“Ceramiche Piemme compie sessant’anni, un traguardo importante – commenta Sergio Bondavalli (nella foto), amministratore delegato della società – che festeggiamo, come sempre, senza dare nulla per scontato e consapevoli che il miglior modo di guardare al futuro è abbracciare la complessità”.
È un uomo di numeri, Bondavalli, ma le parole che ricorrono più frequentemente in questa intervista sono ‘persone’, ‘passione’, ‘competenze’. L’amministratore delegato ha fatto il suo ingresso nell’impresa di famiglia nel 2018, dopo anni passati nel mondo della finanza e all’indomani di un importante rebranding dell’azienda. Fondata a Maranello (MO) nel 1962, Ceramiche Piemme è un’azienda specializzata nella produzione di pavimenti e rivestimenti ceramici. L’impianto produttivo di Solignano di Modena con forni a recupero di calore produce ogni anno oltre 7,5 milioni di mq di grès porcellanato, occupa 300 persone, esporta l’85 per cento dei prodotti e nel 2021 ha realizzato 83 milioni di fatturato. “Abbiamo l’ambizione di crescere mantenendo quelle che sono da sempre le nostre linee guida: vocazione all’innovazione, valorizzazione delle persone, passione, competenza – prosegue Bondavalli – che sono poi le leve differenzianti di Ceramiche Piemme sul mercato italiano ed estero”.
Che cosa significa in concreto ‘innovazione’ per Ceramiche Piemme?
Innovazione per noi è innanzitutto ricerca tecnologica. Oggi con Synchro Digit Piemme abbiamo dato vita a una vera e propria rivoluzione culturale nel settore non solo in Italia ma nel mondo. Si tratta di una tecnica di stampa digitale che rivoluziona il processo produttivo utilizzando in successione due tecnologie applicative. In pratica, grazie a software, la superficie strutturata delle piastrelle, per esempio le venature in rilievo, le increspature e tutti i possibili effetti tridimensionali e tattili, non si ottiene più dalla pressatura ma viene stampata digitalmente, in perfetto sincrono con la decorazione (effetto marmo, pietra, legno etc…). Siamo passati dalle piastrelle alle superfici materiche, ma sappiamo di operare in un settore dove il vantaggio competitivo deve essere conquistato quotidianamente sul campo e quindi la ricerca è costante. E questo vale anche per l’organizzazione dei processi produttivi, dove l’innovazione è altrettanto costante.
In questo momento storico, quanto incidono sull’azienda il caro energia e la difficoltà a reperire le materie prime?
L’aumento dei costi è un nervo scoperto, un fenomeno purtroppo in crescita ma viziato dalle speculazioni finanziarie che stanno accompagnando questa fase di ripresa.
L’energia soprattutto meriterebbe un capitolo a parte. Basti pensare, come ha ricordato il presidente di Confindustria Carlo Bonomi recentemente, che il costo per le imprese è passato in due anni da 8 a 37 miliardi di euro. Sono numeri che da soli danno il quadro dell’emergenza che dobbiamo fronteggiare e che certamente le aziende non possono risolvere da sole. In questo scenario si inserisce una transizione energetica ancora tutta da disegnare, fatta per ora più di buone intenzioni che di soluzioni da applicare sul campo. È il caso dell’idrogeno, che ha grandi potenzialità, certo, ma per ora non è ancora un’alternativa economicamente sostenibile al gas. Insomma, i nostri problemi richiedono programmazione e quella stessa capacità che stanno dimostrando le associazioni Industriali italiane muovendosi con le loro proposte in accordo con le sigle sindacali per costruire un percorso di transizione ecologica credibile.
Quali pensate dovrebbero essere le prime tre azioni da mettere in campo per affrontare la questione dell’approvvigionamento energetico?
Credo che sarebbe necessario un intervento immediato per affrontare l’emergenza dei mesi invernali. Subito dopo però bisognerebbe ragionare seriamente su una seria politica di approvvigionamento del gas che contempli possibilmente più soluzioni: una ripartenza delle estrazioni metanifere italiane, l’aumento della portata del TAP, una ripresa dei negoziati con tutti i paesi esportatori di gas, anche liquido (Algeria, Libia, Stati Uniti, Qatar…). Andrebbe poi rivisto sostanzialmente il meccanismo che regola le emissioni di CO2, depurandolo dalle speculazioni finanziarie che contribuiscono all’aumento dei prezzi.
Ceramiche Piemme ha affrontato in questi ultimi anni un importante rebranding dell’azienda, che ha richiesto scelte coraggiose…
Rebranding e organizzazione dei processi di Ceramiche Piemme sono andati di pari passo con l’obiettivo di essere sempre più competitivi e produttivi. Siamo stati tra i primi a intuire la necessità di comunicare il valore dei nostri prodotti Made in Italy e abbiamo capito che era arrivato il momento di cambiare. Soffiava un vento nuovo, che ci ha portati a intervenire sullo stile e a concentrarci sulle tendenze in corso, che abbiamo sposato. Abbiamo terminato alcune collaborazioni legate al luxury, e ci siamo focalizzati meno sull’apparire e più sull’essere con colori, texture e finiture sempre più naturali. La fase di ristrutturazione ha comportato alcune scelte legate all’analisi dei numeri, che bisogna saper leggere e che una azienda che funziona deve sempre tenere davanti. Le persone che hanno proseguito il proprio percorso con noi e i nuovi innesti altamente qualificati stanno facendo sempre meglio.
Quest’anno l’azienda taglia il traguardo dei sessant’anni: che cosa ha mantenuto delle origini e che cosa è cambiato nel tempo?
In sessant’anni sono cambiate tante cose in Ceramiche Piemme, in primis, abbiamo visto, le tecnologie di produzione, ma anche gli stili che caratterizzano i nostri prodotti e il modo in cui li raccontiamo al pubblico. Due pilastri sono rimasti immutati: la passione e la competenza che ci permettono ogni giorno di spingerci un po’ più in là per raggiungere nuovi traguardi. Credo che questo desiderio di non accontentarsi mai sia alla base del modello vincente che caratterizza i distretti industriali italiani, primo tra tutti quello della ceramica.
Dove immagina Ceramiche Piemme tra dieci anni?
Credo che Ceramiche Piemme sarà più forte e con una presenza ramificata sui mercati internazionali, ma senza mai perdere la sua anima tipicamente italiana. Sono certo, infine che la nostra sarà un’impresa sempre più sostenibile, in linea con gli obiettivi dell’agenda ONU 2030 che fanno parte del nostro piano industriale. Questo è il futuro che immaginiamo.