Fiorella Passoni è una delle signore della comunicazione. Lavora in questo settore da oltre 30 anni e la maggior parte li ha trascorsi in Edelman, società internazionale di comunicazione e pubbliche relazioni di cui oggi guida gli uffici italiani. Di lei dice che ha attraversato molte fasi e che oggi ha imparato a distinguere tra priorità e cose a cui si concede di dare meno importanza.
Passoni crede nella responsabilità del singolo quando si parla di diversità, inclusione e di diritti delle donne. Per esprimere la sua visione sarà sul palco di Women X Impact Summit 2023 l’evento che si svolgerà a Bologna a FICO Eataly World dal 23 al 25 novembre 2023 di cui Dealflower è media partner.
Di cosa parlerà nel tuo speech a Women X Impact Summit 2023?
Sarò sul palco assieme alle colleghe Alejandra Gumucio, creative director, e Veronica De Bernardi, head of brand. Parleremo della responsabilità dei brand e del ruolo chiave della creatività. Oggi, infatti, per essere rilevanti e fare la differenza i marchi devono sviluppare una creatività inclusiva. È una nuova sfida che arriva dai consumatori, soprattutto quelli della Generazione Z, sempre più consapevoli davanti alle scelte di acquisto.
Perché ha scelto di partecipare a Women X Impact Summit?
Partecipo perché la responsabilità civica e sociale è uno dei miei principi guida nonché un valore della società per cui lavoro. Inoltre sono convinta dell’importanza delle relazioni e dell’empowerment femminile.
Ha mai subito discriminazione?
No, neanche nei momenti più delicati della vita come l’arrivo di un figlio. C’è da dire che da 30 anni lavoro in una realtà internazionale dove le differenze di genere, culturali, di etnia o di religione rappresentano una ricchezza.
Mondo della comunicazione e diversity: a che punto siamo?
Come negli altri settori molto deve ancora essere fatto. Bisognerebbe partire dai dipendenti aiutandoli a combattere i pregiudizi inconsci, anche creando spazi di dialogo che aumentino l’inclusività. In Edelman abbiamo dei network – come per esempio il gruppo Boundless che raccoglie la comunità asiatica, o il gruppo DCN delle persone con disabilità e malattie croniche – creati per offrire uno spazio dove tutti possono partecipare così da imparare dagli altri e confrontarsi con punti di vista differenti.
Quali sono le qualità oggi imprescindibili nel mondo del lavoro?
Ascoltare, gli altri e la propria voce interiore, porre domande. Ma anche puntare all’eccellenza, essere curiosi e cercare di impattare in modo positivo sulla società con le nostre azioni.
Che cosa serve oggi per essere leader?
Serve impegno, nel senso di spirito di iniziativa. Ma anche instaurare un confronto trasparente, possedere un’etica professionale e una forte consapevolezza delle proprie responsabilità.
Come ha affrontato il problema della conciliazione vita privata-lavoro?
Oggi mi sento una persona serena ed equilibrata, che ha imparato ad affrontare le sfide che la vita le ha messo davanti. Ma ci sono arrivata dopo aver attraversato diverse fasi. Dopo vent’anni di “vita adulta”, a quarant’anni, ho iniziato a ripetere a me stessa “Till here and no more”, pensando che avrei dovuto riconoscere i miei limiti e imparare a individuare le priorità, scegliendo quotidianamente le cose in cui dare il massimo e quelle per le quali posso accettare di darmi un “6”. Questo passaggio è stato fondamentale nella costruzione del mio work-life balance.
C’è stato un momento difficile a livello lavorativo? Quali risorse ha messo in campo per superarlo?
Ciclicamente capita di affrontare momenti difficili ma dobbiamo dare a queste situazioni la possibilità di fare il loro ciclo di vita, senza imporre la nostra fretta di voler trovare una soluzione. Il dolore va ascoltato e poi superato guardando avanti con spirito positivo.
Le attuali politiche per la maternità sono sufficienti?
Molte aziende in Italia – da Barilla a Nestlé e Danone – hanno lavorato molto in questo senso. Certo, si tratta di politiche che andrebbero implementate e soprattutto bisognerebbe lavorare su quelle che riguardano la paternità, oltreché agire a livello culturale perché è una questione che riguarda la responsabilità personale di ognuno di noi. Ancora oggi siamo abituati a sentire i mariti, i compagni, i papà che dicono di “aiutare” la propria moglie o compagna. Credo che quando gli uomini – e le donne – smetteranno di vedere il proprio contributo come un “aiuto” e considereranno determinate attività familiari (cura dei figli, gestione della casa, etc) come un proprio dovere, allora sì che si potrà avere una situazione di parità.