Che la decisione della Security exchange commission (Sec), cioè la Consob statunitense, di approvare l’avvio di Etf sui Bitcoin segni un punto di svolta per la valuta digitale è fuori discussione. Tutti gli esperti concordano nel dire che questa legittimazione, frutto della commistione tra strumenti finanziari tradizionali e digitali, aprirà ora la strada almeno negli Usa (gli Etf approvati sono infatti acquistabili solo lì) a nuovi e significativi investimenti nella criptovaluta anche grazie al coinvolgimento degli investitori istituzionali.

“Da un punto di vista regolamentare – ha spiegato al Sole24Ore Ophelia Snyder, co-fondatrice e presidente di 21Shares – questa emissione riduce la percezione sul rischio legato al Bitcoin per quei consulenti che vogliono investire nel settore, in quanto da ora in poi potranno essere sicuri che non finiranno nei guai per aver acquistato questi prodotti e potranno contare su una struttura nota, che garantisce liquidità, trasparenza e nessun effetto premium/discount, il che costituisce un ulteriore incentivo”.

Per Eric Demuth, co-founder e Ceo di Bitpanda, “a lungo termine la maggiore liquidità e il volume più elevato porteranno a un aumento del prezzo del Bitcoin (il cui valore è stimato a oltre 100mila dollari ndr) e potrebbero anche contribuire a ridurne la volatilità”. Punto cruciale, questo, considerando che era proprio l’elevata oscillazione del prezzo a rendere la criptovaluta più famosa un asset ad alto rischio.

Sono però due le riflessioni che vorrei fare.

La prima è legata all’evoluzione della finanza. Come dimostrato dal fatto di cui sto parlando, la finanza ancora una volta ha trovato il modo di allontanarsi dagli asset tangibili: la creazione della ricchezza è sempre più slegata alla crescita reale. E ciò non potrà che polarizzare ulteriormente il possesso di tale ricchezza, con conseguenze sociali che adesso possiamo solo intuire.

La seconda riguarda il Bitcoin e la sua origine. Chi si ricorda il manifesto pubblicato il 31 ottobre 2008 dal fantomatico e misterioso inventore del Bitcoin Satoshi Nakamoto (lo trovate qui) sa bene che le criptovalute – e la tecnologia su cui si poggiano cioè la blockchain – nascono per porsi come strumento alternativo alla finanza tradizionale: le valute digitali e autolegittimate dovevano essere foriere di disintermediazione, più che di speculazione. Come spiegato nel manifesto:

 A purely peer-to-peer version of electronic cash would allow online payments to be sent directly from one party to another without going through a financial institution.

Di fatto, con il via libera agli Eft sui Bitcoin, questo scopo originale viene meno. Come ha sapientemente riassunto il collega della redazione Giacomo Iacomino: “Volevano de-istituzionalizzare il mercato. E invece è stato istituzionalizzato il Bitcoin”. Il problema, a mio avviso, è insito nell’uso del Bitcoin e delle altre crypto: le chiamiamo “valute” ma in che misura sono usate come strumento di scambio? Ha ancora senso identificarle come monete? Probabilmente no.

L’11 gennaio 2024 sarà quindi un giorno felice per chi fa affari con i Bitcoin ma non per chi sperava in una maggiore democratizzazione della finanza.

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