Una miniera d’oro chiamata investitori istituzionali. L’ottavo report annuale del centro studi e ricerche di Itinerari Previdenziali “Investitori istituzionali italiani: iscritti, risorse e gestori per l’anno 2020” punta un faro sul patrimonio in mano a fondi pensione, casse privatizzate e fondazioni di origine bancaria, che l’anno scorso ha raggiunto quota 269,84 miliardi di euro, in crescita rispetto ai 260,68 miliardi del 2019.
Rispetto al 2007, quando era attestato a 142,85 miliardi, il patrimonio degli investitori istituzionali è aumentato dell’88,9%. E ha raggiunto un valore pari al 16,3% del Pil italiano, 1,7 punti in più rispetto al 2019. “Se a questo dato aggiungiamo anche il patrimonio del welfare privato (compagnie di assicurazione del settore vita, rami 1, 4 e 6, prevalentemente di natura previdenziale, fondi aperti e Pip)”, si legge nel report, il rapporto fra patrimonio degli investitori e Pil arriva al 57,75%.
Stiamo parlando di 953,81 miliardi (erano 917,36 nel 2020). Una potenza di fuoco formidabile, in grado di muovere – senza tenere conto della leva – oltre metà del Pil a supporto dell’economia reale.
La previdenza complementare latita
I fondi pensione italiani hanno in pancia 176 miliardi, un dato che riflette il ritardo storico del nostro Paese sulla previdenza complementare. Il solo fondo pensione governativo norvegese gestisce 850 miliardi. Siamo lontani anni luce dalla capienza dei fondi pensione degli Stati Uniti (27.549 miliardi di dollari). Ma il distacco è notevole anche rispetto a Gran Bretagna (2.809 miliardi), Canada (2.524 miliardi), Australia (1.921 miliardi) e Olanda (1.536 miliardi). E ci precedono persino Brasile (449 miliardi), Sudafrica (302,97 miliardi) e Cina (215,5 miliardi).
A fine 2020, secondo Itinerari Previdenziali, erano attivi 365 investitori istituzionali e 322 casse sanitarie e fondi di assistenza integrativa. Fondi pensione aperti e Pip erano 113.
Sergio Corbello (nella foto di copertina), presidente di Assoprevidenza, spiega a Dealflower che “il panorama della previdenza complementare è piuttosto statico. Si registra una crescita lenta nel numero degli iscritti e nell’ammontare. I fondi negoziali sono in difficoltà e crescono solo attraverso le adesioni legate ai contratti collettivi. I fondi preesistenti sono stabili. La sorpresa dell’anno scorso”, prosegue Corbello, “è l’incremento dei fondi pensione aperti e dei Pip. E’ un’ulteriore dimostrazione della propensione al risparmio degli italiani, spinti verso questi prodotti grazie ai contributi deducibili, seppure in misura risibile (5.554 euro, 10 milioni delle vecchie lire, una quantificazione assai datata”.
Buoni rendimenti per i fondi pensione
Nonostante il cigno nero che si è abbattuto sui mercati finanziari, nel 2020 tutti gli investitori istituzionali hanno ottenuto buoni rendimenti, anche se inferiori a quelli del 2019. I migliori risultati sono stati ottenuti dalle fondazioni di origine bancaria (+3,6%). Seguono i fondi pensione negoziali, con un rendimento medio del 3,1%. I fondi pensione aperti segnano un +2,9%, seguiti dai fondi preesistenti (+2,6%) e dalle gestioni separate (+1,4%). Le unit linked hanno registrato una performance negativa: -0,2%.
In tema di rendimenti, vale la pensa gettare uno sguardo su come sta andando il 2021. Secondo quanto comunicati da BFF Bank, a luglio i fondi pensione negoziali (Fpn) si sono apprezzati dello 0,75% e quelli aperti dello 0,83%, con i rendimenti delle due tipologie di fondi che dall’inizio dell’anno restano allineati attorno al 3,1%.
A luglio il rialzo è stato trainato dai Fpn azionari (+1,01%), ma a brillare sono stati i bilanciati (+0,94% in entrambe le categorie) grazie all’andamento positivo dei mercati azionari e obbligazionari.
Corbello di Assoprevidenza conferma che i rendimento dei fondi pensione “sono buoni, nei limiti della prudenza. Credo che non si debba guardare il singolo anno, si deve avere un orizzonte almeno di dieci anni. E nel lungo termine l’investimento nei fondi pensione è molto positivo, soprattutto se confrontato con la rivalutazione del Tfr”. Ovviamente, aggiunge Corbello, a garantire le performance migliori negli ultimi anni sono state le linee di investimento più aggressive, ovvero prevalentemente azionarie.
Pochi investimenti in economia reale
Il report di Itinerari Previdenziali sottolinea che gli investimenti degli istituzionali in economia reale sono assolutamente insufficienti. “Dal 2007 alla fine del 2018”, si legge, “ai fondi pensione e al fondo gestito dall’Inps, sono confluiti 155,45 miliardi di Tfr sottratti alle imprese italiane, alle quali ne sono tornati, nello stesso periodo, mediamente il 3,5% l’anno, pari a circa 36 miliardi”. Il documento definisce questo “uno dei dati più allarmanti, che ha ovviamente ampie e negative ripercussioni, sia sull’occupazione, sia sulla produttività, contribuendo alla stagnazione del nostro Paese e sul quale tutti dovrebbero riflettere”.
Le fondazioni di origine bancaria si confermano il maggiore investitore istituzionale per risorse destinate all’economia reale del Paese: considerando l’esposizione nella banca conferitaria, in Cassa Depositi e Prestiti e Fondazione con il Sud, l’investimento nel Paese si attesta al 44,4% del patrimonio. In seconda posizione ci sono le casse privatizzate dei liberi professionisti, con investimenti pari al 22% dell’attivo investito direttamente. Un leggero decremento si registra per i fondi pensione preesistenti (3,98% di investimenti in economia reale). I fondi negoziali investono in economia reale appena il 2,58%.
Corbello di Assoprevidenza nota che i fondi preesistenti investono in asset class alternative più facilmente “per ragioni culturali e organizzative”, mentre i fondi negoziali hanno maggiori difficoltà. Gli alternatives sono chiaramente nelle corde di fondi aperti e Pip. Ma anche i fondi negoziali “si stanno organizzando in consorzi per investire nelle asset class alternative”, spinti in questa direzione dalla carenza di rendimento degli investimenti tradizionali.
Fondi e aziende più grandi
I flussi di nuove entrate tra proventi patrimoniali, contribuzioni (al netto delle prestazioni) e dividendi per il welfare contrattuale di fondi pensione e casse e per le fondazioni è ammontato a 9,15 miliardi. Sopra i 4 miliardi l’incremento fatto segnare dai fondi negoziali e di poco inferiore quello delle casse privatizzate; +2,6 miliardi per i fondi preesistenti e -0,84 miliardi per le fondazioni di origine bancaria. Il welfare privato ha registrato un incremento di 27,3 miliardi, con buone performance per le compagnie di assicurazione, Pip e fondi pensione aperti. L’incremento totale di sistema per il 2020 si attesta a 36,45 miliardi.
Corbello di Assoprevidenza “la previdenza complementare è troppo piccola, in assoluto e come singolo fondo. essere piccolo non è bello”. Per poter dare un impulso ai fondi pensione si potrebbe agire sulla leva fiscale. Ma, aggiunge Corbello, “andrebbero compiuti passi più spinti, introducendo obblighi. Mi rendo conto che per, come è fatto il tessuto imprenditoriale italiano, le piccole aziende non sono favorevoli a privarsi del Tfr. E gli stessi lavoratori non sono così convinti di destinare il Tfr a un fondo complementare”.
E’ un circolo vizioso: aziende piccole, sottocapitalizzate, che utilizzano il Tfr come riserva di liquidità, previdenza complementare sottodimensionata, casse e fondi lillipuziani e legati a logiche di investimento prudenti e tradizionali, ovvero capitali istituzionali insufficienti per alimentare la crescita delle imprese. E si torna al punto di partenza. La speranza è che, anche grazie ai fondi del Pnrr, si rompa il circolo vizioso e il risparmio degli italiani, attraverso gli investitori istituzionali, contribuisca alla crescita del sistema Paese.