Così come era successo alla morte di Leonardo Del Vecchio, ormai quasi un anno fa, anche adesso con la scomparsa di Silvio Berlusconi l’attenzione dei giornali è sul passaggio generazionale e sul futuro di Fininvest, la holding da 4,9 miliardi di patrimonio fondata dall’imprenditore e politico, e in particolare di Mediaforeurope (cioè Mediaset).
Le storie dei due imprenditori sono diverse ma i risultati simili. Entrambi sono stati in grado di creare colossi leader nel proprio settore ed entrambi hanno pensato in anticipo alla gestione del passaggio generazionale. Probabilmente per aziende così grandi è paradossalmente più facile gestire questa delicata fase della vita dell’impresa, se non fosse altro per il fior fiore di consulenti che vi gravitano attorno o per l’apertura culturale che la crescita dell’azienda e la quotazione dovrebbe portare. Tuttavia non era un passaggio scontato e soprattutto non era e non è così banale gestirlo bene. Per questo i casi Berlusconi e Del Vecchio ci possono suggerire alcuni elementi chiave sul passaggio di testimone in azienda dal fondatore a chi lo succederà.
In entrambi i casi, Berlusconi per Fininvest e Del Vecchio per Delfin – la holding che ingloba le partecipate tra le altre di EssilorLuxottica e Covivio, i due patron hanno messo in piedi un sistema di holding per dividere le quote dell’impero famigliare tra i vari eredi e mogli o compagne. La tempestività di pensare a un sistema simile quando ancora il capo è in carreggiata è fondamentale perché dividere la torta in fette precise e definite aiuta a ridurre la probabilità – almeno sulla carta – di dissidi all’interno della famiglia. Giocare d’anticipo è quindi importante e lo si può fare stabilendo regole chiare di gestione del rapporto famiglia-impresa e costruendo un’organizzazione societaria in grado di proteggere il patrimonio.
Una delle differenze tra Berlusconi da Del Vecchio è che quest’ultimo ha affidato l’azienda a un manager esterno, Francesco Milleri, mentre l’ex premier ha dato deleghe operative ai due figli maggiori, Marina e Pier Silvio, facendoli entrare nel gruppo fin da piccoli e insegnando loro il mestiere. Che un figlio o una figlia voglia o meno seguire le orme professionali del genitore è una scelta totalmente personale e legata a tante cose, a partire dall’indole. Non è una scelta che si può forzare ma solo eventualmente assecondare. Ciò che i due casi dimostrano è che è importante individuare, anche qui il prima possibile, uno o più successori e renderli partecipi e in misura crescente responsabili della vita dell’azienda, siano essi i figli biologici o figli professionali. (Parentesi: curioso il fatto che Berlusconi sia stato capace di farlo per la sua impresa ma non per il partito da lui fondato, chiusa parentesi).
Di aspetti ce ne sarebbero anche altri ma quello che in ultima istanza unisce tutti i puntini è la cultura d’impresa. Ogni azienda è portatrice di determinati “valori” intesi qui come il modo in cui essa si rapporta con il mondo esterno e i messaggi che vuole trasmettere. È su questi valori che di fatto l’azienda vive nel lungo periodo e oltre il bilancio. Riuscire a trasmettere a qualcuno questi valori significa continuità, cambia solo il come e il chi.