“If I only could/ I’d make a deal with god” cantava nel 1985 Kate Bush nella sua Running up that hill. E il deal con dio, almeno quello della musica, deve averlo fatto alla fine. Perché nell’ultimo mese il brano è tornato di grandissima moda grazie alla presenza nella colonna sonora della serie del momento di Netflix cioè Stranger Things, alla sua quarta stagione, consentendo all’autrice 63enne un guadagno inaspettato a quasi 40 anni dall’uscita della canzone.

Per far capire di cosa stiamo parlando, Stranger Things 4 è stata la serie più vista di sempre sulla piattaforma e dal 23 di maggio al 5 giugno scorso gli utenti hanno guardato 12,1 miliardi di minuti (circa 200 milioni di ore).

Il brano principale della colonna sonora è proprio Running up that hill che, come prevedibile, è entrata nel loop dei social media tanto da essere stata usata 2 milioni di volte solo su Tik Tok. Inoltre, il video è il 59esimo tra i 100 più visti al mondo su YouTube nelle ultime due settimane mentre il brano è stato ascoltato in streaming 465 milioni di volte a livello globale ed è finito in prima posizione nella Billibord 200 global chart.

Ma quanto ha guadagnato Kate Bush con la riscoperta di Running up that hill? Stando alle somme che circolano, riportate per da CBS News citando dati Nielsen, l’artista avrebbe guadagnato 2,3 milioni di dollari soltanto dalle royalties legate allo streaming. La cifra si riferisce al periodo tra il 27 maggio (data di uscita della prima parte – Volume 1 – della serie) e il 23 giugno 2022, e probabilmente oggi, dopo il release del Volume 2 a inizio luglio, la cantante avrà continuato a guadagnare.

Diritti in vendita

Inoltre questi oltre 2 milioni derivano soltanto le royalties e non comprendono uscite alla radio, vendite di cd, vinili o altre forme di riproduzione dell’album o del brano e l’eventuale compenso fornito a Bush da parte di Netflix. Un’estate particolarmente ricca per la cantante, dunque, che è possibile grazie soprattutto al fatto che Bush possiede (ancora) i diritti della sua musica. Le royalties anzi pare fornirebbero l’80% dei ricavi della cantante.

Si tratta di un dettaglio non da poco considerando invece il trend, decisamente opposto, delle star della musica che cedono diritti editoriali o interi cataloghi alle major o ai fondi di investimento.

Uno fra gli ultimi è stato, a fine maggio, Justin Timberlake – cantante pop diventato famoso nei primi Duemila con i brani What Goes Around… Comes Around e Cry me a river – ha venduto il suo catalogo musicale al fondo Hipgnosis, società del produttore musicale Merck Mercuriadis, partner del gruppo di private equity Blackstone, per una somma che si aggira sui 100 milioni di dollari. Prima ancora ci sono stati Bob Dylan, che ha venduto a Universal Music Publishing i diritti editoriali e a Sony Music i master dell’intero suo catalogo, rispettivamente per 300 e 150 milioni di dollari, a partire dal 2020; Julian Casablancas (43 anni) frontman degli Strokes, che ha venduto al fondo Primary Wave una quota dei diritti del songbook della band, Neil Young, che ha venduto proprio a Hipgnosis Songs Capital il 50% dei diritti del suo catalogo (1.180 brani).

Il deal più importante in termini di volumi è stata la cessione da parte di Bruce Springsteen del suo catalogo a Sony Music per oltre 500 milioni anche se ora i riflettori sono puntati sui Pink Floyd, che avrebbero messo in vendita i diritti del loro catalogo musicale (incluso il brano The Wall) per oltre 500 milioni. Attualmente sarebbe in corso una gara tra Warner Music e Bmg per aggiudicarseli.

Mercato in crescita

Che il business sia interessante lo dimostra l’attivismo di Blackstone, che sul settore ha puntato un miliardo di dollari creando una partnership con Hipgnosis per l’acquisto di cataloghi musicali. Ma anche i numeri lo confermano: l’associazione dell’industria discografica mondiale (Ifpi – International Federation of the Phonographic Industry) ha stimato che il settore vale 25,9 miliari di dollari mentre la Cisac (Confederazione Internazionale delle Società di Autori e Compositori) che il business del diritto d’autore sia di 9,32 miliardi.

Come riportato dal Sole 24 Ore, Goldman Sachs ha stimato che nel 2030 il giro d’affari per il music business sarà di 131 miliardi, dei quali oltre 50 legati alla discografia mentre 11,6 miliardi all’editoria musicale. E l’Italia? Nel 2021, stando ai dati Deloitte/Fimi, il settore discografico italiano è tornato nella top ten dei più importanti mercati a livello globale con un 27,8% di crescita a oltre 332 milioni di euro di ricavi.

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