Riassunto

I top management delle banche italiane non sono assillati dalla crisi economica causata dal Covid-19. Il rischio di credito, tramite le garanzie pubbliche, è stato scaricato sul contribuente. Quindi c’è tempo e modo di dedicarsi ai piani di aggregazione, sfruttando i vantaggi fiscali dei merger, sebbene il governo Draghi abbia deciso di non rafforzarli. La mossa di apertura della nuova partita a scacchi l’ha fatta Intesa Sanpaolo, mettendo le mani su Ubi Banca. Gli occhi, ora, sono puntati sulla nuova UniCredit targata Andrea Orcel. La banca ha sul tavolo un ampio ventaglio di opzioni fra le banche di medie dimensioni. Ma, spinta da alcuni grandi azionisti (Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone), potrebbe puntare all’operazione di sistema con Generali. E poi c’è Banco Bpm che lavora al terzo polo, nonché le partite minori. Di certo, il riassetto non riguarderà soltanto le banche. Coinvolgerà il risparmio gestito, perché il wealth management è la gallina dalle uova d’oro a cui tutto puntano. E le assicurazioni, perché gli accordi di bancassurance sono la chiave di volta per far quadrare i deal.

 

Il calcio d’inizio della nuova partita delle aggregazioni tra banche italiane l’ha dato Intesa Sanpaolo. L’opas su Ubi Banca, datata febbraio 2020, rappresenta uno spartiacque, il punto di partenza della prima ondata del domino che dovrebbe vedere tante tessere cadere in sequenza. Ondata che, a causa della crisi economica scatenata dalla pandemia da coronavirus Covid-19, ha perso vigore sul nascere, trasformandosi in increspatura dell’acqua. Ma, una volta intravista la luce in fondo al tunnel, il tema delle aggregazioni è tornato prepotentemente d’attualità, complici anche i cambi al vertice di alcune delle realtà finanziarie più rilevanti e la spinta dei benefici fiscali.

Gli istituti di credito dovrebbero vivere con angoscia una fase storica complicatissima per il Paese, alle prese con alcune certezze (migliaia di imprese con fatturati decurtati, quando non azzerati) e tante incognite (innanzitutto, il rilancio dell’economia). Per quanto possa suonare cinico, però, memori della mazzata ricevuta con la crisi nata dai mutui subprime Usa, le banche, attraverso il sistema delle garanzie sui prestiti, hanno scaricato il rischio di credito sullo Stato (Mediocredito Centrale e Sace).

Insomma, se ci sarà un’ondata di non performing exposures (e ci sarà, una volta scadute le moratorie, perché la ripresa non potrà evitare che una fetta consistente di utp diventi npl e, nei settori più colpiti dal Covid, non potrà essere così impetuosa e rapida da compensare oltre un anno di fatturati a picco), le banche dormiranno comunque sonni relativamente tranquilli: toccherà alla politica, nazionale e a livello europeo, trovare le soluzioni. E i top manager, di conseguenza, hanno tempo per dedicarsi a studiare le aggregazioni, cercando di spingere al massimo sulla leva dei vantaggi fiscali.

Attesa per le mosse di Orcel

Il processo di concentrazione delle banche commerciali è destinato a proseguire, sia per via delle tendenze di mercato (chiusura delle filiali fisiche e spostamento sui servizi digitali), sia per effetto della pressione dei regolatori. L’Italia ha visto crollare il numero di sportelli negli ultimi dodici anni: secondo i dati della World Bank, si è passati dal picco del 2008 di 62,62 filiali ogni 100mila abitanti ai 38,79 sportelli del 2019.

L’operazione del gruppo guidato da Carlo Messina su Ubi ha visto il coinvolgimento di Bper Banca, che ha messo le mani su oltre 600 sportelli, un passo nel processo di crescita in vista di un ulteriore salto. Unipol ha poi deciso di defenestrare Alessandro Vandelli e sostituirlo con Piero Luigi Montani, manager di lungo corso, giudicato più adatto a guidare la nuova fase dell’istituto emiliano.

L’impressione del mercato è che la seconda ondata partirà dalla nuova UniCredit targata Andrea Orcel (nella foto di copertina). Il manager scelto dagli azionisti per traghettare Piazza Gae Aulenti verso nuovi mari, dopo che Jean Pierre Mustier aveva salvato la barca che stava affondando, sembra avere l’imbarazzo della scelta. Banca Monte dei Paschi di Siena pareva la scelta obbligata. Ma il negoziato è entrato in stallo dopo l’uscita di Mustier e il cambio di governo.

Mario Draghi, per quanto debba muoversi con cautela per non pestare i calli dei leader dei partiti di maggioranza, è uomo di mercato e di certo non vorrà imporre a Orcel una soluzione sgradita. Resta il fatto che il Tesoro deve trovare una via d’uscita da Mps entro l’anno, diversamente calerà la mannaia di Bruxelles.

Sul tavolo di Orcel c’è anche l’ipotesi Banco Bpm. Sino a qualche mese fa pareva che l’istituto guidato

GIUSEPPE CASTAGNA

da Giuseppe Castagna (nella foto a destra) fosse destinato a convolare a nozze con Bper. Il negoziato si è arenato perché entrambi i promessi sposi hanno deciso di guardarsi attorno in cerca di partner più appetibili.

Non è detto che li trovino, per cui potrebbero riannodare i fili del dialogo e fidanzarsi. Castagna ha detto di voler costruire un terzo polo, alternativo a Intesa Sanpaolo e UniCredit: un matrimonio con quest’ultima, insomma, non sarebbe nei piani del numero uno di Banco Bpm.

I vantaggi fiscali

L'appetibilità di Mps non è stata incrementa dal decreto Sostegni Bis, che, secondo le bozze circolate prima dell'approvazione, avrebbe dovuto prevedere una serie di modifiche alla normativa sulle Dta (deferred tax asset), ovvero le perdite fiscali, che già da inizio anno possono essere trasformate in credito d’imposta, quindi in capitale, in caso di fusione con altre banche, a fronte della corresponsione di “commissioni”, deducibili ai fini Ires e Irap, pari al 25% dell'importo.

Contrariamente alle attese delle settimane scorse, il tema Dta è rimasto fuori dal Sostegni Bis.

L'esecutivo guidato da Draghi, inoltre, ha deciso di non allungare di sei mesi, al 30 giugno 2022, il termine previsto per deliberare la business combination. Una mossa tattica, per spingere i management delle banche ad accelerare i tempi delle valutazioni. I cda dovranno decidere entro fine anno, ma l'approvazione delle assemblee potrà arrivare nel 2022.

Il governo ha fatto marcia indietro rispetto all'ipotesi di incrementare la soglia delle Dta convertibili (da entrambi i versanti) al 3% dal 2% precedente del totale degli attivi della banca più piccola coinvolta nella fusione. Si sarebbe trattato di una norma che avrebbe abbellito soprattutto Mps, che ha in portafoglio Dta per circa 3,8 miliardi.

Secondo i calcoli di Deutsche Bank, il tesoretto delle Dta vale circa 11,6 miliardi per gli istituti italiani (contro i 10,8 miliardi precedenti). Con l’ultima legge di bilancio, il governo aveva consentito alle banche di trasformare le Dta in capitale in caso di fusioni, da approvare però entro fine anno.

Se Orcel decidesse di puntare su Siena avrebbe in dote benefici per circa 3,4 miliardi, con un impatto sul Cet1 della combined entity stimato da Equita in 90 punti base, 30 punti in più rispetto alla normativa precedente.

Un'eventuale fusione tra UniCredit e Banco Bpm genererebbe un beneficio fiscale stimato in circa 4,1 miliardi. Ma, in questo caso, il contributo principale arriverebbe dalle Dta di Piazza Gae Aulenti (circa 4,35 miliardi), mentre il gruppo guidato da Castagna ne porterebbe in dote per circa 1 miliardo.

Un innalzamento della soglia delle Dta convertibili al 3% avrebbe consentito a UniCredit di pensare a una fusione a tre con Mps e Banco Bpm. L'esclusione dal Sostegni Bis del provvedimento rende questa ipotesi troppo complessa, poco percorribile.

Resta in piedi per UniCredit, secondo diversi osservatori, la strada dell’aggregazione crossborder. Mustier era andato vicino a unirsi a Société Générale: il fatto di essere francese, paradossalmente, l’aveva svantaggiato agli occhi degli azionisti. Orcel potrebbe riprendere in mano il dossier, guardandolo con occhi italiani.

Grandi manovre su Generali

Attenzione, poi, a un’ipotesi che sta prendendo quota, ovvero la nascita di un colosso della bancassurance dall’unione fra UniCredit e Generali. Orcel, dunque, realizzerebbe il grande sogno di Messina, consentendo alla banca presieduta da Pier Carlo Padoan di battere per una volta la rivale.

L’aggregazione UniCredit-Generali genererebbe vantaggi enormi sui fronti fiscale e regolatorio; soprattutto, in termini industriali permetterebbe a Piazza Gae Aulenti di recuperare il terreno perso nel wealth management con la cessione forzata di Pioneer ad Amundi. Non si tratterebbe certo di un’operazione banale. Perché prenda corpo occorre superare l’ostacolo Mediobanca, i cui destini sono intrecciati con quelli di Generali.

LEONARDO DEL VECCHIO

A distribuire le carte sarà Leonardo Del Vecchio (nella foto a sinistra), che probabilmente arriverà all’assemblea di Mediobanca del prossimo ottobre con una partecipazione vicina al 20% del capitale, come da autorizzazione Bce. Per intanto, l'imprenditore, comprando ai blocchi il 2% di Fininvest, è arrivato al 14,5% del capitale.

Arrivato a ridosso del 20%, Del Vecchio sarà tenuto a chiarire quale futuro immagina per la banca d’affari e per Generali, di cui il patron di EssilorLuxottica è azionista di peso (con il 4,8% del capitale). Sponsor di Orcel, Del Vecchio spinge per la nascita di un player che presidi il risparmio degli italiani: mettere assieme UniCredit e Generali andrebbe in questa direzione.

Intanto, nell’assemblea di Generali di fine aprile è stato Francesco Gaetano Caltagirone – che con Del Vecchio ha formato una sorta di club dei super-liquidi, iniettando risorse nel gotha della finanza italiana – a contestare la linea del management guidato da Philippe Donnet, segnando la presa di distanza attraverso il mancato deposito delle azioni. Schermaglie che sembrano anticipare battaglie ben più sanguinose in futuro.

E Mediobanca? Del Vecchio vorrebbe fosse solo una banca d’affari, mestiere che fa da sempre e benissimo. Nel quadro dell’intesa fra la banca guidata da Orcel e il Leone di Trieste non è improbabile che, anche per ragioni antitrust, Banca Generali finisca sul mercato, tornando nel mirino di Piazzetta Cuccia.

Le partite su assicurazioni e wealth management

Un’aggregazione fra Generali e UniCredit probabilmente farebbe scattare un doppio domino, tra compagnie assicurative e società di asset management. L’impressione del mercato è che il processo di consolidamento sia pronto a esplodere e aspetti solo la prima mossa.

Un passo l’ha fatto Generali, vestendo, dapprima, i panni del cavaliere bianco di Cattolica Assicurazioni, rafforzandone il patrimonio, rivelandone oltre il 23% del capitale e poi lanciando un'opa sulla parte del capitale. Mossa offensiva, perché rafforza ulteriormente la presenza del Leone di Trieste sul mercato italiano. E contestualmente difensiva, perché la compagnia triestina diventa un boccone ancora più grande.

Unipol manovra i fili di Bper anche in chiave di accordi di bancassurance: il futuro della banca emiliana passerà necessariamente attraverso il filtro di Carlo Cimbri, che sta setacciando il mercato in cerca della soluzione che consenta alla compagnia di crescere ancora.

L’intreccio tra accordi di bancassurance e sviluppo dell’industria del wealth management ridisegnerà il panorama finanziario nei prossimi anni, con tanti player coinvolti oltre a quelli già citati: Azimut, Arca, Finecobank, Anima, Mediolanum e Vittoria, giusto per citare i principali.

Attenzione, poi, a quegli istituti che sono rimasti sinora ai margini dei grandi giochi, ma potrebbero entrare nel nuovo giro di aggregazioni. Riflettori puntati soprattutto su Carige e Banca Popolare di Sondrio. Quest'ultima pare nel mirino di Bper Banca: UnipolSai è salita al 9,1% del capitale, prologo probabilmente a un'alleanza fra le banche emiliana e lombarda.

Ma i rumours di mercato indicano che Cimbri e Montani non si fermeranno all'unione fra Bper e Pop Sondrio, puntando a un'aggregazione a tre. Candidati sono il solito Banco Bpm e Carige. Non è escluso, però, che Bper si candidi a comprare asset di Mps in caso che Siena venga destinata a UniCredit. Montani, insomma, seguirebbe la strada tracciata dal predecessore, che con Intesa-Ubi si è portato a casa oltre seicento sportelli, messi sul mercato per ragioni antitrust.

In attesa che comincino a cadere le tessere più importanti, Credit Agricole ha messo le mani sul Credito Valtellinese. Un deal semplice, sulla carta, perché la banca francese era già azionista e partner di bancassurance dell’istituto lombardo. Ma che si è rivelato più complesso del previsto. Ostacolato dal consiglio di amministrazione guidato dall’amministratore delegato Luigi Lovaglio e da alcuni soci rilevanti, l’Agricole ha dovuto alzare sostanzialmente il prezzo per ottenere il via libera.

Bnl, controllata da Bnp Paribas, potrebbe presto rispondere alla mossa della rivale francese. In carica dal 28 aprile, l’amministratore delegato Elena Goitini ha trovato sul tavolo il dossier sui piani di crescita di Bnl. Occorre replicare alla mossa della banque verte e bisogna farlo in fretta.

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