I paperoni del mondo non potranno più rifugiarsi nei paradisi fiscali. Durante il vertice di Roma del G20, 136 Paesi e giurisdizioni che rappresentano oltre il 90% del Pil globale hanno concordato – tramite l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) – di imporre una tassa minima globale del 15% sui guadagni delle grandi multinazionali con entrate superiori a 750 milioni di euro. Non importerà poi dove è locata la sede della società, le multinazionali con fatturato globale superiore a 20 miliardi di euro e redditività superiore al 10% dovranno versare almeno una quota di imposte nei Paesi in cui effettivamente operano e non in quelli in cui hanno la sede legale.

Secondo l’Ocse la nuova tassazione minima consentirà di ottenere 150 miliardi di dollari all’anno in tutto il mondo (circa 130 miliardi di euro) dalle società che finora hanno usufruito di una tassazione più bassa.

La misura punta a limitare le operazioni di elusione fiscale che fino ad adesso hanno permesso a diverse aziende di non pagare le tasse o pagarne meno, spostando la propria sede fiscale in un Paese dove il trattamento è più favorevole. Tuttavia i tempi sono lunghi e la proposta sarà valida solo una volta trasformata in legge dai singoli Paesi che hanno aderito all’accordo. Nel caso in cui poi le multinazionali porteranno l’attività e i profitti in Paesi che non fanno parte dell’accordo, queste dovranno comunque pagare la differenza tra l’aliquota di quella nazione e l’aliquota minima del 15% nel Paese d’origine.

Cosa ci guadagna l’Italia

Per l’Italia l’incasso annuale sarebbe di 2,7 miliardi, stando a quanto  ha calcolato l’Osservatorio fiscale europeo in uno studio sull’impatto di una potenziale tassa minima comune sui profitti. Anche il nostro Paese infatti potrebbe contare sui propri colossi nazionali: da Intesa Sanpaolo (il ceo è Carlo Messina) che secondo lo studio potrebbe portare introiti per 40,1 milioni di euro, mentre altri 72 milioni arriverebbero dai profitti di Unicredit, di cui l’amministratore delegato è Andrea Orcel. Da aggiungere poi i big dell’energia tricolore con Enel (l’Ad è Francesco Starace) che porterebbe 57 milioni di euro e Eni (con Ad Claudio Descalzi) altri 63 milioni.

 

 

 

Chi dovrà pagare

La tassa minima, che dovrà essere attuata entro il 2023, colpirà circa un centinaio di multinazionali, per lo più appartenenti ai settori della tecnologia, della moda e del farmaco.

Da Apple, Pfizer, Microsoft a General Electric, Johnson & Johnson, Google, Nestlè e Volkswagen. Società e aziende non potranno più scappare in altri Paesi e rifugiarsi in posti esotici, come nell’Oceano Pacifico o all’interno dell’Unione europea, dove ad esempio Irlanda e Paesi Bassi offrono tassazioni molto basse. Potranno spostarsi, ma la tassa minima sarà la stessa nei Paesi firmatari.

Ci sono poi delle eccezioni. Sono esclusi, infatti, diversi settori produttivi (quello estrattivo, petrolifero, dei trasporti marittimi e parte di quello dei servizi finanziari) e sono soggetti alla nuova tassa globale anche i singoli settori di un’azienda. Ad esempio, nel complesso Amazon (il nuovo Ad che ha sostituito Jeff Bezos è Andy Jassy) non rientra nei criteri di profitto previsti dall’accordo, ma potrà essere tassato Amazon web services, il suo settore di servizi per il cloud computing che invece ha profitti superiori al 10%.

I big del digitale

Tra i paperoni che non potranno più rifugiarsi nei paradisi fiscali ci sono Apple (di cui il Ceo è Tim Cook), Goggle (l’Ad è Sundar Pichai) e Facebook (di cui Mark Zuckerberg è fondatore e Ceo). Tutte accomunate dal fatto che avevano localizzato la loro sede legale in Irlanda. Il Paese, però, ha deciso ora di aderire all’accordo sulla Global tax, introducendo anche così un’aliquota globale minima del 15% per le aziende. Fino a questo momento, infatti, l’Irlanda permetteva di beneficiare di un trattamento fiscale favorevole pagando solo il 12,5% sui profitti (l’aliquota più bassa del mondo sviluppato).

Farmaci e vaccini

Non sono immuni nemmeno i big del pharma, Pfizer (l’ad è Albert Bourla) e Johnson & Johnson (di cui l’Ad è Alex Gorsky), che nell’ultimo anno si sono impegnati a contrastare il Covid-19 a colpi di vaccino distribuendo i loro prodotti a livello globale. Entrambe le società, infatti, si erano opposte alla tassa minima, sottolineando che “il settore farmaceutico sarebbe stato duramente colpito” da questa misura, come anche la ricerca.

Dall’informatica al petrolio

Nella lista è inclusa poi la multinazionale d’informatica Microsoft (di cui il Ceo è Satya Nadella) che secondo Statista è la seconda azienda più grande al mondo per capitale di mercato con 1,966 miliardi di dollari. Poi sono presenti in ambito di servizi e tecnologia la statunitense General Electric (l’Ad è H. Lawrence Culp Jr.), e International business machines (Ibm) (di cui l’Ad è Arvind Krishna). Come anche la multinazionale attiva nel settore alimentare, con sede a Vevey, in Svizzera, Nestlè (di cui il Ceo è Ulf Mark Schneider) che produce e distribuisce dall’acqua minerale agli omogeneizzati, dai surgelati ai latticini, l’automobilistica tedesca Volkswagen (di cui l’Ad è Herbert Diess) e una delle principali compagnie petrolifere statunitensi Exxon Mobil Corporation (di cui l’Ad è Darren Woods).

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