Di solito due indizi fanno una prova. In questo caso potremmo trovarci davanti a qualcosa di ancora più lampante. Perché non ci sono soltanto Svb e Credit Suisse. C’è anche Signature Bank per esempio, senza considerare il tracollo di Silvergate, oltre a un atteggiamento, quello delle borse europee, apparentemente da panic selling (qui il nostro top e flop della settimana a Piazza Affari).

Come si può allora non temere che il sistema bancario mondiale non sia a rischio, a quasi 15 anni dal tracollo del 2008? Il parallelismo vien quasi naturale. Crisi di liquidità e di solvibilità. Scarsità di credito alle imprese e di controlli. I mercati che sbandano. La recessione. E una politica monetaria delle banche centrali non condivisibile al 100%.

Prima domanda: il sistema bancario mondiale è a rischio?

Non è proprio così. Intanto non ci sono legami diretti con Lehman Brothers. E poi no: il sistema bancario non è rischio, almeno per il momento. Certo, è innegabile che il tempismo sia quasi perfetto: in meno di sette giorni due banche sono letteralmente crollate (a riguardo potete leggere qui il nostro editoriale). Silicon Valley Bank prima (a cui come detto è seguita Signature Bank). Credit Suisse poi. Diciotto mesi fa Svb valeva 44 miliardi di dollari e figurava tra le banche più cresciute dell’anno nella classifica della rivista Forbes: in pochi giorni si è trasformata nel peggior tracollo bancario di sempre negli Stati Uniti, dopo Washington Mutual, risalente proprio nel 2008.

L’istituto svizzero invece, tra i più antichi esistenti -anno di fondazione 1856-, sta pagando una serie di investimenti che definire sbagliati è poco (ve lo spieghiamo bene qui). Investimenti che risalgono a diversi anni fa, ma che si stanno manifestando prepotentemente proprio in questo periodo, per qualcuno dovuto a quell’effetto “contagio” che i mercati ancora oggi stanno pagando (questa settimana Piazza Affari ha perso oltre il 6%, questo significa più di un punto percentuale di ribasso a ogni seduta), in un clima di alta tensione e di diffidenza nei confronti delle banche.

Eppure i mercati hanno registrato forti ribassi. Come mai?

I ribassi causati da Svb sono stati quasi del tutto assorbiti nella seduta successiva. Il 5% di ribasso registrato da Piazza Affari tra mercoledì e venerdì è senz’altro un rosso importante. Ma svanisce davanti ai guadagni molto vicini al 40% che l’indice milanese ha registrato negli ultimi cinque mesi. Per molti analisti le borse sono cresciute oltre ogni aspettativa, soprattutto nel 2023.

“Sicuramente questo è un periodo in cui non può che prevalere la cautela -spiega Federico Rajola, direttore del Cetif, centro di ricerca sull’innovazione strategica organizzativa e digitale in materia bancaria e assicurativa dell’Università Cattolica-. Quindi questi ribassi sono fisiologici nonostante le autorità stiano cercando di garantire il fatto che è tutto sotto il loro controllo, per evitare lo scenario peggiore che è la corsa agli sportelli per ritirare liquidità”. Molto dipenderà da come verrà gestita la questione Credit Suisse, su cui il governo elvetico è già al lavoro con i manager della banca.

Federico Rajola, direttore del Cetif, centro di ricerca Università Cattolica

Dunque, cosa c’è dietro il collasso di Svb e Credit Suisse?

Sono episodi legati da un solo elemento: una gestione inadeguata del bilancio e in generale della banca. Per quanto riguarda Svb, il mix di fattori è composto dal rialzo accelerato e improvviso dei tassi e una crisi, quella del settore tech, che ha colpito in particolare le startup, industria a cui storicamente è rivolta Silicon Valley Bank. “Svb è stata fondata nel 1983, ha attraversato diverse crisi, quindi la malagestione non parte certo da lontano -spiega l’avvocato Paolo Bonolis, partner e responsabile del dipartimento di diritto bancario e finanziario di Cms-. Tuttavia il suo settore di appartenenza è di nicchia. E quindi non sistemica. Svb si era specializzata in un segmento di mercato inizialmente florido, ma che nel corso del tempo ha subito dei cambiamenti, anche piuttosto rapidi, a cui la banca non è stata in grado di adattarsi”.

Il resto è risaputo: “L’istituto californiano ha impiegato quasi tutta la propria liquidità in investimenti di obbligazioni specifiche, entrate in pancia a tassi bassi, il cui valore però si è ridotto drasticamente con l’intervento al rialzo delle banche centrali. In aggiunta, il mercato delle startup ha subito un forte rallentamento e il conseguente ritiro quasi nervoso dei depositi da parte degli investitori”.

Aggiunge Rajola: “L’istituto svizzero si è reso protagonista nei tempi più recenti di una serie di operazioni a dir poco spericolate, legate innanzitutto a una scarsa trasparenza. Greenshill e Archegos sono solo la punta dell’iceberg”. Gestione inadeguata dunque. Perdite importanti dovute a investimenti sbagliati. E, come accaduto anche per Svb, fuga dai depositi, a cui ha dovuto provvedere direttamente il governo svizzero.

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Paolo Bonolis, Head of Banking & Finance Cms Italy

Ma il rialzo dei tassi non dovevano essere un vantaggio per le banche?

Lo sono. Ma va osservato il contesto nel lungo periodo. Perché quando il rialzo risulta particolarmente rapido, la Fed ha alzato i tassi di ben 450 punti in meno di un anno, dopo quasi un decennio di easy money e di tassi vicini allo zero, il tutto stabilito dalle banche centrali come mossa riparatoria alla crisi del 2008, ecco che uno degli effetti è stata proprio la ricerca quasi forsennata di rendimenti.

Una liquidità talmente elevata da non sapere più neanche dove andare a investire. Poi però è subentrato l’aumento dell’inflazione, tra ripresa post covid e conflitto Russia-Ucraina. E dopo diversi mesi in cui le banche centrali hanno continuato a definirla come fenomeno temporaneo, è arrivata la svolta anche sulla politica monetaria: tassi alti dunque, e innalzamento perentorio del costo del debito. In poche parole, l’instabilità finanziaria in atto è finita in secondo piano a favore della stabilità monetaria.

Possibile non ci fossero segnali che facessero prevedere questa crisi?

In realtà le vulnerabilità del sistema a fronte di rialzi dei tassi improvvisi e veloci erano e sono ben conosciute. Ma queste vulnerabilità sono state lasciate “ribollire” sia della banche, sia dai loro regolatori. “E’ mancato il controllo della liquidità, questo sì -continua l’avvocato Bonolis-. Decisivo in questo senso l’intervento dell’ex presidente americano Donald Trump, il quale nel 2018 ha abbassato le soglie di attenzione nei confronti delle banche medio piccole. Da quel momento, il controllo non si è più reso necessario”.

Quindi quello che manca è una regolamentazione più severa?

Le leggi c’erano. Erano state introdotte dopo la crisi del 2008 con il nome di Dodd Frank Act. Imponeva controlli a tutte le banche ma, come detto, nel 2018 Donald Trump ha deciso di riservarli solo ai grandi istituti per agevolare il settore finanziario, ammorbidendo così regolamentazione e vigilanza. Prosegue l’avvocato Bonolis: “In Europa probabilmente una cosa del genere non sarebbe mai accaduta. Gli stress test valgono per tutte le banche, anche delle dimensioni di Svb e puntano soprattutto a monitorare la liquidità. Ragionevolmente oltreoceano si saranno resi conto che stringere un po’ le maglie sulla vigilanza, nel contesto attuale, sarebbe opportuno”.

Non solo. Aggiunge il professor Rajola: “Non dimentichiamo che Svb aveva in pancia soprattutto titoli di stato Usa, tra le obbligazioni più sicure che ci sono in circolazione. Il problema è che nessuno si è accorto per tempo che quelle obbligazioni, con il rialzo dei tassi, avevano perso quasi 100 miliardi di valore. E qui la regolamentazione c’entra fino a un certo punto”.

Dunque, con la legge post 2008 forse Svb non sarebbe crollata. Ma allora è vero che siamo tornati a quindici anni fa.

“Sono passati 15 anni da allora. Inevitabilmente le banche sono più solide rispetto al passato -continua il direttore del Cetif-. Quando fallì Lehman Brothers ci fu uno scarso coordinamento da parte degli organismi di controllo. Probabilmente il caso fu sottovalutato e il contagio su più settori a quel punto diventò inevitabile. Stavolta il contagio non solo non c’è stato, ma le autorità hanno reagito bene”.

Rajola prende come esempio quanto accaduto con la pandemia. “Se ricordate bene i primi mesi sono stati piuttosto caotici. I governi e la comunità scientifica non sono stati in grado di gestire la situazione, sottovalutando alcuni aspetti del contagio. E così non è rimasto altro che il lockdown. Con l’arrivo del vaccino, le cose sono migliorate. La reattività delle autorità è migliorata, così come la gestione delle mascherine. Allo stesso modo possiamo interpretare quanto accaduto all’epoca e quanto sta accadendo adesso”.

Aggiunge l’avvocato Bonolis: “Non solo il sistema ha reagito bene, al contrario del 2008. Ma la reazione è stata immediata. Hsbc ha comprato Svb nel Regno Unito, in questo modo anche la banca in Uk è tornata solvente e solvibile. Un altro esempio potrebbe essere quello di Chernobyl. Solo che al contrario del governo russo, che provò in tutti i modi a non far uscire la notizia, le autorità americane sono intervenute tempestivamente”.

La Banca centrale svizzera ha salvato Credit Suisse. Lo stesso hanno fatto Fed e Tesoro. Davvero è stata la scelta più giusta?

Verrebbe da dare una doppia risposta. Sì, perché come detto, nessuna banca è fallita. E soprattutto si è evitato un effetto domino. O peggio, un contagio diffuso sul sistema bancario americano. Dall’altra qualcuno dice: no. Non sarebbe dovuto andare così perché in questo modo si crea un rischio morale: le banche, d’ora in poi, saranno “incoraggiate” a essere meno responsabili. Risponde l’avvocato Bonolis: “Più che una questione morale andrebbe compreso che queste misure, e anche le tempistiche, non potranno essere replicabili per ogni istituto. Non sono in pochi a ritenere che la copertura di tutti i depositi da parte della Federal deposit insurance corporation (Fdic) sia stato eccessivo. Ma un intervento del genere non potrà certo essere sostenibile per le banche sistemiche”. 

C’è un’altra domanda a cui forse manca una risposta. E cioè: perché Svb sì e Silvergate no?

Si sa, le criptovalute non sono esattamente la tazza di tè delle banche centrali. Anzi. In più di un’occasione Fed e Bce hanno ribadito quanto sia poco sicuro investire in questi asset. Vien quasi facile dunque pensare che ci fossero molti meno interessi a salvare una banca specializzata proprio in crypto, che al contrario di Svb e Signature ha chiuso i battenti proprio in queste settimane: “Le criptovalute non sono fattori sistemici -è il commento di Paolo Bonolis-. Anzi, si tratta di un sistema che si autoregolamenta senza regolatore, semplicemente perché non esiste. E infatti le varie crisi, Silvergate ma anche Ftx, non hanno innescato l’effetto contagio. Anzi, per certi versi hanno ripulito il mercato delle cose che non andavano. Con l’entrata in vigore del Mica sicuramente anche le banche entreranno in maniera più convinta in questo mercato”.

C’è il rischio che una cosa del genere accada anche in Europa?

No. Il sistema Ue impone a tutte le banche una forte liquidità, che è garanzia di forza e solidità. Questo è previsto dalla regolamentazione della vigilanza bancaria stabilita dagli accordi di Basilea. Le linee guida in materie di requisiti patrimoniali delle banche, redatte dal Comitato di Basilea e costituito dagli enti regolatori del G10 più il Lussemburgo, hanno lo scopo di perseguire la stabilità monetaria e finanziaria. Dal 2013 sono state apportate le ultime modifiche proprio a seguito della crisi finanziaria del 2008. Questi criteri vengono applicate a tutte le banche, grandi e piccole, mentre negli Usa l’applicazione è parziale.

Conclude Rajola: “Proprio a fronte di queste enormi garanzie sulle banche europee, e anche italiane, la cui liquidità è addirittura ben oltre la media richiesta, vien da chidersi come mai non sono presenti nei loro obiettivi aziendali quello della crescita delle start up. Se guardiamo gli Usa, i loro ambiti di innovazione sono i migliori al mondo, ma anche i più aggressivi. E’ il loro background culturale, mica per niente i vaccini più efficaci sono quelli americani, non certo quelli cinesi o inglesi. Chi innova inevitabilmente è esposto a rischi maggiori. La nostra stabilità potrebbe consentirci di osare un po’ più del dovuto. Ma evidentemente siamo ancora ben lontani dal volerlo fare”.

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