Lo scorso mercoledì 21 luglio Banca d’Italia ha presentato, in una conferenza dedicata, l’avvio dell’operatività di Milano Hub, il centro di innovazione dell’istituzione per sostenere l’evoluzione digitale del mercato finanziario italiano, annunciato a dicembre 2020. Il progetto si affianca al Canale Fintech della Banca d’Italia, spazio di dialogo con gli operatori, e alla Sandbox Regolamentare, dedicata ad attività di sperimentazione assistita dalle autorità di vigilanza.

In sostanza, l’hub si occuperà di valutare progetti presentati da startup, providers di intermediari bancari, finanziari e assicurativi vigilati; università e istituti di ricerca e di selezionarne dieci, i quali non riceveranno risorse economiche – Bankitalia non potrebbe erogarne – ma potranno avvalersi di una consulenza “in materia bancaria, finanziaria e assicurativa e in specifici ambiti di competenza (es. informatico, legale, etc.); approfondimenti regolamentari; organizzazione di seminari, eventi tematici, conferenze in cui siano presenti i proponenti dei progetti, Istituzioni e Accademia”.

Tutto molto bello e d’effetto, soprattutto a livello comunicativo. Ma entrando nel merito si possono individuare delle carenze che non sono altro che un riflesso del modo di fare all’italiana.

Premessa dovuta. Il fatto che un’istituzione come Banca d’Italia si interessi proattivamente all’evoluzione digitale della finanza – intesa in senso generale – non può che essere positivo. La vicedirettrice generale Alessandra Perrazzelli si sta spendendo in modo encomiabile sulla questione, partecipando a incontri, rilasciando dichiarazioni e in generale facendo sentire che Palazzo Koch c’è, e non vuole restare indietro.

E però, ci sono diversi però.

Uno di questi viene dalla risposta a una semplice domanda: cosa serve alle startup e a tutti gli attori del panorama tech finanziario/assicurativo per evolvere e crescere? Essenzialmente tre cose: risorse, incentivi e una chiara regolamentazione. In un commento su LinkedIn, Ignazio Rocco, fondatore di Credimi – fra le poche ex startup fintech di vera rilevanza nazionale e non – dice chiaramente che oltre alla sandbox regolamentare (uno spazio protetto dedicato alla sperimentazione digitale nei settori
bancario, finanziario e assicurativo), “sarebbe enormemente più utile una regolazione dedicata a intermediari e operatori piccoli e giovani, che diminuisca i costi (oggi stratosferici e immotivati) dell’innovazione e stimoli la concorrenza”. Rocco ha ricordato inoltre che l’Italia è un “paese che dei 10,4 miliardi di investimenti Fintech in Europa, rappresenta meno dell’1%”.

È chiaro che c’è molto lavoro da fare. E le energie di Bankitalia, più che essere usate per fungere da advisor e organizzatore di eventi di progetti specifici, dovrebbero incanalarsi nell’ascoltare il mercato e fornire agli organi costituzionali gli elementi per poterlo favorire. Di contribuire a creare, in buona sostanza, il terreno affinché il mercato, con le sue logiche, possa fiorire. E questo anche tramite una forte attività di education da cui non si può prescindere, svolta con tutta la forza che solo un’istituzione può avere.

Lavorare nel e per il sistema, dunque.

Già, il sistema. Notoriamente un grande assente in tante iniziative promosse e annunciate nel nostro Paese. In questo caso, è la segnalazione degli operatori del mercato, Bankitalia sembra non aver convolto nessuno di loro, nessun aggregatore, nessun incubatore e nemmeno un’associazione (ItaliaFintech, Assofintech e Italian Insurtech Association per citarne qualcuna), per ideare e lanciare il progetto. Allo stato attuale, non è stata annunciata alcuna collaborazione in tal senso. Eppure sono proprio questi soggetti che avrebbero potuto rispondere alla prima, semplice, domanda posta in precedenza: cosa serve al mercato fintech per crescere?

L’iniziativa di Bankitalia è una freccia lanciata nella giusta direzione che però rischia di non centrare l’obiettivo.

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