I leader del G20 nel vertice di Roma hanno approvato la global minimum tax sulle multinazionali, dopo anni di trattative. I potenti del mondo si sono impegnati ad attuarla entro il 2023, data fissata nel quadro Ocse dove era stata sottoscritta da 136 paesi su 140. Il provvedimento – che andrà a colpire in particolari i colossi del web cresciuti molto negli ultimi anni, da Amazon a Facebook – rappresenta secondo il premier Mario Draghi “l’ultimo passo di un anno di lavoro in cui si sono ottenuti pienamente risultati straordinari inseguiti per anni”. Siamo entrati nel dettaglio con l’avvocato Marco Busia, senior associate di Withers Studio Legale (nella foto) che segue le problematiche fiscali di clienti privati e corporate, italiani e internazionali. Anche se non sono state rese pubbliche le model rules, è possible iniziare a capire la direzione dello scenario fiscale per le multinazionali.
In cosa consiste l’accordo globale sulla minimum tax?
Consiste in un’intesa raggiunta a livello internazionale rivolta a garantire, attraverso un’azione unitaria e coordinata, un livello minimo di imposizione del 15% sui redditi conseguiti da determinati gruppi multinazionali. In termini generali, nel caso in cui un gruppo multinazionale sia soggetto in una o più giurisdizioni in cui esso opera, ad un livello di imposizione inferiore rispetto al livello minimo di imposizione (15%), la società di vertice del gruppo multinazionale sarà tenuta a corrispondere alle proprie autorità fiscali, il complemento al 15%.
Come cambierà quindi il sistema fiscale mondiale?
Le regole di imposizione del reddito non dovrebbero subire stravolgimenti. Le misure rivolte a garantire il livello minimo di imposizione sono destinate ad affiancare le regole ordinarie di imposizione interne. Nell’Unione europea l’accordo internazionale si tradurrà in una direttiva che dovrà essere trasposta nel nostro ordinamento nel corso del 2022.
Tradotto in numeri per l’Italia cosa potrebbe significare?
Principalmente un elevato costo di implementazione e gestione della normativa unitamente ad un verosimile e non significativo incremento delle entrate erariali. Il progetto persegue un obiettivo meritevole e condivisibile. Nondimeno, nella prospettiva dei gruppi multinazionali rilevanti, esso comporta un elevato costo di implementazione e di gestione. La disciplina appare invasiva, in termini di compliance, e pervasiva atteso che si applica ai gruppi multinazionali che hanno un fatturato mondiale annuo superiore a 750 milioni di euro ed interessa tutte le società incluse nel perimetro del gruppo, ad esempio subsidiary italiana con un fatturato modesto.
E quali altri impatti ci potranno essere secondo lei?
L’introduzione delle misure in questione potrebbe condurre ad un incremento dei costi di compliance fiscale per i gruppi multinazionali rilevanti con vertice in Italia. Per quanto riguarda, invece, i gruppi multinazionali che operano in Italia attraverso società o stabili organizzazioni, l’impatto dovrebbe essere limitato, in quanto è estremamente difficile che una società residente ai fini fiscali in Italia o una stabile organizzazione italiana di una società non residente sia soggetta ad un livello di imposizione effettiva inferiore al 15%.
In sintesi, quali conseguenze si immagina nel breve e lungo periodo?
Prevedo, anche nel breve periodo, l’avvio di una graduale riorganizzazione dei gruppi multinazionali rilevanti. Nel medio e lungo periodo, invece, è verosimile attendere una modifica delle legislazioni interne dei singoli Stati che ad oggi non garantiscono un livello di imposizione soddisfacente, con conseguente innalzamento del tax rate effettivo.
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