I vari report e outlook che come di consueto, a inizio di ogni anno, cercano di raccontare l’m&a e di prevedere cosa succederà nei prossimi mesi presentano tutti più o meno la stessa immagine, cioè quella di un mercato appeso, sospinto in basso da venti sfavorevoli e in alto da venti favorevoli.  I primi sono rappresentanti ad esempio da un più elevato costo del debito, da un gap più elevato tra domanda e offerta che potrebbe portare più imprenditori a tenersi l’azienda piuttosto di venderla; i secondi, al contrario, sono un’economia più florida del previsto – tanto che lo stesso Fondo monetario internazionale sembra aver scongiurato il pericolo recessione -, la grande quantità di dry powder ancora in mano ai fondi di private equity e la necessità, per le aziende, di ripensare il business da un lato vendendo asset non core e dall’altro rafforzando il portafoglio.

C’è però un altro elemento che potrebbe impattare positivamente e in maniera anche importante l’m&a, che è già nei radar dei vari general partners e consulenti, cioè il Piano nazionale ripresa e resilienza.

Come noto il Pnrr, o Recovery Plan, prevede lo stanziamento per l’Italia di oltre 190 miliardi di euro complessivi per investimenti a supporto del miglioramento di diversi settori strategici. Il punto è che questa mole non indifferente di risorse destinata – almeno sulla carta – a progetti di sviluppo inonderà settori spesso a elevata frammentazione. Proprio in questi due elementi sta il potenziale di consolidamento e/o investimento da parte di fondi di private equity.

Se vogliamo entrare nel dettaglio, il primo settore interessato è sicuramente quello infrastrutturale. Nel suo ultimo rapporto, Ey evidenziava che “la pipeline di operazioni programmate per il 2023 è rilevante nei vari sotto-settori, a partire da quello del trasporto passeggeri e senza escludere la logistica. In questi campi, le spinte al consolidamento saranno determinate, fra le altre cose, dalla necessità di adeguare i modelli operativi e dall’aumento del costo del personale, oltre che dalla frammentazione del mercato.

Poi c’è il settore delle Tlc, che vive un momento di consolidamento a livello internazionale. Nel 2022 il settore, scrive Ey, è stato caratterizzato dalla cessione di pacchetti di minoranza di
asset infrastrutturali e il trend dovrebbe rimanere anche nel 2023, con il comparto dei data center che si andrà ad aggiungere a quelli delle torri e delle reti a banda ultra larga. L’innovazione sulle infrastrutture sarà fra i principali beneficiari dei fondi disponibili nell’ambito del Pnrr, per il quale si stima un impatto al 2026 di circa 50 miliardi.

Non dimentichiamo il settore Technology e in particolare i segmenti dei servizi ICT e software, con un ruolo di crescente importanza da parte dei Digital Enablers (Cloud, CyberSecurity, Internet of Things, Artificial Intelligence). Anche qui, rileva Ey, l’elevata frammentazione del settore nel nostro Paese ha determinato una rilevante attività di investimento nel corso del 2022, con circa 157 operazioni e un volume investito superiore a 8,5 miliardi, di cui circa il 56% in capo ai fondi di private equity.

Ma i settori non finiscono qui. Di recente, ad esempio, il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha pubblicato nei tempi previsti la graduatoria definitiva del Pnrr per carta e cartone, da 130 milioni di euro per la realizzazione di 70 progetti. Insomma, il Pnrr, se correttamente realizzato, darà quell’impulso che mancava ai settori più frammentati – e paradossalmente più strategici – per crescere e quindi consolidarsi. Cogliere quest’opportunità sarà la sfida delle corporate e dei fondi per i prossimi anni.

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