In Italia il factoring non è un’opzione popolare, nonostante un’azienda su tre è a rischio “infinanziabilità” a causa dei debiti accumulati con il sistema bancario per quasi 289,6 miliardi di euro e un valore di crediti inespressi verso i clienti per 240,1 miliardi. “Con il factoring gli imprenditori in difficoltà potrebbero ‘azzerare’ la propria esposizione con il sistema bancario cedendo i crediti verso i clienti, mentre le aziende ‘virtuose’ migliorerebbero ulteriormente il proprio profilo finanziario”, spiega a Dealflower Massimo Boccoli, founding partner di Hoshin Corporate Finance.

L’indice di valutazione delle imprese – usato dalle banche per decidere se queste sono meritevoli o no di liquidità – tende infatti a sovrastimare il loro livello di difficoltà, in quanto non tiene conto che una larga parte dei debiti finanziari verrà pagata con l’incasso dei crediti commerciali.. Cosa che non succederebbe con il factoring che le valuterebbe più per il portafoglio clienti, che per il bilancio. Nonostante i diversi benefici, però, in Italia questo strumento non è così usato e questo perché semplicemente non è molto conosciuto.

 

Massimo Boccoli

Che cosa è il factoring

Il factoring è uno strumento già storicamente utilizzato dalle grandi aziende più strutturate e consente a tutte le imprese, sia con rating positivi sia negativi (quindi “difficilmente finanziabili”), di avere liquidità, cedendo i crediti a una società specializzata. Si tratta, quindi, di una soluzione che permette agli imprenditori di ottenere liquidità immediata e potersi così finanziare a costi inferiori e indipendentemente dal loro rating, adatta quindi a tutte le imprese, sia con profili finanziari positivi, dove il factoring è comunque utile, sia negativi, dove invece è necessario. Ad essere valutati, infatti, sono i crediti dei clienti e non dell’impresa in sé come avviene invece normalmente attraverso il canale bancario con l’anticipo fattura.

Di solito, infatti, la banca guarda il bilancio dell’azienda, mentre le società di factoring il portafoglio clienti. Ma non solo. Il factoring, oltre a rivolgersi a ogni realtà, comporta anche costi minori, si pagano le commissioni e gli interessi solo se si utilizza la linea di credito e permette di abbassare i debiti con un miglioramento del rating.

Con il factoring la liquidità non arriva nella forma del debito, come invece accade con le banche ma nella forma di un prezzo di acquisto del credito. Altra differenza, nel factoring il rischio di credito è trasferito dall’azienda all’operatore  di factoring. “Se il cliente dell’azienda non paga, non è l’azienda che deve restituire il saldo – come succede invece in caso di debito  bancario -, ma è l’operatore di factoring ad occuparsene”, sottolinea il  founding partner.

In sintesi, oltre al fatto che non si fa debito, quindi si migliora il proprio indice, e si trasferisce il rischio di credito, “si risparmia anche un’elevata quantità di denaro in termine di oneri finanziari soprattutto per le aziende più in difficoltà”, aggiunge Boccoli.

Come sono valutate le aziende

Le aziende, se buone o no, sono valutate sulla base di un indice. Si tratta del rapporto tra posizione finanziaria netta, cioè il totale dei debiti rispetto al margine operativo lordo, e Ebitda. “L’indice misura quindi in quanti anni l’impresa sarebbe in grado di ripagare i propri debiti finanziari, nel caso essa utilizzasse, a tale scopo, solo i flussi derivanti dalla sua attività caratteristica, oltre all’attuale disponibilità di risorse liquide”, spiega Boccoli.

Più l’indice è alto – perché l’azienda è sovraindebitata o perché  guadagna molto poco -, più sono gli anni necessari per ripagare il  proprio debito. “La Banca centrale europea poi ha fissato dei limiti: un  credito verso un’impresa sarà buono se quell’impresa ha un rapporto non  superiore a 6. Al di sopra, infatti, l’azienda potrebbe avere difficoltà  a pagare i propri debiti e in quel caso le banche tendono ad attuare  politiche di rientro”.

Nella prassi di mercato in Italia è stata poi posta un’ulteriore soglia, per indicare se le imprese sono meritevoli di finanziamenti e no. “Se l’indice è più basso di 3, secondo il mercato italiano, allora le imprese sono meritevoli di ricevere dalle banche ulteriore liquidità. Se superiore al 3 li danno ancora, ma con più difficoltà”, sottolinea il founding partner di Hoshin Corporate Finance.

Questo metodo, però, tende a sovrastimare il grado di difficoltà di un’impresa. “Non è necessariamente vero che se un’azienda ha un indice elevato ciò significa che abbia un business in difficoltà, perché magari ripagherà i propri debiti incassando i crediti dei propri clienti – spiega Boccoli -. Non è opportuno, quindi, ridurre l’analisi di un’azienda solo a questo indice, bisognerebbe entrare nel merito di cosa sono i suoi debiti e come vengono pagati”.

Quante sono le imprese infinanziabili

Su un campione di 28.341 aziende italiane con un fatturato superiore a dieci milioni di euro, la società di consulenza finanziaria Hoshin Corporate Finance ha rilevato che ben il 33% delle aziende analizzate (9268) hanno un indice superiore a 3 nel 2020: hanno quindi un rating negativo e sono a rischio ‘infinanziabilità’. “Considerato che le imprese italiane sono 80mila, quelle escluse sono quelle sotto i 10milioni quindi microimprese”, sottolinea Boccoli.

Di questo 33%, l’11% ha indice compreso tra 3 e 6 e il 13% ha indice maggiore di 6. Quelle maggiormente in affanno con un Ebitda totalmente negativo (con indice che tende a infinito) sono poi aumentate del 48% dal 2019 al 2020, passando dal 6% al 9% sul totale delle imprese analizzate. “Secondo la normativa della Bce, quindi sono ben il 22% le aziende a rischio default”, spiega Boccoli.

La percentuale più alta di aziende infinanziabili si registra poi nelle attività dei servizi di alloggio e di ristorazione, pari al 54% sul totale del comparto. Seguono agricoltura, silvicoltura e pesca (47%) e sanità e assistenza sociale (46%). Dal punto di vista quantitativo, invece, il numero più alto di aziende critiche si registra nell’industria manifatturiera (13,1%), seguito dal commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli (10,3%).

Perché il factoring potrebbe cambiare le cose

Le imprese italiane, però, non sono così in difficoltà. Nonostante i quasi 289,6 miliardi di euro di debiti accumulati verso il sistema bancario – di cui quasi 153,3 miliardi a breve termine e quasi 136,3 miliardi a medio lungo termine -, che rendono difficilmente finanziabile la loro attività, “queste imprese vantano un capitale ‘positivo’ importante da poter sfruttare, pari a 240,1 miliardi di crediti verso i loro clienti”, sottolinea Boccoli. In altre parole, debiti verso le banche e crediti verso clienti quasi si equivalgono, e gli imprenditori, potendo contare sulle risorse dei crediti, avrebbero così nel complesso la soluzione teorica per ridurre consistentemente la propria esposizione con il sistema bancario e migliorare il proprio profilo finanziario.

“Questo significa che se le aziende, invece che indebitarsi con le banche, vendessero al factor, questo 33% di imprese in difficoltà si ridurrebbe al 13%. E in particolare quelle con un indice tra il 3 e il 6 si ridurrebbero dall’11 al 2%, ma anche quelle con indice superiore al 6 dal 13% al 2%, mentre quelle che con indice negativo rimarrebbero il 9%. Nel complesso, però, una situazione migliore rispetto ad ora”, sottolinea Boccoli.

La situazione in Italia

In Italia, solo il 7% delle aziende usa il factoring. Le motivazioni sono principalmente culturali. “Prima valutare un portafoglio clienti composto da migliaia di nominativi era un’attività laboriosa, ma con lo sviluppo di internet e di piattaforme di valutazione il salto è stato notevole – sottolinea Boccoli -. Oggi, con il factoring, per valutare se un portafoglio è buono o no basta mandare un excel e si ha subito il risultato”.

Le grandi aziende, interfacciandosi con l’estero – dove il factoring è l’unico strumento utilizzato – già da anni hanno abbandonato l’opzione del debito bancario. Così, però, non è ancora per la maggior parte delle aziende italiane, per lo lo più piccole e medie imprese. “Il factoring non è conosciuto, anche perché non c’è una cultura finanziaria ancora sufficientemente avanzata nel nostro Paese”, spiega il founding partner.

Gli italiani, però, sono sempre stati abituati ad andare in banca a chiedere aiuto e consiglio. Le grandi aziende, interfacciandosi con l’estero – dove il factoring è l’unico strumento utilizzato – già da anni hanno abbandonato l’opzione del debito bancaria. Così, però, non è ancora per la maggior parte delle imprese italiane, per lo lo più piccole e medie imprese. “Il factoring non è conosciuto, anche perché non c’è un’educazione finanziaria nel nostro Paese”, spiega il founding partner.

Negli ultimi anni comunque il numero di operatori di factoring è aumentato. “Ad oggi sono 30, di cui 13 nati negli ultimi sei anni. Allo stesso tempo, il numero delle banche si è ridotto, in seguito alle fusioni di diversi istituti”, aggiunge Boccoli.

A livello europeo, però, siamo ancora molto indietro. All’estero, infatti, il rapporto debito bancario e factoring è del tutto invertito rispetto all’Italia. Si usa quasi esclusivamente il factoring che dà solitamente finanziamenti a breve termine, mentre le banche quelli a medio termine”.

Lascia un commento

Articolo correlato