo un first time fund. E, anche grazie alla performance del primo fondo e al rafforzamento del team, avremo accesso più facile a investitori esteri”.
Un’ultima domanda, Grimaldi. L’emergenza sanitaria ha cambiato le dinamiche nel dialogo fra private equity e imprenditori?
“Stiamo osservando che l’imprenditore è più disponibile a patrimonializzare quanto realizzato nell’azienda. Nel 2003 i fondi erano visti come locuste. Ora sono gli imprenditori a cercarci. Non c’è più la sacralità dell’azienda di famiglia. È cambiato il mondo. Resta il tema del pricing. Ma riteniamo che, a parte qualche caso, l’imprenditore non scelga chi offre di più, ma un partner con il quale fare un percorso, che ti lascia indipendenza, s’integra, non si sovrappone”.
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