Più trasparenza sull’algoritmo utilizzato dalle piattaforme e se fissati i limiti della remunerazione allora non si è più autonomi ma dipendenti. La Commissione europea ha presentato il 9 dicembre la proposta di una direttiva per migliorare le condizioni dei lavoratori delle piattaforme online, come Just Eat, Delivero e Glovo. Si tratta ormai di più di un milione di lavoratori In Italia, per lo più rider o autisti che lavorano con le applicazioni, ma non solo. A livello mondiale i lavoratori autonomi della gig economy (cioè l’economia prodotta dallo scambio di prestazioni senza vincoli che conta ormai un giro d’affari da 14 miliardi nel 2020, da 3 miliardi nel 2016) sono ad oggi circa 28 milioni e diventeranno 43 nel 2025.

Secondo la Commissione, però, di questi circa 5,5 milioni sono erroneamente identificati come autonomi, quando invece dovrebbero rientrare nella categoria dei dipendenti. Per questo la proposta di una direttiva che dovrà poi essere legiferata dai singoli Stati europei e implementata nel proprio sistema entro due anni dalla sua entrata in vigore. Intento “meritorio”, ha sottolineato a Dealflower Mario Scofferi (nella foto sotto), partner dell’ufficio di Milano di Orrick che però aggiunge: “Rischia di ingessare il mercato”.

Mario Scofferi

Cosa dice la proposta di legge europea

Regole chiare e semplici per inquadrare tutti i lavoratori della gig economy. Questo è l’obiettivo di Bruxelles che propone che un lavoratore sia dipendente quando ricorrano almeno due dei cinque requisiti previsti: cioè quando è determinata di fatto o sono fissati dei limiti alla remunerazione; quando è imposta alla persona che esegue il lavoro il rispetto di specifiche norme vincolanti per quanto riguarda l’aspetto, il comportamento nei confronti del cliente del servizio o quando è controllata l’esecuzione del lavoro o verificata la qualità dei risultati del lavoro anche con mezzi elettronici; quando è limitata di fatto la libertà, anche mediante sanzioni, di organizzare il proprio lavoro (in particolare, orario o periodi di assenza, accettare o rifiutare compiti) o la possibilità di crearsi una clientela o di eseguire lavori per terzi (cioè, la libertà di poter lavorare per altre piattaforme concorrenti).

L’algoritmo poi utilizzato per valutare l’efficienza dei lavoratori dovrà essere reso pubblico dalle piattaforme. Il dipendente così saprà su che basi è valutato e quanto la sua performance impatti sui suoi guadagni. Le piattaforme dovranno poi comunicare alle autorità nazionali competenti il numero di persone che le usano per lavorare e la loro posizione contrattuale. Se le norme non saranno rispettate le piattaforme saranno sanzionate.

Il testo della direttiva sarà rivisto e discusso dal Parlamento europeo e dal Consiglio che dovranno proporre le proprie modifiche per poi convergerle in un testo finale. Successivamente spetterà agli Stati che dovranno anche controllare che non siano penalizzate quelle realtà in cui effettivamente i lavoratori conservano una loro reale autonomia, a dispetto dell’uso di una piattaforma e dell’adozione di algoritmi.

Eventuali conseguenze

La nuova normativa “risponde all’esigenza di dare maggiore protezione in termini di rischi e sicurezza a questo tipo di lavoratori che fino ad ora erano privi di ogni forma di tutela”, ha sottolineato Scofferi. Allo stesso tempo, però, porta con sé la preoccupazione, secondo l’avvocato, di poter “ingessare un po’ troppo (anche se dipenderà poi da come verrà predisposta nei singoli Paesi) un mercato che si caratterizza per essere gig, cioè composto da lavoratori che svolgono questa attività per lo più come secondo lavoro e per arrotondare e che dopo la pandemia è in forte crescita”.

Nello specifico, in Italia in tre anni i lavoratori della gig economy sono passati da 650mila a un milione e mezzo. “La maggior parte di questi ha tra i 30 e 49 anni e svolge questo lavoro per quattro ore al giorno come secondo lavoro – ha aggiunto Scofferi – Questo significa che il rimanente un altro impiego non ce l’ha e solo in questo modo riesce ad avere una forma di sostentamento e di occupazione”.

La normativa, quindi, potrebbe ridurre il bacino di occupazione del settore. “Più limiti e rigidità vengono introdotte, meno propensione ci sarà da parte dei datori di lavoro di ingaggiare nuovi lavoratori – ha aggiunto l’avvocato – Questo perché al momento, non avendo alcun vincolo, le piattaforme online sfruttano la flessibilità dei lavoratori e possono anche tenere in stand-by dieci persone (ed è sbagliato) rendendo il mercato estremamente competitivo. Alla clientela, infatti, viene offerto un servizio con un costo molto limitato”.

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