L’ultima in ordine di tempo è stata l’azienda di occhiali Safilo ad annunciare una partnership con l’imprenditrice digitale Chiara Ferragni per il design, la produzione e la distribuzione della prima collezione in licenza col marchio dell’influencer fra le più note al mondo. Prima c’erano stati, a vario titolo, Tod’s, Monnalisa, Aeffe e Hublot, oltre alla Pantene.

Tutti vogliono lavorare con Chiara Ferragni e il perché è presto detto: all’annuncio dell’accordo il titolo dell’azienda di eyewear fondata nel 1934 e con un portafoglio marchi che comprende fra gli altri Carrera, Polaroid, Smith e le licenze di BOSS, Eyewear by David Beckham e Jimmy Choo, è prevedibilmente balzato in alto, guadagnando fino al 13% prima di assestarsi su rialzi attorno al 10% a 1,86 euro per azione. Il guadagno è stato di 50 milioni di euro. I giornali lo hanno battezzato “effetto Chiara Ferragni” in Borsa, con la manager una storta di moderna Re Mida che trasforma in rialzi a due cifre tutto ciò che tocca.

 


Fonte: Borsa Italiana

D’altronde quello di Chiara Ferragni è ormai un brand consolidato oltre che notiziabile: con 23 milioni di follower su Instagram, e il vantaggio di essere stata la pioniera del mercato degli influencer, l’azienda Ferragni, la TBS Crew Srl,  – che ingloba anche una talent Agency, un magazine online e una piattaforma di e-commerce – ha un giro d’affari da 40 milioni di euro. E la ceo Chiara Ferragni è ormai onnipresente sul mercato, sui social e nel dibattito pubblico anche su tematiche squisitamente politiche (si pensi alla battaglia sul Ddl Zan sull’omotransfobia).

Si tratta di un marchio che attira le attenzioni di un pubblico vasto e diversificato, di consumatori, di fan o di detrattori che supera di gran lunga i 23 milioni di follower. Ed è probabilmente per fare notizia che le aziende più tradizionali si affidano a lei, in quelle che sembrano più operazioni di marketing che di effettiva strategia industriale.

Tuttavia, come spesso accade nel mondo dei social, un fatto ha una risonanza amplificata e capillare che però è temporanea, effimera e presto dimenticata. Perché in Borsa i titoli salgono e scendono per le ragioni più disparate, industriali o speculative ad esempio, mentre sono i fondamentali i dati che effettivamente raccontano il successo o meno di un’azienda. Il vero “effetto Ferragni” dunque non andrebbe ricercato nel rialzo del titolo di un’azienda in Borsa ma nelle effettive vendite legate alla presenza del marchio “Ferragni”.

Se guardiamo infatti al semplice rialzo, il boom di acquisti di titoli è più che mai temporaneo. Prendiamo ad esempio Tod’s, brand marchigiano di calzature, pelletteria e abbigliamento guidato da Diego Della Valle. All’annuncio dell’ingresso di Chiara Ferragni nel board, lo scorso 9 aprile, il titolo dell’azienda di Casette d’Ete ha guadagnato il 14%, chiudendo a 32,74 euro. I rialzi sono proseguiti nelle due successive giornate di negoziazioni, il 12 aprile e il 13 aprile.


Fonte: Borsa Italiana

Tuttavia, l’effetto Chiara Ferragni si è poi sgonfiato, come si vede dal grafico di Borsa Italiana, e il titolo è risalito solo nel giugno scorso sulla scia dei rumors di una cessione della società a Lvmh, che aveva acquisito il 6,8% delle azioni di Tod’s direttamente da Della Valle. Se guardiamo i risultati, invece, nei primi sei mesi del 2021 il fatturato consolidato del Gruppo Tod’s ammontava a 398,4 milioni di Euro, in crescita del 55,1% rispetto al primo semestre 2020  ma comunque in calo del 10% rispetto al 2019. Sui conti, dunque, l’effetto Ferragni non sembra essere stato così potete quanto in Borsa.

Poi c’è stata Monnalisa, marchio toscano di abbigliamento di lusso per bambini. Il 23 novembre 2020 l’azienda  fondata da Piero Iacomoni ha firmato un accordo di licenza pluriennale con la Fenice srl (società titolare del marchio “Chiara Ferragni”) con “l’obiettivo di far crescere worldwide, nel segmento moda bambina 0-10 anni, il brand fondato da Chiara Ferragni”.

Il giorno dell’ufficializzazione della partnership, gli acquisti hanno spinto in su il titolo Monnalisa, quotata su Aim di Borsa Italiana, del 23%. Il giorno dopo il titolo ha fatto un altro balzo, questa volta del 39,71%, a 5,7 euro. Poi però (come si vede nel grafico in basso, selezionando il periodo di riferimento 1 anno), come un palloncino che si sgonfia, il titolo è nuovamente sceso a 3,9 – 4 euro circa.

 


Fonte: Borsa Italiana

Il motivo è semplice, l’azienda non performa e ha risentito molto più di altre del lockdown. L’anno scorso i ricavi consolidati dell’azienda aretina sono diminuiti del 30% (-29% tassi di cambio correnti), passando da 47,9 milioni (per il 67% all’estero) a 33,6 milioni. Un calo di oltre 14 milioni che si spiega appunto con i blocchi, attuati in tutto il mondo, delle attività commerciali e il crollo del turismo internazionale. A reggere è stato l’e-commerce, che è cresciuto del 21% “grazie a una strategia aziendale che ha canalizzato i principali investimenti, introducendo importanti evoluzioni tecnologiche a supporto della piattaforma digitale”, aveva spiegato l’azienda.

Bisognerà aspettare la fine dell’anno e i conti del 2021 per capire se l’effetto Ferragni si estenderà anche sulle vendite. Per il momento il boom Ferragni sembra essere più un fuoco di paglia che sui conti ancora non si vede.

 

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