Di Marco Tullio Giordano – 42 Law Firm
Dal genesis block di Bitcoin, il primo blocco della catena validato il 3 gennaio 2009, il mondo ha avuto modo di conoscere le potenzialità di questo peer-to-peer cash system e del cambio tecnologico che ne è conseguito. Satoshi Nakamoto, o il collettivo che si cela dietro tale pseudonimo, decise di enfatizzare tale evento storico inserendo un messaggio nascosto all’interno dell’unica transazione presente, che riproduceva il titolo di un articolo del Times, pubblicato in pari data: “Chancellor on Brink of Second Bailout for Banks” (Il cancelliere sull’orlo del secondo salvataggio delle banche), quasi a certificare la diametralmente opposta visione che alimentava il whitepaper di Bitcoin, a sua volta ispirato dal movimento cyperphunk, rispetto al sistema finanziario tradizionale.
Fin dalla loro nascita proprio qui in Italia, del resto, le banche sono state considerate i primi organismi a occuparsi di gestire il debito pubblico e, in quanto tali, universalmente riconosciute come istituzioni pubbliche, di cui i cittadini si fidavano più che del governo stesso. Da allora sino ai giorni nostri, passando per la creazione di enti centrali (si pensi alla Federal Reserve negli Stati Uniti d’America o alla Banca Centrale Europea nel vecchio continente) e organismi di indirizzo e monitoraggio, l’erogazione di praticamente qualsiasi servizio bancario, finanziario o assicurativo è stato appannaggio di istituzioni finanziarie centrali o di enti privati licenziati, strettamente regolamentate da altrettanti rigidissimi organismi governativi.
La tecnologia blockchain e l’ulteriore implementazione degli smart contract stanno lentamente permettendo di ricreare un ecosistema finanziario che non si basa più su enti centralizzati e su di un sistema fiduciario, ma che restituisce ai consociati le relative funzioni sociali ed economiche. La DeFi – acronimo di “decentralized finance” o finanza decentralizzata – è un movimento spontaneo, organizzato in modalità paritaria tra gli appassionati e i fruitori di tecnologie basate sui registri distribuiti, che si prefigge l’obiettivo di creare smart contract e dApps – altro acronimo che sta per “decentralized applications”, la nuova frontiera del web 3.0 e partecipativo – in grado di replicare i medesimi prodotti e servizi solitamente offerti dalle banche, dagli istituti finanziari e dalle compagnie assicurative. La differenza è che tali prodotti e servizi non sono erogati da enti centralizzati, ma sorgono spontanei grazie alla collaborazione tra individui. Grazie a software scritti con codice open source e interconnessi tra loro, i crypto-entusiasti sono riusciti a sviluppare protocolli che permettono il trading decentralizzato (i c.d. DEX come Uniswap, che funzionano tramite algoritmi AMM, Automated Market Making), il lending P2P (sistema di prestiti decentralizzato e garantito tra gli utenti tramite Open Source Liquidity Protocols come Aave o Compound), strumenti assicurativi automatizzati e persino prodotti finanziari derivati.
Da movimento spontaneo e decentralizzato puro, questo fenomeno ha raccolto repentinamente interesse e valore, sino a totalizzare una capitalizzazione, in termini di TVL (total lock value) di centinaia di miliardi di dollari. A questo punto, era inevitabile l’interesse per i player della finanza tradizionale: molti fondi di investimento hanno iniziato a trasferire capitali dai mercati tradizionali in prodotti DeFi e molti talenti di Wall Street hanno iniziato a fare pivoting nel settore crypto, a caccia di migliori rendimenti, con interessi annui decuplicati rispetto al Nasdaq o all’SP500.
I leader della finanza decentralizzata, del resto, non sono rimasti a guardare e hanno iniziato a forkare i propri protocolli per offrire prodotti strutturati di seconda generazione, evoluti e modificati per essere proposti a un pubblico istituzionale, che necessità di maggiore sicurezza e regolamentazione: Aave, in collaborazione con Fireblocks, ha lanciato il protocollo Aave ARC, che replica in modalità “permissioned” le pool di liquidità che l’ha resa famosa, dedicandole agli investitori qualificati; Consensys, il colosso del web 3.0 che capitalizza 7 billions e ha appena chiuso un seed round da 450 milioni di dollari ha rilasciato una versione del suo famoso wallet non-custodial “Metamask” che permette la custody di digital asset alle istituzioni della finanza tradizionale, Alkemy Network ha creato un prodotto di yeald farming dedicato ai fondi di investimento della TradFi, la finanza tradizionale.
Tutto questo interesse, tuttavia, necessita di sicurezza e regolamentazione dell’ecosistema, poiché quando gli interessi coinvolti aumentano di valore, difficilmente si può lasciare non presidiato il terreno di gioco. Ecco allora che gli Stati Uniti si preparano a regolamentare il settore con sapiente lungimiranza e cambio di marcia (il segretario del tesoro Janet Yellen ha tenuto recentemente un apprezzabile discorso pubblico, nel corso del quale ha evidenziato che “We must also be prepared for possible changes in the structure of financial markets. For example, some have suggested that distributed ledger technology could reduce concentration in financial markets”), gli Emirati Arabi hanno emanato una vera e propria crypto-law per candidarsi a hub mondiale del web 3.0 e il Regno Unito ha pianificato una roadmap per attirare investimenti e imprenditori in un ambiente accogliente ma regolamentato. L’Europa segue con un passo più lento, preparandosi a varare nei prossimi mesi, nell’ambito del più esteso Digital Package Finance, un Regolamento MiCA – Market in Crypto Asset (che diventerà applicabile su tutto il territorio dell’Unione nei successivi due anni) i cui principi sembrano più tendenti a salvaguardare gli attori tradizionali che a permettere lo sviluppo di economie di frontiera. Se ne è parlato recentemente nel corso di una discussione pubblica tra professionisti, tecnologi e esponenti della politica italiana qui.
Mentre Satoshi Nakamoto probabilmente si starà rivoltando nella tomba (non si ha più traccia di lui – o di loro – da più di dieci anni) i cryptoasset e la DeFi si preparano a fare della finanza tradizionale ciò che il peer-to-peer ha fatto con il mondo dell’editoria musicale e del mercato cinematografico nei venti anni precedenti: modificare profondamente il modello di business, fino a far sparire il monopolio della RIIA e dell’MPAA, creando il terreno per l’avvento di servizi innovativi come lo streaming e la fruizione al consumo. Insomma, prepariamoci alla transizione dalla TradFi alla DeFi, ma guardiamo al futuro per scorgere l’avvento della CeFi (Centralized Finance), offerta da attori nuovi, non completamente decentralizzati, innovativi ma ugualmente regolamentati.