Potrebbe essere questione di mesi affinché il ministero dell’Economia approvi la modifica all’articolo 14 del Decreto ministeriale n.30 del 2015, che regola i fondi di investimento alternativi (Fia) riservati. E si tratterebbe di una modifica molto importante, che potrebbe dare una spinta significativa al mercato degli investimenti alternativi in Italia. Parliamo di private equity, private debt e immobiliare, tre comparti la cui crescita è costante, se pur a più riprese.

Il private equity, per dare qualche cifra, ha chiuso  il 2020 con un dato aggregato di 253 operazioni monitorate e un deciso incremento del 14% rispetto alle 221 concluse nel 2019, stando al Private equity monitor dell’Università Liucc, mentre il private debt ha visto crescere lo scorso anno le operazioni del 62% a 410, distribuite su 320 aziende (dati Aifi). A tal proposito, Dealflower ne ha parlato anche con Luca Bucelli, Head of Italy di Tikehau Capital.

 

Il problema vero è però la raccolta: il private debt, ad esempio, ha segnato un calo del 24% a 293 milioni di euro rispetto ai 385 del 2019 mentre il mondo equity nel 2020 ha registrato un +64% a 2,6 miliardi, sempre secondo Aifi che include anche il venture capital e le infrastrutture. Il segnale è positivo, perché indica un crescente interesse verso il mondo degli alternativi, complice una liquidità abbondante sul mercato e la carenza di rendimenti interessanti. Tuttavia in Italia la raccolta non è né semplice né stabile nel tempo, manca sistematicità e un flusso definito e costruttivo. Ed è per questo che la modifica al Decreto può essere decisiva.

Nuovi investitori

A spiegare a Dealflower il perché sono Roberto Della Vecchia e Fabio Brunelli (nella foto da destra), soci dello Studio Legale e Tributario Di Tanno Associati. Per Della Vecchia, responsabile dell’area legale dello studio, “la modifica del Decreto si pone come un’iniziativa tangibile e immediata, che consentirebbe di ampliare notevolmente l’accesso all’industria del risparmio gestito, in una fase in cui alcune modifiche regolamentari sono già state introdotte ma molte altre sono ancora in corso di discussione a livello europeo. In pratica, la soglia minima d’ingresso per gli investimenti nei FIA da parte degli investitori non professionali, attualmente stabilita dal Decreto in 500mila euro, con la modifica dell’articolo 14 verrebbe abbassata a 100mila euro. Ciò renderebbe possibile, di fatto, una opportuna diversificazione del portafoglio di investimento nei confronti di tutta una platea di clienti private e non soltanto, come è già oggi, da parte dei cosiddetti UHNWI (ultra high net worth individuals ndr.)”. Parliamo di una platea di milionari che in Italia secondo Capgemini nel 2019 erano 298.500 persone, in aumento del 8,4% rispetto al 2018, per un totale di 581 miliardi di dollari di patrimonio.

Naturalmente “si tratta di investimenti rischiosi”, aggiunge l’avvocato, “ma sarebbe un errore pensare che un’apertura a una platea più ampia debba necessariamente portare a problematicità e abusi”, come purtroppo accaduto talvolta in passato. “Gli investitori spesso non comprendevano che si trattava di investimenti illiquidi e a lungo termine, ma oggi c’è molta più trasparenza, molta più cultura per gli investimenti. Il mercato oggi è completamente diverso: un tempo tutto era market driven, con la Mifid (Markets in Financial Instruments Directive, ndr.) si è passati prima a una logica di servizio e poi a una vera e propria product governance, le reti di vendita delle banche sono molto più preparate e professionali“. In ogni caso, precisa, “l’investimento sarà vincolato e, per ciò che riguarda gli investitori non professionali, non potrà eccedere il 10% del portafoglio e dovrà essere realizzato con il supporto di un consulente abilitato o nell’ambito di una gestione professionale”.

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La modifica italiana non è l’unica che potrà riguardare il mondo fondi alternativi. In sede comunitaria si sta infatti ragionando a una revisione della direttiva Mifid, la Mifid III, e delle direttive Aifmd, (Direttiva 2011/61/UE sui gestori di fondi di investimento alternativi) e Ucits (sui fondi di investimento destinati alla clientela retail).

“Il mercato – prosegue Della Vecchia – è molto vivo e al centro di una fase di cambiamento epocale, anche legata alla revisione global legal standards in funzione dei fattori ESG (Environmental, Social, Governance). La sfida per i regulators è di saper sburocratizzare, distinguendo le varie fattispecie e incentivando le buone iniziative dell’impresa”.

Da questo punto di vista, aggiunge Fabio Brunelli, “il legislatore ha messo al centro lo strumento dei Fia anche sul fronte fiscale, dove sono stati introdotti diversi incentivi, si pensi ad esempio ai fondi Pir che sono partiti molto bene sul mercato delle imprese quotate e oggi sono presenti anche in forma di Pir alternativi, che ci si aspetta portino dei risultati anche nell’ambito degli investimenti nelle imprese non quotate. Lo strumento FIA si rivolge anche al mondo istituzionale, come quello degli enti di previdenza e dei fondi pensione, che nel mercato statunitense sono stati tra i promotori della fase pioneristica del venture capital e sono tuttora tra i principali fornitori di capitali. In un sistema evoluto vi è la possibilità per questi soggetti di diversificare in modo opportuno il rischio di investimento ed è questa la direzione che dovrebbe intraprendere il mercato”.

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Professionalità

Tuttavia, osserva Brunelli, servono le giuste professionalità per far sì che questo mercato sia davvero in grado di decollare. “I fondi alternativi hanno assunto un ruolo centrale a livello di sistema: l’esigenza di aprire canali di supporto patrimoniale e finanziario alle imprese, unita a quella di trovare forme di remunerazione più attraenti per una platea di investitori privati, ha soffiato nelle vele di questi strumenti, che sono stati prima disciplinati a livello comunitario e poi sono entrati nel radar dei governi e degli organi legislativi, che hanno iniziato a valorizzarli per finalità di politica economica, principalmente per spingere il risparmio privato all’investimento nella cosiddetta economia reale”.

Per fare un esempio, basta guardare all’iniziativa del Mef con il Patrimonio Rilancio di Cassa depositi e prestiti: “L’uso di queste risorse verrà fatto anche sfruttando i Fia”, sottolinea Brunelli.

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Il tema alla base è “informare e proteggere quegli investitori che non sono avvezzi a questo tipo di rischio, ma bisogna anche fare in modo che questi capitali possano essere indirizzati alle imprese private, solitamente non quotate e quindi meno trasparenti a livello informativo, con le necessarie competenze professionali. Per fare buoni investimenti servono professionalità molto specifiche, che non si creano per decreto: per legge può disegnarsi la piattaforma normativa e su questo si stanno facendo passi avanti, se pur in modo non sempre coordinato; ma poi vanno sviluppate professionalità specifiche e questo può essere un fattore che spiega perché il nostro mercato, seppur in crescita, è al momento meno evoluto rispetto ad altri”, osserva.

Ciò che è importante è “creare un giusto collegamento tra l’apparato normativo a  protezione degli investitori, la presenza di operatori che abbiano la necessaria esperienza in questo segmento e il supporto pubblico”. A questo proposito Brunelli ricorda la recente proposta di Assonime, l’Associazione fra le società italiane per azioni, rivolta a favore di quelle imprese che rischiano di rimanere fuori dal radar del fondo Patrimonio Rilancio di Cdp. Si tratterebbe di uno strumento, secondo un modello già introdotto in Francia, per ricapitalizzare le imprese con fatturato da 2 milioni a 1,5 miliardi di euro. Il progetto, prevede l’emissione di strumenti partecipativi sottoscritti attraverso un intervento delle banche, che cederebbero poi il 90% dei prestiti subordinati a fondi chiusi alternativi, le cui quote sarebbero poi acquistate da investitori istituzionali, il cui investimento sarebbe in ultimo coperto da una garanzia pubblica al 30%.

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Sviluppo del mercato

Tutti questi elementi suggeriscono che per il mercato dei fondi alternativi qualcosa cambierà. Certo ci vorrà del tempo. Il mercato italiano sta già funzionando e anche bene ma non è paragonabile a quello anglosassone”, aggiunge Roberto Della Vecchia, “negli Usa il Securities Act è del 1933, da noi la prima normativa sull’intermediazione è arrivata nel 1991, abbiamo 60 anni di gap normativo originario. Inoltre il tessuto socioeconomico è articolato in modo molto diverso: quello Usa è fondato sulla finanza, il nostro è storicamente bancocentrico”. È chiaro che si tratta di realtà differenti, ma il meccanismo di osmosi è avviato da tempo e il confronto tra gli ordinamenti può offrire reciproci spunti di miglioramento.

Oltre al fintech e a tutti i nuovi strumenti di investimento che stanno nascendo – che, attenzione, “non può essere sinonimo di fuga dalla normativa” dice Della Vecchia – anche il mercato può svolgere una funzione positiva “in cui possono essere scambiati non solo i titoli delle imprese ma possono anche circolare le quote rappresentative dei fondi stessi”, sottolinea Brunelli, che cita il caso, l’unico, di Nb Aurora. Perché l’unico? Secondo Brunelli la ragione va trovata nel contesto. Un risultato come quello di Nb Aurora richiede lo sviluppo di molti elementi, come l’apertura a nuovi investitori o la predisposizione di veicoli di raccolta che si adattino particolarmente all’ipotesi di quotazione“. Di strada da fare, dunque ce n’è ancora molta.

 

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