Da un lato i numeri cominciano a raccontare un mercato in difficoltà, con il volume e il valore delle operazioni di m&a che nel primo trimestre di quest’anno scendono rispetto allo stesso periodo del 2021. Dall’altro però la pipeline è oggettivamente ancora ricca e alcune condizioni di mercato fanno sperare che il ritmo sostenuto lo scorso anno possa continuare anche nel 2022.

Fatto sta che al momento tutti i player dell’m&a stanno cercando di capire cosa succederà nei prossimi mesi, mettendo sulla bilancia la situazione post pandemica e la crisi in Ucraina – con tutto ciò che ne consegue – con gli aspetti positivi del mercato, come ad esempio “la costante grande liquidità in circolazione ma anche un mercato dei capitali che favorisce l’attività dei private equity”, spiega Stefano Bucci, partner di Gianni & Origoni (GOP), e uno degli avvocati d’affari più riconosciuti e attivi nell’industria del private equity (che sta seguendo fra gli altri Kkr nell’offerta su TIM, con FSI nell’operazione con ICCREA e nell’offerta pubblica su Cerved, e con KPS Capital Partners, nell’acquisizione di Siderforgerossi Group).

Non a caso se guardiamo ai primi due mesi del 2022 le operazioni di private equity, stando all’Osservatorio PEM della LIUC Business School, sono aumentate rispetto allo stesso periodo del 2021, da 45 a 52 deal. Come osserva l’avvocato, “il primo trimestre del 2022 è stato certamente di grande interesse e ha registrato una effervescenza in linea con l’anno precedente; ci aspettiamo in particolare una conferma delle grandi operazioni e una lieve diminuzione di quelle più piccole, in quanto queste potrebbero essere le più impattate dalla situazione avendo ad oggetto aziende di dimensioni più contenute”.

Bucci-- News dedicate alla finanza e al mondo legale – financial and legal news
Stefano Bucci

Pipeline di big deal

Diventa importante allora guardare i big deal annunciati più o meno ufficialmente per farci un’idea dei business che non risentono delle incertezze del momento. Accantonati i dossier Dainese, comprata da Carlyle, e Irca, acquisita da Advent, sul mercato delle mid e large cap sono diverse le operazioni ancora in corso. Fra queste figurano la vendita di Facile.it da parte di Eqt, affiancata da Goldman Sachs, Latham & Watkins,  Jamieson e Facchini Rossi Michelutti, un deal che se valutato 14-16 volte l’ebitda varrebbe intorno agli 800 milioni di euro, sulla base di un ebitda 2022 di 55 milioni. La web company avrebbe attirato l’interesse di fondi come Cinven, Bain Capital e Advent.

Da tenere d’occhio poi il mondo health. In questo settore va segnalata la vendita da parte di Intermediate Capital Group, affiancata da Bnp Paribas e Barclays, di Doc Generici, player del settore farmaceutico acquisito da Icg nel 2019 e valutato allora 1,1 miliardi di euro. Un processo competitivo è pronto a partire nei prossimi mesi e dovrebbe richiamare l’attenzione sia di fondi di private equity sia di player strategici e multinazionali del settore. Altri dossier sono quello di Bomi, gruppo della logistica di proprietà del fondo ArchiMed – affiancato nel deal da Morgan Stanley – che però stando a indiscrezioni non starebbe procedendo per una questione di prezzo, e Neopharmed Gentili. Quest’ultima è stata messa sul mercato a febbraio da Ardian – assistita da Goldman Sachs e Jefferies – e l’operazione potrebbe valere tra gli 1,35 -1,8 miliardi di euro sulla base di un ebitda 2021 di 90 milioni. Ardian avrebbe poi messo in vendita anche Dedalus, uno dei principali player internazionali nel settore del software ospedaliero e diagnostico, che nel 2021 ha generato un ebitda da 210 milioni di euro e ricavi per 750 milioni, per un valore che potrebbe aggirarsi sui 3,3 miliardi. Il fondo sarebbe affiancato nella vendita da Morgan Stanley e Ubs lato finanziario.

Operazione decisamente importante è anche quella di Fedrigoni. Archiviata sembra l’idea della quotazione, Bain Capital, che aveva acquisito la società cartiera nel 2017, avrebbe affidato un doppio incarico a Rothschild e Morgan Stanley per individuare un partner finanziario. Fedrigoni è fra i principali player a livello globale nella produzione di carte speciali ad alto valore aggiunto per packaging, editoria e grafica, e di etichette e materiali autoadesivi premium per svariati altri settori. L’operazione, secondo i rumors, potrebbe partire prima dell’estate e valere ben oltre il miliardo, considerando un fatturato di 1,6 miliardi registrato lo scorso anno dall’azienda guidata da Marco Nespolo e che non sarebbe stata particolarmente intaccata dalla crisi in Ucraina, nonostante il settore potrebbe aver risentito dell’aumento dei prezzi dell’energia.

Altro deal che è in procinto di partire è quello di Ceme, azienda attiva nel settore dei componenti per elettrodomestici e in capo a Investindustrial dal 2017, quando il gruppo fondato da Andrea Bonomi l’aveva comprata da Bahrein Investcorp per 285 milioni di euro. I rumors danno la partenza del processo di vendita della società a brevissimo.

Scendendo nel market cap, ci sono operazioni come Salice, azienda attiva nella produzione di sistemi di apertura per il mondo dell’arredamento la cui vendita è gestita da Equita K Finance e che avrebbe attirato l’interesse di fondi come Hig, Cobepa, Charme ma anche NB Renaissance, Carlyle, Investindustrial, Permira, Nextalia, e Intermediate Capital Group. Le offerte si aggirerebbero sui 520-560 milioni per un ebitda 2022 stimato in 60 milioni.

Agguerrita sembra poi essere la battaglia per la conquista dei piumini Save the Duck, messi in vendita da Progressio in un’asta gestita da Mediobanca e in partenza alla fine di aprile. Il fondo aveva rilevato la società nel 2018 e oggi l’azienda conta di realizzare nel 2022 un giro d’affari di 60 milioni di euro (contro i 48 milioni del 2021 e i 35,5 milioni del 2020). Sempre nella moda, recente è poi il rumor della vendita del 30% del gruppo calzaturiero Giuseppe Zanotti da parte di L Catterton, entrato otto anni fa, nel 2014.

Pro e contro

La pipeline è dunque ricca sia in termini di potential deals ma anche “quanto a varietà di valori di investimento”, commenta l’avvocato Bucci. E in generale il sentiment “è sicuramente positivo: veniamo da un 2021 da record per l’m&a e per il private equity in particolare, che è sempre più presente”. Inoltre, evidenzia l’avvocato, “con un equity capital market bloccato o in ogni caso fortemente rallentato, se alcune target prima guardavano alla Borsa, oggi queste difficilmente percorreranno realmente tale strada considerata da un lato la complessità di accedere alle  Ipo e dall’altro la difficoltà di competere con i valori offerti dal private equity”.

Nel complesso, evidenzia ancora Bucci, “restano cruciali i fondamentali dell’impresa: acquisire un’azienda che va bene, con una struttura solida, diversificazione internazionale o che opera in settori vincenti, sarà sempre un buon investimento anche se questo viene realizzato in un periodo potenzialmente problematico come quello in cui siamo ora”.

Nessun rischio rallentamento, allora? Qualcosa potrebbe succedere se si dovesse bloccare del tutto il debito. “Al momento il comparto dei bond high yield è rallentato, se non fermo, ed è di difficile utilizzazione da parte dei private equity come fonte di finanziamento per le acquisizioni se non a prezzi elevati e solo in relazioni a operazioni aventi ad oggetto target aventi i fondamentali di cui ricordavo sopra”. Qualcuno però prima o poi ripartirà e chi lo farà “dovrà farlo consapevole che ci saranno prezzi più alti. Per ovviare a tale situazione, oggi si registra un deciso aumento dell’utilizzo di forme di finanziamento alternative come il private debt / unitranche”.

Lascia un commento

Articolo correlato