De-globalizzazione, decoupling, friend-shoring. Parole che tentano di delineare l’evoluzione dello scenario economico mondiale alla luce delle ultime crisi, da quella pandemica a quella in Ucraina. Una situazione in cui gli equilibri finora conosciuti sono destinati a cambiare. Come? Ancora è troppo presto per saperlo. C’è piuttosto “una tendenza strisciante di misure mirate”, scrive la società di analisi Oxford Economics in un recente report. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina e alla luce delle tensioni fra grandi potenze come Usa e Cina, è infatti chiaro che la scissione fra le economie occidentali e quelle del blocco sino-russo. Ma in che termini?

La fine della globalizzazione? 

La guerra Russia-Ucraina “ha sollevato diversi interrogativi su dove si sta dirigendo l’economia globale nel 21° secolo. I cambiamenti che stiamo vedendo potrebbero significare tempi incerti per il commercio globale”, ha affermato la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde, in un discorso a Washington. Proprio negli Usa, la segretaria al Tesoro , Janet Yellen aveva detto che, dopo l’aggressione di Putin e l’appoggio cinese, l’ordine economico verso il quale occorre andare è la divisione tra amici e avversari. Non a caso aveva parlato di friend-shoring, ovvero fare gli affari fra amici.

Lagarde piuttosto ha evidenziato tre passaggi: dall’efficienza alla sicurezza, dalla dipendenza alla diversificazione, dalla globalizzazione alla regionalizzazione facendo notare che “le regioni dovranno sempre più reperire i propri input critici da un pool più ristretto di potenziali fornitori ritenuti affidabili e in linea con i loro interessi strategici condivisi”.

“La fine della globalizzazione, per alcuni, sembra ormai inevitabile. Il quadro, però, non è così drammatico: nei prossimi anni dovremmo assistere, piuttosto, ad una nuova evoluzione del capitalismo, diversa da quella finora conosciuta”, spiega a Dealflower Dario Covucci, partner di Lca Studio Legale. “La dipendenza delle importazioni da Cina e Oriente ha fatto riflettere sull’importanza di una ‘autonomia strategica’ che metta in sicurezza prodotti e processi produttivi essenziali”, continua. Soprattutto con l’invasione dell’Ucraina, “sono tornate in scena divisioni da ‘guerra fredda’ che si pensavano abbandonate”.

Sulla stessa linea anche Roberto Prioreschi, Managing Director Bain & Company Italia e Turchia che a Dealfower spiega che sono circa dieci anni che “la globalizzazione deve comunque confrontarsi con un contesto sempre più incerto e volatile”. Tuttavia, “non direi né che ci sia una possibile fine né che abbiamo fatto un passo indietro: il processo è irreversibile. Semplicemente, alcuni processi di trasformazione, già in atto da tempo, sono stati accelerati dagli avvenimenti degli ultimi due anni: l’incremento della digitalizzazione e della connettività, la crescita dei poli dell’innovazione, l’importanza della cybersecurity e del data management & protection, ma anche lo sviluppo di fonti energetiche pulite, la riqualificazione urbana, la tutela delle risorse comuni globali”.

Orizzonte reshoring 

Il reshoring (ovvero l’opposto dell’offshoring) è un fenomeno economico che consiste nel rientro a casa delle aziende che in precedenza avevano delocalizzato in Paesi asiatici come Cina o Vietnam o in Paesi dell’Est Europa. Un fenomeno che, secondo molti analisti, sembra la risposta alle crisi attuali. Lagarde sostiene che “la regionalizzazione crea un’opportunità per una più profonda condivisione del rischio regionale, sia attraverso il commercio che l’integrazione finanziaria. Ciò può in una certa misura a sostituire una minore condivisione del rischio a livello globale. Facilita il finanziamento comune delle priorità strategiche e gli investimenti nelle transizioni, contribuendo a generare economie di scala”.

“La pandemia e le crisi – soprattutto quella dei chip – hanno insegnato alle aziende che produrre molto lontano dal mercato su cui si vende non è sempre la scelta migliore”, prosegue Prioreschi. “Il vantaggio legato a costi più esigui può essere azzerato o anche superato dal costo del trasporto di lungo raggio, senza contare il rischio di ritardi. Questi avvenimenti hanno definitivamente messo in dubbio il modello della delocalizzazione e oggi la risposta delle imprese è, in molti casi, proprio il ripensamento delle catene del valore e della logistica, in ottica reshoring e nearshoring. Questi fenomeni non devono essere però letti in contrapposizione al fenomeno di globalizzazione, ma come l’antidoto naturale (e sano) per fronteggiare un contesto più complesso“, fa notare.

“Crisi della logistica, sanzioni Ue e misure di golden power favoriranno ancor più il processo di reshoring, con il rientro delle imprese nazionali più esposte al rischio di interruzione produttiva, specie nel comparto automotive, elettronico e tessile” aggiunge l’avvocato Covucci. Tale processo, però, “potrebbe avere l’effetto positivo di rilocalizzare gli investimenti, concentrandoli nei territori nazionali o sovranazionali (Ue) che non conoscono barriere alla circolazione di servizi e capitali”. Di conseguenza, “aumenterebbero i posti di lavoro, l’indotto di fornitori locali e il consumo di prossimità. D’altra parte, non si possono escludere rincari nei costi di materie prime, manodopera e produzione, con riduzioni dei consumi, incremento dell’inflazione e tagli nella crescita del Pil. In questo contesto sembra esservi spazio per un maggior intervento dello Stato per attrarre capitali stranieri e assicurare la sostenibilità del mercato interno, con misure strutturali e fiscali”.

Fra economia e valori

Un processo del genere richiede numerose sfide, soprattutto lato imprese che si trovano sempre più in uno scenario in cui saranno soprattutto i governi a stabilire ciò che si può fare e dove farlo. “Non più il primato economico, bensì l’adesione a valori comuni – ambiente, diritti umani – definirà i comportamenti economici e sociali nel futuro”, spiega Covucci. Non è un caso se “per raggiungere l’indipendenza dal gas russo l’Unione Europea è scesa in campo incentivando la ricerca di nuove tecnologie e la produzione energetica da fonti rinnovabili. Lo sviluppo economico, del resto, sarà sempre più trainato dai valori della sostenibilità e dedicato alla transizione ecologica ed energetica”, aggiunge l’avvocato.

In questo scenario la sfida principale è conciliare questa transizione con la sostenibilità. “La progressiva globalizzazione degli ultimi anni – sostiene Prioreschi – ci ha consentito di esportare, ed importare, alcune best practice in termini di governance, tutela dell’ambiente e dei diritti umani. Ora dobbiamo consolidare quanto costruito fino ad oggi, sfruttando le opportunità che derivano dalla rilocalizzazione: se adeguatamente indirizzato, infatti, questo fenomeno può favorire una transizione sostenibile, garantendo una riduzione dell’inquinamento dovuto ai trasporti, maggior trasparenza della filiera e tracciabilità dei processi”.

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