I comparti azionari hanno registrato nel 2022 perdite in media pari all’11,7% nei fondi negoziali, al 12,5 nei fondi aperti e al 13,2 nei Pip (Piani individuali pensionistici di tipo assicurativo). Per le linee bilanciate i rendimenti medi sono stati negativi in tutte le forme pensionistiche: 10,5% nei fondi negoziali, 11,5 nei fondi aperti e 12,3 nei Pip. È quanto emerge dalla relazione annuale della Covip, secondo cui le turbolenze dei mercati finanziari hanno inciso sui risultati di gestione delle forme complementari, tanto per le linee di investimento a maggiore contenuto azionario quanto per quelle obbligazionarie.

In Italia 332 fondi pensione

Alla fine del 2022, i fondi pensione in Italia sono 332: 33 fondi negoziali, 40 fondi aperti, 68 piani individuali pensionistici e 191 fondi pensione preesistenti. Il numero delle forme pensionistiche operanti nel sistema è in costante riduzione. Nel 1999 le forme erano 739, oltre il doppio.

Sempre a fine 2022, il totale degli iscritti alla previdenza complementare è di 9,2 milioni, in crescita del 5,4% rispetto all’anno precedente, per un tasso di copertura del 36,2% sul totale delle forze di lavoro. I fondi negoziali contano 3,7 milioni di iscritti, quasi 1,8 milioni sono gli iscritti ai fondi aperti e 3,5 milioni ai Pip “nuovi”; circa 650.000 sono gli iscritti ai fondi preesistenti.

Gli uomini sono il 61,8% degli iscritti alla previdenza complementare (il 73% nei fondi negoziali), nel solco di quel gender gap che si è già manifestato negli anni scorsi. Si conferma anche un gap generazionale: la distribuzione per età vede la prevalenza delle classi intermedie e più prossime all’età di pensionamento: il 48,9% degli iscritti ha età compresa tra 35 e 54 anni, il 32,3% ha almeno 55 anni e solo il 18,8% è sotto i 35 anni. La situazione è sostanzialmente non dissimile da quella rilevata cinque anni fa. Quanto all’area geografica, la maggior parte degli iscritti risiede nelle regioni del Nord (57,1%).

L’allocazione degli investimenti

L’allocazione degli investimenti effettuati dai fondi pensione (escluse le riserve matematiche presso imprese di assicurazione e i fondi interni) registra la prevalenza della quota in obbligazioni governative e altri titoli di debito, per il 54,6% del patrimonio: il 15,4% sono titoli del debito pubblico italiano. In calo al 20% i titoli di capitale (rispetto al 22,6% del 2021) e anche le quote di Oicr, passate dal 16 al 15,3%. I depositi si attestano al 6,5%. Gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, presenti quasi esclusivamente nei fondi preesistenti, rappresentano circa l’1,9% del patrimonio, sostanzialmente stabili rispetto al 2021. Nell’insieme, il valore degli investimenti dei fondi pensione nell’economia italiana (titoli emessi da soggetti residenti in Italia e immobili) è di 35,5 miliardi di euro, pari al 20,9% dell’attivo, in calo sia in valore assoluto sia in termini percentuali rispetto al 2021 (rispettivamente, 40 miliardi e 22,7%). I titoli di Stato ne rappresentano la quota maggiore attestandosi a 26,1 miliardi di euro.

Le prospettive

Il sistema italiano della previdenza complementare ha complessivamente mostrato una sostanziale resistenza. Le adesioni e le contribuzioni sono cresciute come negli anni precedenti e, pur considerando le perdite del 2022, i rendimenti, valutati in un orizzonte temporale di medio-lungo periodo e facendo riferimento alle medie generali relative a tutti i comparti, rimangono in media positivi, e sostanzialmente in linea con i tassi di rivalutazione del Tfr. La resilienza dimostrata dal sistema della previdenza complementare, tuttavia, non può distogliere l’attenzione dai fattori strutturali che, nel nostro Paese, renderebbero quanto mai necessario un suo consistente ulteriore sviluppo ma che, al contempo, lo rendono oltremodo difficile.

Nelle prospettive di lungo periodo, tuttavia, è la demografia che si impone come principale fattore strutturale di condizionamento. Il nostro Paese è caratterizzato da un processo di invecchiamento tra i più rapidi a livello internazionale; tale tendenza demografica è destinata a incidere significativamente sulle prospettive di crescita del Paese in termini di prodotto complessivo, che è anche alla base della rivalutazione nel tempo dei contributi versati alla previdenza pubblica. Sono i giovani a rischiare di essere penalizzati, in quanto sono proprio tra le categorie di lavoratori che fanno più fatica a partecipare ai fondi pensione che, 7 verosimilmente, potrebbero garantire loro rendimenti più elevati della rivalutazione che è ragionevole attendersi dai contributi versati alla previdenza pubblica. A fronte di tali tendenze strutturali, non favorevoli alle prospettive di sviluppo della previdenza complementare, vi sono tuttavia interventi che il decisore politico può prendere.

Lascia un commento

Articolo correlato