Così come tanti altri settori economico-finanziari, la pandemia di Covid-19 ha rallentato anche il mercato del factoring, sceso dell’10,83% a 228 miliardi di euro di turnover cumulativo, cioè il 14% del Pil italiano.
La buona notizia è che però nel 2021 il mercato sta ripartendo, come testimoniano i dati di Assifact. Stando infatti all’associazione di categoria, nel mese di maggio il turnover del factoring italiano è cresciuto di circa il 49% rispetto allo stesso mese dell’annus horribilis 2020, portando a +9,82% la crescita del volume d’affari cumulativo dei primi cinque mesi.
Qui però bisogna fare attenzione. Come spiega a Dealflower Fabio Bolognini, co-fondatore della piattaforma di factoring digitale Workinvoice, “non siamo ancora ai livelli di pre-pandemia, quando il turnover (dati 2019 ndr) era pari a 255 miliardi di euro”.
Lo si capisce anche dagli stessi dati al mese di maggio. Nei primi cinque mesi del 2021 il turnover è stato di 92,74 miliardi di euro, quasi il 10% in più dello stesso periodo del 2020, come si diceva, ma meno dei 94,56 miliardi del 2019.
La ripartenza, continua Bolognini, “è normale e fisiologica del momento di complessiva ripresa che stiamo vivendo” e segue il rimbalzo del fatturato industriale nel secondo trimestre del 2021. Si tratta di un andamento in linea con quanto accaduto a livello globale, dove l’Italia anche nel 2020 ha comunque mantenuto le posizioni con una quota dell’8,4% del factoring mondiale e del 12,4% di quello europeo.
Ciò che è veramente significativo, osserva Bolognini, è la crescita importante delle operazioni di supply chain finance (11% del totale a maggio 2021 pari a 10,1 miliardi), cioè quei servizi e soluzioni che un’impresa può usare per finanziare il capitale circolante, facendo leva anche sul ruolo che essa appunto ricopre entro la filiera in cui opera, che hanno raggiunto nel 2020 il 10% del volume d’affari a 22,3 miliardi (+20,78% sul 2019), 21 dei quali derivanti dal reverse factoring – quando è l’azienda debitrice che propone l’operazione di factoring, assumendosi il rischio e allo stesso tempo supportando il circolante a monte della filiera. “È la vera buona notizia, perché dimostra come durante la pandemia le grandi aziende capofiliera abbiano compreso quanto sia importante avere una filiera finanziariamente solida e quindi il ruolo che tali aziende deve svolgere per garantire questa solidità”. Per Bolognini “è un gran salto in avanti, figlio della pandemia, e che continuerà anche in futuro”.
Allo stesso modo, il presidente di Assifact Fausto Galmarini ha inoltre sottolineato, sempre in ambito di supply chain finance, i significativi tassi di crescita del confirming, che nel 2020 il confirming ha generato 1,3 miliardi di euro di volume d’affari.
“Si tratta di una notizia positiva perché il confirming è un sistema innovativo in cui un’azienda incarica la società di factoring o una banca di gestire i debiti commerciali verso i propri fornitori, che possono incassare i loro crediti o avere anticipazioni in tempi abbreviati, mentre l’azienda può ottenere dilazioni di pagamento”, commenta Bolognini, il quale però evidenzia come “per le banche la nuova definizione di default, in vigore dall’1 gennaio 2021, potrebbe essere un problema”. Su alcuni crediti, come quelli verso la pubblica amministrazione (17,2% del totale), parte del guadagno sta proprio nella sanzione applicata sul ritardo nel pagamento, che arriva fino all’8% ad esempio per i crediti sanitari.
Tornando ai dati Assifact, le aziende che rivolgono al factoring sono quasi 33 mila, il 60% di queste sono piccole e medie imprese. Resta inoltre alta la qualità del credito: le esposizioni deteriorate in calo al 4,05% del totale, livello inferiore al settore bancario (4,4%) che pure nel 2020 è stato favorito da misure straordinarie di sostegno alla liquidità. Le sofferenze del factoring scendono ai minimi degli ultimi anni: 1,79% delle esposizioni totali.
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