Prossima fermata: spread a 200 punti. Sembrava impossibile da raggiungere con Mario Draghi al governo. Oggi il differenziale tra btp e bund ha toccato quota 186, un valore che non si vedeva da circa due anni, era giugno 2020. Periodo in cui a Palazzo Chigi si era insediato il Conte II. Negli ultimi dieci giorni lo spread è risalito di una ventina di punti partendo dai 160 raggiunti lo scorso 21 aprile. Ma non è finita. Citigroup, multinazionale Usa di banche d’investimento e società di servizi finanziari, ha stimato un possibile traguardo per lo spread italiano a 200 punti. Cioè esattamente laddove, con Mario Draghi a capo dell’esecutivo, sarebbe stato impossibile arrivare.

Grafico spread btp/bund by Tradingview
Raddoppiato il rendimento del Btp rispetto a un anno fa
Per la nona seduta consecutiva, il differenziale tra decennale italiano e quello tedesco è cresciuto. In particolare il btp ha raggiunto un rendimento del 2,8%, mai così alto da marzo 2020 mentre il bund si sta assestando in area 0,9%, dopo aver raggiunto e superato anche l’1%. Un anno fa, in Italia lo spread era in area 100 punti. Quindi ha sostanzialmente raddoppiato il suo valore mentre il suo omonimo tedesco addirittura offriva rendimenti negativi.
Dunque, addio effetto Draghi? In realtà il presidente del consiglio si è già espresso, circa un mese fa, sull’arrampicata dello spread. La spiegazione dell’ex capo della Bce era che il fenomeno non sta riguardando soltanto l’Italia: “Gli spread sono aumentati per molti Paesi in Europa, ma l’aumento di quello italiano è inferiore a quello degli altri”. Aggiungendo tuttavia che: “Questo non deve nascondere che partiamo da una base di spread molto più alta e da un volume di debito pubblico molto più alto. Ecco perché bisogna spendere bene, vigilare sui conti, vigilare sul debito”.
Grafico rendimento btp decennale by tradingeconomics.com
Spread verso quota 200: ecco come impatta l’inflazione
Oggi lo spread italiano è superiore a quello spagnolo, francese e portoghese. Ma inferiore a quello greco. La spiegazione c’è. Innanzitutto occorre partire da un concetto: se i rendimenti salgono significa che il valore dei titoli di stato sta scendendo. In questo periodo i bond sono oggetto di vendite in tutto il mondo. E i motivi sono molteplici. A partire dall’inflazione e il suo fortissimo rialzo. In Germania è al 7,4%, in Italia al 6,2%, negli Stati Uniti ha raggiunto l’8,5% ai massimi degli ultimi 41 anni. A vigilare sulla stabilità dei prezzi c’è un organo, rappresentato dalle banche centrali. La Fed e la Bank Of England hanno già avviato la loro politica monetaria restrittiva, programmando il rialzo più o meno graduale dei tassi d’interesse. Questa mossa porterà all’aumento del costo del denaro. A una minore liquidità in circolo e una conseguente minore propensione al rischio sia da parte degli investitori, sia da parte dei risparmiatori. Nella speranza che i prezzi tornino a scendere.
Segnali di recessione: giù il Pil
L’impennata dei prezzi al consumo era già molto forte prima dell’inizio della guerra. Con l’inizio del conflitto, le materie prime hanno subito un vero e proprio shock al rialzo. Una morsa che potrebbe condurre l’Europa in una fase di recessione. Gli indizi non mancano: il Pil della Francia è rimasto a zero nei primi tre mesi del 2022. Quello italiano è in contrazione dello 0,2%. La Germania resiste, come in realtà anche l’Eurozona, per entrambe le parti +0,2%. Che però, per quanto riguarda l’area euro, rappresenta la crescita minima dall’uscita dalla recessione l’anno scorso (e al di sotto delle aspettative).
Grafico Pil Italia 1° trimestre 2022 by tradingeconomics.com
Dollaro unico bene rifugio. Il resto arranca
Davanti a una crisi economica, l’atteggiamento più classico dei mercati è quella di tuffarsi nei beni rifugio: oro, dollaro, franco svizzero, yen e obbligazioni. Stavolta però non va così. La crisi attuale è diversa da tutte le altre del passato. Perché in nessun’altra crisi si erano sovrapposte una pandemia, un’inflazione galoppante e una guerra. Oggi per gli investitori esiste un solo riparo, almeno per il momento. E cioè il dollaro. Più del gold (da marzo si è indebolito dell’8%) o della valuta nipponica, svalutata direttamente dalla Bank of Japan attraverso acquisti massicci dei titoli di stato per evitare proprio il rialzo dei rendimenti. E i bond? Soffrono. Che cosa? Sempre lei: l’inflazione. Tradotto: costano troppo. I btp sono legati a un paese con un altissimo debito pubblico, non propriamente una collocazione ideale dove collocare i propri risparmi in tempi di recessione o anche solo di forte rallentamento della crescita.
Il ruolo della Bce: spread a rischio se alza i tassi
C’è un ulteriore fattore a complicare le cose. E cioè che anche la Bce entri in azione. Anche l’inflazione nell’Eurozona è salita ancora: +7,5% ad aprile e non è soltanto il dato più alto di sempre. Potrebbe indurre infatti l’Eurotower ad abbandonare la politica “attendista” protratta dalla presidente Christine Lagarde, per virare su un approccio più severo. Tradotto: la Bce potrebbe alzare i tassi prima del previsto. Potrebbe farlo già nel 2022, contrariamente a quanto comunicato in questi mesi. I rendimenti alti andrebbero a pesare sulle finanze pubbliche se protratti nel corso del tempo. I titoli di nuova emissione verrebbero piazzati sul mercato a condizioni meno vantaggiose -e con interessi più cospicui per chi li emette-.
Grafico inflazione Eurozona aprile by tradingeconomics.com
De Guindos: rischio spread elevati per i paesi periferici
Giovedì 28 aprile il vice presidente della Bce Luis de Guindos ha confermato che le aspettative sull’inflazione rispetto al target dell’Istituto centrale (2%) sono in aumento. Se così fosse, i costi di finanziamento dei Paesi della zona euro aumenteranno ancora. Un contesto che, come ha spiegato lo stesso De Guindos, sta creando rischi di spread elevati a partire dai paesi periferici e con il debito più alto. Ed ecco perché secondo Citi l’aumento dei tassi, con l’avvicinarsi della fine degli acquisti da parte della Bce, possono spingere lo spread Italia/Germania oltre quota 200 punti base nei prossimi mesi.
Da segnalare infine, in serata, il pronunciamento da parte di Dbrs Morningstar sul rating italiano, attualmente BBB con trend stabile. Secondo le stime degli analisti non dovrebbero esserci modifiche. Ad aprile nessuna agenzia ha modificato i propri giudizi sull’Italia. Dove, è bene ricordarlo, l’inflazione ha rallentato, crescendo del 6,2%, a fronte del 6,5% di marzo.