Il mercato volontario dei crediti di carbonio sta subendo dal 2021 un incremento vertiginoso in termini di volume economico, pur essendo totalmente basato solo sulla volontarietà e su obiettivi reputazionali, grazie alle politiche ‘green’ delle agende interazionali. Nel 2021 ha raggiunto circa 1 miliardo di dollari di volume con una stima a qualche decina di miliardi entro il 2050. Il tutto in virtù degli Accordi internazionali che prevedono di azzerare l’impronta di carbonio antropica tra 2050 e 2070.

Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e favorire una transizione energetica ed ecologica verso delle vere e proprie Climate Neutral Smart Cities, come richiesto dalla Iv Eu Mission, caratterizzate da una vita urbana a impatto zero, ritengo auspicabile che le necessità tecniche ed ingegneristiche si trasformino in dibattito istituzionale, focalizzadonsi anche sullo sviluppo dei crediti di carbonio da riduzione o da evitata emissione di anidride carbonica, come già avvenuto in Italia per quelli da assorbimento e segregazione del carbonio per fotosintesi. Ad oggi parliamo di strumenti finanziari destinati a un mercato completamente volontario, non soggetto a sanzioni, senza quote minime da raggiungere e rivolto a soggetti pubblici e privati.

I crediti di carbonio sono una delle chiavi per poter accelerare la trasformazione di ogni processo antropico da economia lineare a circolare, ovvero un modello economico ad emulazione ‘naturale’, in cui non ci sia spreco di risorse e in cui tutto ciò che costituisce scarto o residuo di processo è utilizzabile come materia prima in altri cicli produttivi o antropici.

“Occorre tuttavia una maggiore regolamentazione del meccanismo e la nostra azienda, impegnata in prima linea per accompagnare le transizioni energetica, digitale ed ecologica del Paese, vuole suggerire una possibile strada da percorrere ai maggiori esperti di cambiamenti climatici presenti oggi alla COP 28. L’idea di cui ci siamo fatti promotori e già in parte stata recepita dallo Stato italiano per i crediti di carbonio agroforestali, ovvero quelli da assorbimento e segregazione dell’anidride carbonica con la fotosintesi, è quella di istituzionalizzare un Registro dei crediti di carbonio da ‘riduzione e/o evitata emissione’ di Green House Gases. Anche questo Registro, come quello dei crediti agroforestali gestito in Italia da Crea, dovrebbe avere come certificatore istituzionale un ente o un organismo dello Stato, come, per esempio, Ispra, Enea, Cnr o altri.

Attraverso questo mercato, regolato, da questo Registro, si darebbe la possibilità agli stakehoder pubblici e privati che necessitassero e volessero contribuire alla decarbonizzazione delle loro attività, di comprare da coloro in grado di certificarla, la decarbonizzazione da loro ottenuta anno su anno grazie all’attivazione di pratiche antropiche nuove e virtuose, finanziandone, in questo modo il payback e l’evoluzione.

L’esempio più immediato è proprio quello delle cities che, pian piano, si dovranno obbligatoriamente trasformare in Climate Neutral Smart Cities, visto che emettono il 72% dei Green House Gases. Ciò avverrebbe grazie al contributo di una corretta gestione della transizione energetica che, coniugata con quella digitale e con l’attivazione di buone pratiche di gestione dei vari fenomeni antropici, abilitasse l’agognata transizione ecologica attraverso efficienti ed efficaci processi di smart governance. Dal canto suo, lo Stato potrebbe tassare le transazioni dei crediti di carbonio, come per ogni altra transazione economica, andando ad applicare l’Iva e altre imposte, generando così un introito anche per le proprie casse, o diventare lui stesso compratore dei crediti, la cui crescita e la cui remuneratività nei prossimi anni è data per certa. Basti pensare che in Europa, dall’uscita del piano Next Generation Eu in poi, sul mercato volontario si è passati da un valore medio di 7 euro a credito a quasi 40 euro e al record di 102 euro di inizio 2023 sul mercato regolamentato Ets, quello dedicato alla decarbonizzazione dei processi industriali e sostenuti dalle misure ‘hard to abate’.

Il valore aggiunto che deriva dallo sviluppo dei crediti di carbonio riguarda sia nuovi mercati e possibilità di guadagno per le imprese, sia la qualità della vita di tutta la comunità che intorno ad esse vive e con cui si relaziona. I crediti di carbonio generano, infatti, ricchezza come premialità alla decarbonizzazione, facendo anche da motore sociale per una vita più improntata sulla crescita sostenibile.

Spostando l’attenzione sulle imprese, inoltre, occorre constatare quanto l’utilizzo di crediti di carbonio costituisca un importante strumento reputazionale e, data l’attenzione crescente degli investitori verso le tematiche ambientali, diventi un biglietto da visita di prim’ordine per attirare capitali sia locali che stranieri e per raggiungere gli obiettivi Esg previsti dalle normative. Il trading dei crediti di carbonio sarebbe, infine, chiaramente un acceleratore della rigenerazione urbana e dell’evoluzione delle cities in Climate Neutral Smart Cities del futuro.

Oltretutto, spingerebbe obbligatoriamente all’innovazione di chi inquina e che non può tendere, nel breve, a Net Zero per elevati costi tecnologici o problemi di mercato. Qualunque compratore di crediti di carbonio, infatti, quando fosse costretto a comprarsi la neutralità da altri a più di quanto dovrebbe investire per innovarsi, sceglierà l’innovazione, rendendo costante e permanente nel tempo la sua ‘tensione’ alla neutralità carbonica.

 

Sull’autore

Francesco De Bettin è presidente di DBA Group

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