La partita di Generali si è spostata ora su Mediobanca e questo era scontato. Ma guadagnare il controllo di Piazzetta Cuccia, e di riflesso anche quello del Leone di Trieste, è partita tutt’altro che semplice. Qualcun altro infatti potrebbe scendere in campo, come Intesa Sanpaolo (ma non solo). Anche se i rumor sulla fusione tra Banca Imi e Mediobanca sembrano più fanta-finanza egoriferita che portatori di un progetto industriale razionale.

È insomma ancora tutto da scrivere lo scontro tra Mediobanca da un lato e il duo di ricchi imprenditori Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio dall’altro. Il primo round si è chiuso con una sonora sconfitta per questi ultimi sul campo Generali. Nelle ultime settimane prima del fatidico 29 aprile 2022 era apparso chiaro che questo sarebbe stato l’esito. Restava da capire l’entità della débâcle. E alla fine lo scarto – circa il 10% – è stato di ben oltre il 6% sperato dagli attaccanti, i quali avrebbero potuto rivalersi sulla presunta illegittimità del prestito titoli ottenuto dalla banca di Piazzetta Cuccia per accrescere il suo potere di voto.

Sta di fatto che tre consiglieri su 13 sono cosa nulla e già gli effetti si vedono in cda, dove ieri lunedì 2 maggio il ceo uscente, Philippe Donnet, sia stato riconfermato con dieci voti mentre il presidente Andrea Sironi votato all’unanimità. Così, intanto, Generali va avanti per la sua strada.

Ma come detto la battaglia per il controllo del conglomerato finanziario più importante del Paese non è certo finita qui.

La partita su Mediobanca

I riflettori sono ora puntati su Mediobanca, campo dove i due imprenditori potrebbero auspicare una rivincita nell’assemblea di ottobre 2023- quando si dovrà rinnovare il cda – dopo l’umiliazione subita e le ingenti risorse investite a Trieste. Si badi bene, quello di Mediobanca non è certo il terreno decisivo e finale: il controllo del Leone è e resta una delle posizioni più ambite fin dagli inizi del capitalismo italiano. Generali è la Champions League, per intenderci, Piazzetta Cuccia è la Coppa Italia, seppur propedeutica all’obiettivo.

Alberto Nagel

Non sarà una partita semplice per varie ragioni. A partire dalla presenza dell’imperituro amministratore delegato Alberto Nagel il quale difficilmente, giocando “in casa”, non sfodererà un altro asso nella manica per salvare capra e cavoli, così come ha usato il prestito titoli per tenere salde le mani su Generali. Cosa potrebbe fare Nagel? Guardiamo i numeri.

Al momento la cordata degli oppositori Caltagirone – Del Vecchio può contare in sostanza sul 19,4% in mano al patron di Luxottica più un 5% circa di Caltagirone (quella “fisica” del 3,1% e alcune posizioni lunghe per circa 2%)  e il 2,1% della famiglia Benetton, che lo scorso anno si era sciolta dal patto di consultazione. In totale siamo al 27% circa. Quota però che potrebbe aumentare e anche in un tempo relativamente breve. I ben informati, infatti, non escludono che Del Vecchio stia per chiedere o abbia già chiesto alla Bce l’autorizzazione di salire al 25% di Mediobanca. Mossa che complicherebbe non di poco la vita a Nagel.

Dal lato suo l’attuale ad può contare a oggi sul 10,7% del patto di sindacato, oltre all’1,7% di Unipol, ora guidata in tutto e per tutto da Carlo Cimbri, storico alleato dell’ad di Piazzetta Cuccia, nonché molto probabilmente sul 2% di Vincent Bollorè. In totale parliamo di un 15%, dato che costruisce uno scenario simile a quello di Generali. Per raggiungere gli sfidanti a Nagel basterebbe trovare un ulteriore 10-12% che agli attuali valori di borsa costerebbe poco più di 900 milioni di euro (considerando una capitalizzazione di Piazzetta Cuccia di circa 9 miliardi). Una delle opzioni sarebbe trovare il classico cavaliere bianco che corre in soccorso del numero uno della banca. Fra questi, ipotizza chi scrive, non è da escludere Unipol, tramite ad esempio Bper Banca. Cimbri è appena stato nominato presidente del gruppo, assumendo pieni poteri. E l’amicizia fraterna che lo lega a Nagel è più che nota negli ambienti finanziari. Inoltre a Bper, che sta crescendo e punta in alto, un Cib servirebbe… Ma ci sarebbe, naturalmente, anche Intesa Sanpaolo.

Intesa compra Mediobanca? Operazione senza senso industriale

La banca guidata da Carlo Messina è stata tirata in ballo da Tag43.it che in un articolo parla di una possibile opa di Intesa su Mediobanca con la regia di Nextalia, la società di Francesco Canzonieri che però è un private equity e non una boutique di consulenza. Ma al di la di queste sottigliezze e volendo scendere nel dettaglio dell’operazione, a proposito della quale Dealflower non ha trovato conferme, questa non sembra avere una particolare logica industriale. Anzi, un senso, come diceva Vasco Rossi, proprio non ce l’ha.

Intesa Sanpaolo Carlo Messina,
Carlo Messina

Secondo l’articolo, l’idea di Messina, che in passato aveva tentato di comprare Generali e poi si era dovuto ritirare davanti a una fuga di notizie, sarebbe quella di mettere un piede nel Leone comprando tutta Mediobanca per poi fonderla con Imi. Tralasciamo pure il fatto che Imi non è una società a sé stante ma è una divisione che anzi sta concludendo un lungo e complicato processo di integrazione (il quale, a rigor di logica, dovrebbe essere quindi smontato ancora prima di terminare) e concentriamoci sul business. Cosa potrebbe farsene Intesa, la prima banca del Paese, di Mediobanca? Di certo non avrebbe bisogno né della divisione wealth management, dove la banca di Ca’ de Sass è già presente con Eurizon, né del capital market, ben strutturato nel gruppo. Tanto meno gli servirebbe CheBanca!, la banca online di Piazzetta Cuccia, soprattutto dopo il lancio e i pesanti investimenti su Isybank, la digital banking del gruppo.  Nessuna o poche sinergie anche nel credito al consumo, laddove Intesa ha prodotti ad esempio come XMe Prestito Facile che si sovrapporrebbero alle attività di Compass.

Resta l’investment banking, dove Mediobanca può essere oggi considerata più forte (d’altronde è uno dei fiori all’occhiello del gruppo e Canzonieri veniva proprio da lì). Ma il gioco non varrebbe la candela. Senza contare poi il delicato tema del cambio di poltrone: siamo sicuri che Nagel, uscito vincitore dalla battaglia su Generali, si accontenti di fare il capo divisione? E siamo sicuri che Messina vorrà sostituire i fidati e stimati Mauro Micillo e Massimo Mocio, da tempo alla guida del Cib?

Inoltre, come detto, i numeri non sosterebbero la tesi. Mediobanca vale 9 miliardi. L’eventuale opa dovrebbe incorporare un premio standard di almeno – almeno – il 25-30%, portando il prezzo a circa 12-13 miliardi. Vale la pena spendere tutti questi denari per la divisione investment banking di Mediobanca? Tra l’altro, sempre secondo l’articolo, l’obiettivo finale sarebbe il 12,4% di Generali in capo a Piazzetta Cuccia. Quota che agli attuali prezzi di mercato costerebbe “solo” 3 miliardi o giù di lì, quindi decisamente più economico.

Come spiegato, questa operazione sembra difficile da realizzare. Resta però il fatto che il mercato si attende una mossa da parte di Intesa. Messina è stato finora a guardare in attesa della (formale) riconferma  e ora potrebbe entrare in campo e, ad esempio, fungere a tutti gli effetti da cavaliere bianco di Mediobanca. Ma a oggi è difficile dirlo. Tutti, intanto, restiamo in attesa di conoscere il nuovo appassionante capitolo della vicenda.

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