Lo scorso 24 giugno la Corte suprema degli Stati Uniti, con sei voti a favore e tre contrari, ha cancellato la Roe v. Wade, sentenza che nel 1973 aveva affermato il diritto all’aborto come costituzionale. Ora saranno i singoli stati che compongono la federazione a poter scegliere se consentire o meno l’interruzione di gravidanza in modo totalmente discrezionale, anche in casi di stupro, incesto o pericolo di vita per la donna.
Come prevedibile, la sentenza ha suscitato rabbia e indignazione in tutte le parti del mondo non fosse altro perché ha cancellato, con un solo colpo, un diritto acquisito 50 anni fa e ormai dato erroneamente per scontato. È la rabbia che si prova di fronte a un’ingiustizia ed è la stessa rabbia che suscitano i pregiudizi, simili a ciechi manichini da crash test con i quali non si può fare altro che scontrarsi. Proprio un sentimento di rabbia – fra gli altri – si prova leggendo Lidia e le altre. Pari opportunità ieri e oggi: l’eredità di Lidia Poët, il libro scritto da Chiara Viale, partner dello studio A&A, edito da Guerini Next.
Il testo racconta in una prima parte la storia di Lidia Poët, la prima donna che a fine ‘800 intraprese la carriera di avvocata (su cui Netflix ha fatto una serie in uscita a ottobre) scontrandosi con i pregiudizi e l’ottusità dei colleghi dell’epoca. Dopo la laurea in Giurisprudenza e il praticantato, Lidia si iscrive all’Albo degli avvocati ma il Consiglio dell’Ordine le revoca l’iscrizione. Il motivo? Perché donna, in un tempo in cui le donne si occupavano “esclusivamente di trine all’ago e di budini di riso”. Inizia una battaglia legale per la parità che Lidia porterà avanti per anni con volontà d’animo, caparbietà ed elegante risolutezza, senza arrendersi ma anzi allargando la lotta ad altri diritti, come quelli dei detenuti. Una lezione importante in un periodo in cui anche quei diritti acquisiti da tempo sono messi in discussione.
Avvocata Viale, come è nata l’idea di raccontare la storia di Lidia Poët?
Dalla constatazione che la figura e la storia di Lidia erano conosciute troppo poco. Lidia ha avuto il coraggio di immaginare per se stessa un futuro diverso da quello normalmente attribuito alle donne e che non era nemmeno previsto. È una donna che alla fine dell’800 studia all’estero e impara le lingue, decide di diventare avvocato, si laurea e ottiene l’abilitazione. Incontra un Ordine lungimirante, quello di Torino, che l’abilita a livello professionale, ma il Consiglio dell’ordine annulla la decisione per dei pregiudizi verso la donna ma anche perché l’esercizio della professione era visto come anticamera della politica, e gli uomini non potevano consentire alle donne di avere potere. Così Lidia non può esercitare, ma negli anni successivi lavora come avvocato, scrive atti – che non può firmare – nello studio legale del fratello e nel frattempo gira l’Europa per portare avanti la battaglia dell’affermazione femminile ma anche per la tutela dei diritti dei detenuti. È una donna volitiva, coraggiosa, concreta e affascinante che non si sposerà mai. Una donna di relazioni, che frequenta salotti letterari, decisamente all’avanguardia.
Cosa c’è di attuale nella figura di Lidia Poët?
Lidia è un role model, un esempio di empowerment che è ancora di estrema attualità così come moderna è la sua difesa nel processo d’appello, quando afferma che solo le donne stessei possono decidere cosa fare o no della loro vita. Questo è un messaggio che vale ancora oggi soprattutto se consideriamo che esistono culture e popoli dove le donne non sono libere.
La storia di Lidia è anche quella di una professione che cambia. Oggi come è la situazione delle donne nell’avvocatura? È cambiato qualcosa a seguito della pandemia e quindi del cambiamento di approccio verso il lavoro?
Quello di avvocato è un lavoro totalizzante e questo può essere un problema per le donne in termini di bilanciamento con la vita privata ma non è l’unica ragione perché le professioniste sono penalizzate. Nel 2021 il Censis ha rilevato che finalmente si è raggiunta la parità numerica in termini di presenze tra uomini e donne ma quella reddituale è di là da venire: il reddito dell’uomo è solitamente il doppio di quello della donna. Come se non bastasse, nel 2022 questa parità non c’è più stata perché molte donne hanno rinunciato alla carriera per dedicarsi alla famiglia essendo stato difficile, proprio a causa della pandemia, conciliare il lavoro con gli obblighi di cura. Ciò che è necessario, e che stiamo portando avanti con Aslawomen, la sezione dedicata alle professioniste dell’Associazione Studi Legali Associati, è avviare programmi di flessibilità e soprattutto avere chiarezza e trasparenza nei percorsi di carriera, a partire da come vengono distribuiti gli incarichi che sono determinanti per la crescita professionale. Servono poi anche esempi positivi per le giovani che vogliono approcciarsi alla professione, come Lidia.