Finisce un’era. Quella del bazooka. Quella della pioggia di denaro della Banca Centrale Europea. Dopo 8 anni, a partire dal mese di luglio, i mercati dovranno tornare a cavarsela da soli. Nell’ultimo meeting, Christine Lagarde ha annunciato lo stop del quantitative easing, strumento di politica monetaria adottata dal presidente della Bce di allora, Mario Draghi, con cui dal 2014 diede il via a un acquisto massiccio e prolungato di titoli pubblici e privati, con l’obiettivo di sostenere l’economia dell’Eurozona, in ginocchio a causa della crisi del debito, Italia e Grecia in primis. Un obiettivo da raggiungere a qualunque costo. Da qui la famosa frase divenuta virale: “Whatever it takes”.

Christine Lagarde da colomba a falco

Oggi però la guerra e la pandemia hanno causato un’impennata dell’inflazione, ultimo aggiornamento +8% nell’area Euro, che invece ha come obiettivo prefissato dall’Eurotower il 2%. E così, la Bce smette i panni della politica dovish, tradotto: colomba, cioè accomodante, e adotta quelli più hawkish, falco, e quindi via libera alla politica restrittiva. In parole povere: l’unico modo per far scendere i prezzi è ridurre drasticamente la domanda. Una sorta di whatever it takes al contrario.

Come? Stop definitivo agli acquisti delle obbligazioni con la fine del cosiddetto programma Expanded Asset Purchase Programme (App) e conseguente aumento degli spread (non solo in Italia) e, da luglio, via libera al rialzo dei tassi: qualcosa che non accadeva da 11 anni. Si comincerà con un aumento soft: 25 punti base, che chiuderà un’altra, di era. Quella dei tassi a zero (grafico sopra) e negativi (al momento il tasso di deposito è a -0,50%).

La reazione del mercato

Il mercato? Non ha reagito bene. L’azionario del vecchio continente ha virato in rosso, Milano in primis con tanto di rottura al ribasso dei 24.000 punti: -1,8%, stesso passivo anche per Francoforte. Prevedibile anche il forte rialzo dei rendimenti dei titoli di stato: il bund aggiorna i massimi degli ultimi otto anni a +1,47%, il btp supera il 3,7% (grafico sopra) e si avvicina anch’esso a valori che non si vedono dal 2014 (anno in cui fu annunciato il bazooka). Anche lo spread ha superato nuovamente i 220 punti base. Una reazione irrequieta anche dovuta al fatto che la Bce non ha escluso un ulteriore aumento dei tassi a settembre di 50 punti base. Forte volatilità infine sull’euro. Che prima aggiorna i massimi del mese sul dollaro a 1,0777, poi vira negativo aggiornando a sua volta i minimi di giugno, a 1,0655 (grafico sotto).

Aggiornamento delle proiezioni: l’inflazione scenderà

Sorprende in qualche modo l’aggiornamento delle proiezioni in Eurozona di Pil e inflazione. I nuovi dati indicano un tasso di incremento dei prezzi annuo del 6,8% nel 2022, che si ridurrebbe al 3,5% nel 2023 e al 2,1% nel 2024, tutti valori superiori a quelli rilevati a marzo. Livelli superiori sono previsti anche per l’inflazione al netto dei beni energetici e alimentari, che si porterebbe in media al 3,3% nel 2022, al 2,8% nel 2023 e al 2,3% nel 2024. Proprio su queste proiezioni fanno storcere un po’ il naso agli analisti.

Il commento degli analisti

Secondo Saverio Berlinzani, analista ActivTrades, “non è chiaro sulla base di cosa l’inflazione debba scendere al 6,8% nel 2022. Il Pil nel primo trimestre è stato positivo, e se la domanda regge l’inflazione inevitabilmente sale, quando in realtà l’obiettivo della Bce dovrebbe essere proprio quella di ridurre il più possibile la domanda, anche al limite della recessione, per fare in modo che le materie prime scendano. Non è chiaro nemmeno il motivo per cui Christine Lagarde abbia detto di voler aspettare le proiezioni di settembre del 2024 per alzare eventualmente i tassi con più di 25 punti base. In sostanza significa che per fare politica monetaria nel 2022 si utilizzano proiezioni del 2024, invece di sfruttare proiezioni più o meno attuali, per non stare sempre dietro la curva dei tassi”.

Per Antonella Manganelli, ad e responsabile investimenti di Payden&Rygel Italia, un passaggio importante della conferenza del presidente della Bce è quello relativo alla frammentazione del continente: “Ovvero la differente situazione tra Europa periferica e centrale. Il mercato è preoccupato per la mancata rassicurazione sulla sostenibilità del debito per i Paesi dell’Europa periferica, rispetto alla quale il problema inflazione è sembrato essere prominente per la Banca Centrale. Così si spiega il notevole incremento dei rendimenti a scadenza dei governativi europei come reazione, con tanto di allargamento degli spread, ovvero dei differenziali tra governativi periferici e area centrale dell’Europa”.

D’accordo Fabio Castaldi, senior multi-asset investment manager di Pictet Asset Management: “L’assenza di una discussione concreta su un nuovo programma di sostegno che possa evitare quello che la Bce definisce rischio di frammentazione innervosisce gli investitori, che temono ora un ulteriore allargamento dello spread in un contesto macroeconomico in deterioramento, tassi al rialzo, una complicata manovra finanziaria in autunno ed elezioni generali nella primavera prossima. Ed ecco che il btp italiano subisce il danno più evidente, con un allargamento dello spread contro il bund tedesco ad un nuovo massimo di periodo a 215 punti base”.

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