Non abbiamo fiducia nei confronti di chi gestisce i nostri dati personali. Siamo preoccupati per la nostra privacy. Tuttavia non prendiamo abbastanza provvedimenti per tutelarci. Forse, anche a causa di una scarsa (molto scarsa) conoscenza dell’argomento.

È iniziata con una ricerca incrociata tra un’indagine Cisco e un’altra firmata Gwi la tavola rotonda “Digital Law e Etica: quando le regole tutelano i diritti digitali”, appuntamento moderato dal direttore di Dealflower Laura Morelli per la Milano Digital Week con la partecipazione di Lucia Maggi e Nicole Monte, rispettivamente Ceo e partner e salary partner di 42Lf, e di Fausto Maglia, chief product officer Casavo.

Il 79% delle persone intervistate hanno dichiarato di non capire cosa ne facciano le società con i loro dati personali. Tradotto: c’è un chiaro problema di trasparenza. Il 70% non ha fiducia di chi raccoglie gli stessi dati, e per questo sono preoccupati. Ma poi si scopre anche che il 50% dei soggetti tende a non cambiare le proprie password. Detto in altre parole, una persona su due dichiara di non fare neanche il minimo indispensabile per tutelarsi. E lo conferma anche il fatto che il 40% non ha fatto uso di antivirus nell’ultimo mese, per non parlare dell’utilizzo e della creazione dei backup.

Pigrizia tecnologica e compliance che non vuol dire garanzia

Una pigrizia tecnologica che inevitabilmente va a intrecciarsi con il distaccamento quasi fisiologico nei confronti della burocrazia. Sottolinea Nicole Monte, salary partner di 42Lf: “I diritti digitali sono destinati ad aumentare nel futuro. L’approccio, necessariamente etico, diventa burocratico. Ma poi il consumatore non ci crede abbastanza, anzi in alcuni casi è certo che la propria privacy non verrà rispettata”. La compliance, intesa come conformità a determinate norme, regole o standard, rischia di diventare un limite alla tecnologia. O forse è il contrario: “Diciamo che etica e trasparenza dovrebbero essere standard. Di sicuro, stando a queste indagini, la compliance non sembra rappresentare garanzia di tutela”.

Un’identità digitale oggi solo abbozzata. Destinata a evolversi in futuro, dove la tecnologia sarà necessariamente regolata dal legislatore. Niente più spid, ma cittadini considerati già “user” nella mente del legislatore stesso. Il primo passo per la trasparenza su questo argomento potrebbe essere questo. Anche perché la sfida, oggi, è quella dell’interpretazione da parte degli utenti e delle imprese. “È il legislatore europei che introduce principi di tipo etico per il trattamento dei dati. Le società devono adeguarsi, ma come detto sono principi, e quindi soggetti a interpretazione. La tecnologia dovrebbe rispondere proprio a questa esigenza e diventare, assieme alla compliance, garanzia di tutela. Cosa che oggi, in linea di massima, avviene attraverso lo studio dei singoli casi”.

Proprietà intellettuale, musica sui social media e il ruolo degli influencer

Ancora più complesso il tema della proprietà intellettuale. Difficile da normare e da far rispettare, nonostante l’anno scorso sia stata introdotta una nuova direttiva sul copyright integrata nella giurisdizione precedente. Uno dei temi più sentiti è quello della musica sui social network, come spiega Lucia Maggi ceo e partner di 42Lf: “Tik Tok e Instagram sono le piattaforme più aperte a questo tipo di situazione. Soprattutto il social media che fa capo a Meta sta ampliando l’utilizzo delle basi all’interno dei reel, oltre che delle stories. Tale opportunità si apre sia ai profili privati che a quelli commerciali. In teoria, la library a disposizione dei primi sono più ampie rispetto ai secondi. Ma è anche molto semplice bypassare questa limitazione, nonostante sia Meta che Tik Tok limitino l’utilizzo commerciale della musica alla presenza di una licenza di sincronizzazione”.

L’altro tema, se possibile ancora più attuale, riguarda il ruolo degli influencer. “Lo consideriamo un commercial o un privato? Il rischio di sovrapposizione è alto -continua Maggi-. In linea teorica se svolge attività per promuovere un prodotto allora diventa profilo professionale e la musica dovrebbe essere limitata. Ma c’è chi sostiene che il prodotto siano gli influencer o le influencer stesse”.

Con l’etica e trasparenza si diventa competitivi?

Emerge che in ambito di proprietà intellettuale il tema “etico” sta pertanto nell’assumersi la responsabilità di non usare l’opera di un altro. “E questo può avvenire solo se c’è una campagna di sensibilizzazione adeguata -aggiunge Maggi-. In questo senso la storia ci racconta che è come se abbia vinto Napster. Ma la prima consapevolezza dev’essere il fatto che dietro un brano c’è produzione, management, avvocati”. Tradotto: c’è sempre il rischio che un business si arricchisca su un altro business senza che ci sia un reale scambio di valore. Facile da comprendere, complicato da applicare.

Ci sono poi alcuni settori dove privacy e dati personali  rappresentano delle opportunità. Fausto Maglia di Casavo spiega: “La nostra attività di intermediazione immobiliare è abilitata dalla tecnologia, mettendo il venditore in contatto con potenziale acquirente grazie alla visibilità del market place. Semplificando parecchio, i prodotti tecnologici sono l’equivalente di transazioni. Cioè l’incontro tra domanda e risposta, che la tecnologia cerca di semplificare. In questo caso l’utilizzo dei dati personali diventa importante, almeno quanto la trasparenza con cui li maneggi. E così, con la trasparenza si può diventare competitivi”. Maglia cita infine anche Apple, che ha costruito un chiaro vantaggio sulla comunicazione della privacy, quando ad esempio si può provvedere al blocco da remoto in caso di furto dello smartphone o del laptop.

Lascia un commento

Articolo correlato