L’energia pulita è destinata a restare uno dei settori più promettenti del prossimo decennio, nonostante l’incertezza politica legata alle imminenti elezioni Usa presidenziali. Non è un caso che, persino di fronte a una possibile vittoria repubblicana, gli analisti concordino sul fatto che lInflation Reduction Act lanciato dall’amministrazione Biden e che ha accelerato la transizione green in Usa, non sarà eliminato, pur potendo essere soggetto a tagli parziali.

Molti crediti fiscali, come quelli per la produzione di energia nucleare, eolica onshore e solare, godono di un forte sostegno bipartisan. Insomma, i numeri lo confermano: anche sotto un’amministrazione repubblicana, l’energia pulita resterà una priorità. Il supporto bipartisan è evidente non solo nelle politiche, ma anche nei fatti: circa l’80% degli investimenti in clean-tech dell’amministrazione Biden, indirizzati alla produzione locale, sono andati in distretti governati da repubblicani e sono essenziali per la creazione di posti di lavoro in questi Stati.

Certo, una vittoria di Donald Trump potrebbe portare a un ridimensionamento degli incentivi per i veicoli elettrici e l’idrogeno verde, ma i pilastri del settore —come il nucleare e la produzione di energia solare— rimarranno stabili proprio perché godono di un supporto che supera le divisioni politiche, come evidenziano alcuni analisti Usa quali Morgan Stanley.

Energia, domanda in forte crescita. Il fattore Ai

Si prevede, inoltre, che la domanda energetica globale dei data center crescerà del 165% entro il 2030, registrando un aumento di 680 TWh sempre entro quella data. Questo incremento è dovuto in gran parte alla crescita dell‘Ai, che – già nel 2028 – rappresenterà circa il 21% della domanda energetica dei data center. Negli Stati Uniti, inoltre, si stima che la quota della domanda energetica complessiva dei data center aumenterà dal 3% nel 2023 al 8% nel 2030, secondo le proiezioni – tra gli altri – anche di Goldman Sachs.

Da dove si recupererà questa elettricità aggiuntiva? I principali operatori di cloud e hyperscaler sono impegnati nella riduzione delle emissioni attraverso l’uso di energie rinnovabili come solare, eolico e nuove tecnologie come il nucleare avanzato. La stabilità della rete sarà un aspetto critico, considerando l’intermittenza delle energie rinnovabili come il solare e l’eolico. Pertanto, è altamente probabile un aumento significativo degli investimenti in infrastrutture per le utility, per affrontare la crescita del carico energetico, migliorare la resilienza della rete e aumentare la capacità delle energie rinnovabili.

Tuttavia, l’esito delle elezioni Usa non sarà indifferente, almeno nel breve periodo. Proviamo a immaginare tre scenari.

Elezioni Usa, Scenario 1: vincono i Democratici? l’Ira rimane intatto

Se i Dem sono confermati al governo, l’Inflation Reduction Act resta invariato, mantenendo il suo impatto positivo sulle industrie legate all’energia pulita. In questo contesto, nei prossimi anni – secondo McKinsey – l’Ira catalizzerebbe circa 400 miliardi di dollari in fondi federali per il settore dell’energia pulita con l’obiettivo principale di contribuire in maniera significativa alla riduzione delle emissioni nazionali di CO2 entro il 2030.

Si stima, inoltre, che la legge possa anche sbloccare 1.200 miliardi di dollari di incentivi dal governo statunitense entro il 2032. L’Ira include crediti d’imposta per l’energia pulita, componenti di veicoli elettrici (Ev) e incentivi per la produzione, sostenendo un’ondata di progetti di transizione costante per i prossimi anni. Questo scenario è ovviamente il più favorevole per i settori delle energie rinnovabili, delle tecnologie pulite e dei veicoli elettrici.

Scenario 2, vincono i Repubblicani anche al Congresso: abrogazione completa dell’Ira

Cosa succede invece se i Repubblicani vincono sia la presidenza che il controllo del Congresso? Secondo diversi analisti (e anche, di recente, il premio Nobel Joseph E. Stiglitz) non si esclude l’abrogazione di parti rilevanti dell’Ira. Questo avrebbe un impatto significativo sui 265 miliardi di dollari in crediti d’imposta, che sono compresi nei 400 miliardi totali previsti dall’Ira. Circa il 50% di questi benefici è legato ai crediti d’imposta per i veicoli elettrici, il 20% alla produzione e il 10% all’energia pulita.

Questo scenario potrebbe creare incertezza sul mercato, riducendo gli investimenti privati, che hanno superato i crediti d’imposta di oltre il 500%. Gli investimenti in molti progetti del settore potrebbero calare drasticamente, con le aziende riluttanti a investire in un ambiente normativo instabile. In un contesto simile, continuerebbero a svilupparsi solamente tecnologie che sono economicamente viabili anche senza incentivi, come per esempio il solare, l’eolico onshore, l’ammodernamento della rete ed alcune iniziative di elettrificazione ed efficienza energetica.

Le tecnologie attualmente meno competitive dal punto di vista economico, come per esempio l’idrogeno verde, subirebbero un brusco rallentamento. Nonostante questo, siamo convinti che gli incentivi alla produzione locale rimangano un pilastro nella creazione di nuovi posti di lavoro anche in questo scenario.

Scenario 3, vincono i Repubblicani alla Casa Bianca: l’Ira subisce alcune modifiche

Nell’ultimo scenario, in cui Trump diventa presidente ma non riesce a controllare il Congresso, alcuni aspetti dell’Ira potrebbero essere abrogati o modificati. In particolare, i crediti d’imposta per i veicoli elettrici e i sussidi per l’energia eolica offshore potrebbero essere a rischio. Donald Trump ha espresso pubblicamente dubbi su queste aree, ma non ha fatto dichiarazioni esplicite sulla loro eliminazione totale.

Ad esempio, i crediti per i veicoli elettrici, che attualmente possono arrivare fino a 7.500 dollari per veicolo, potrebbero essere ridotti o vincolati da nuovi requisiti. Tuttavia, i crediti legati alla produzione locale potrebbero essere meno a rischio poiché hanno generato investimenti significativi e creato posti di lavoro, specialmente in stati a maggioranza repubblicana, come la Georgia.

In questo scenario, gli incentivi fiscali legati alla produzione di componenti pulite potrebbero rimanere intatti grazie al loro impatto positivo sull’occupazione e sull’industria.

Ma la clean energy resta una terra promessa

Alla luce del fatto che l’esito delle elezioni avrà comunque degli impatti, se la domanda è: “La clean energy è ancora un asset su cui investire, indipendentemente dall’esito elettorale?” la risposta è sì, senza esitazioni. Aziende innovative, data center, intelligenza artificiale e persino l’industria del petrolio e del gas stanno accelerando la loro transizione verso fonti energetiche più sostenibili.

Questi settori sono altamente energivori e devono puntare sulle rinnovabili non solo per ridurre i costi, ma anche per rispettare le crescenti aspettative dei consumatori e delle istituzioni. Tutti questi trend secolari continueranno a spingere la domanda di elettricità, che potrebbe aumentare del 200% nei prossimi 10 anni, una crescita che richiederà un’espansione delle capacità produttive, principalmente tramite fonti rinnovabili.

Dunque, la domanda di energia rinnovabile è destinata a crescere anche con eventuali riduzioni dei sussidi, poiché ci sono poche alternative praticabili per aumentare la capacità produttiva su larga scala.

Investire in un settore molto promettente e a sconto

Al di là delle probabili turbolenze di breve periodo, il momento resta propizio per investire nei titoli green, anche sulla scorta della performance negativa degli ultimi anni, grazie alla quale le azioni oggi sono a sconto. Basta osservare l’andamento degli indici settoriali principali, come il WilderHill Clean Energy Index che si concentra su aziende statunitensi e che, dal picco di inizio 2021 fino a fine settembre 2024, ha registrato una perdita dell’85%, mentre l’indice S&P Global Clean Energy – che copre un ampio spettro di società globali – ha riportato una perdita del 56%.

Il calo è stato influenzato dall’andamento economico globale e dalle dinamiche geopolitiche incandescenti, nonché dall’incertezza sulla direzione dei tassi di interesse che ha dominato i mercati almeno fino all’ultimo massiccio taglio di 50 punti base che ha esercitato la Fed proprio a settembre.

Questi numeri riflettono le difficoltà a breve termine per le aziende del settore clean energy ma, come mostrano le analisi a lungo termine, la crescita della domanda di energia sostenibile continua a rappresentare un’opportunità strategica per gli investitori. E le elezioni Usa non cambieranno in modo sostanziale le prospettive a lungo termine: la transizione energetica è una necessità e i fondamentali di mercato rimangono forti. E Trump non può fermare l’onda verde.

Sull’autore
Luca Moro è Chief investment officer del fondo SpesX di Fiee Sgr.

Fiee Sgr un po’ di storia

Costituito nel 2015, Fiee Sgr è tra i principali e tra i primi operatori finanziari dedicati agli investimenti nella transizione energetica a livello europeo. Attraverso i fondi di private equity – Fiee I, Ieef II – e il fondo aperto SpesX la Società ha una dotazione finanziaria di circa 500 milioni, quasi interamente investiti, e annovera tra gli investitori primari gruppi assicurativi, fondi di investimento, Sgr, family office, fondazioni, enti sovranazionali, istituzioni e banche, come Banca Europea per gli Investimenti e Fondo Italiano di Investimento.

Il suo obiettivo è investire e sostenere l’economia reale nell’efficienza e transizione energetica del Paese e dell’Ue, agevolando una trasformazione in forte crescita: secondo i dati di Prequin, gli investimenti sostenibili nei Private Market sono destinati a crescere in Europa dai 253 milioni del 2020 fino a 1,2 miliardi nel 2025 (best case). La compagine societaria include, oltre agli amministratori delegati Raffaele Mellone e Andrea Marano, anche Fulvio Conti (Presidente), Maurizio Cereda e Lamse Spa.

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