L’industria del private equity vive un problema che non andrebbe sottovalutato. È un paradosso più che un problema, in realtà, ma a cui va comunque trovata una soluzione. E cioè: pur essendo un investimento che rende – nel lungo periodo e a certe condizioni – oggi gli investitori istituzionali sono praticamente costretti a vendere le loro quote per questioni di bilancio.
In Italia non esiste ancora un vero e proprio mercato secondario di questo tipo ma all’estero si ed è ciò che sta accadendo.
Qualche esempio. Il fondo pensione British Columbia Investment, stando a quanto riportato da Bloomberg, starebbe valutando la vendita di 2 miliardi di dollari in attività di private equity sul mercato secondario per raccogliere capitali da destinare ad altri investimenti. Il fondo pensione sarebbe vicino a concludere la vendita di alcuni dei suoi investimenti incentrati soprattutto in Europa ed è nel mezzo di trattative per ridurre alcune delle sue posizioni negli Stati Uniti.
L’obiettivo principale sembra essere quello di riequilibrare il portafoglio di BCI e di liberare liquidità dagli investimenti attraverso i fondi per sfruttare potenziali opportunità anche di co-investimento diretto.
In generale, parecchi investitori istituzionali hanno già raggiunto i loro limiti di allocazione al private equity dopo che l’aumento dei tassi di interesse dello scorso anno ha causato una rapida correzione delle obbligazioni e delle azioni. Questo li costringe a valutare la possibilità di dismettere alcune partecipazioni per creare spazio per nuove.
Per fare un esempio, negli Usa, i fondi pensione hanno visto aumentare la loro quota di queste operazioni sul mercato secondario di 9 punti percentuali a livello globale – o quasi 2 miliardi di dollari – rispetto al 2021, in quanto hanno adeguato i loro portafogli. Tutto questo nonostante i rendimenti siano più che allettanti. Come comunicato dallo stesso BCI, che investe i risparmi pensionistici dei lavoratori del settore pubblico della British Columbia, il fondo pensione ha registrato un rendimento del 3,5% per l’anno conclusosi il 31 marzo, a fronte di un aumento dello 0,3% generato dal proprio benchmark interno, per un patrimonio salito a 215 miliardi di dollari canadesi (163,4 miliardi di dollari).
I settori del private equity, delle infrastrutture e delle risorse rinnovabili hanno contribuito in modo significativo ai guadagni, ha dichiarato BCI nel comunicato. Il fondo pensione detiene 28,3 miliardi di dollari in attività di private equity, con un aumento del 4,7% rispetto all’anno fiscale precedente, segno dell’interesse verso il comparto.
Anche il Canada Pension Plan Investment Board starebbe valutando la vendita di 3 miliardi di dollari di asset privati sul mercato secondario, come riportato da Bloomberg all’inizio del mese, mentre la Caisse de Depot et Placement du Quebec, il secondo più grande gestore di pensioni del Paese, avrebbe venduto 2 miliardi di dollari di investimenti privati sul mercato secondario nel 2022 ed è aperta a un’altra transazione di dimensioni simili quest’anno.
Insomma, pur essendo un asset che fa bene al portafoglio, gli alternativi e il private equity in particolare pesano sui bilanci per la rivalutazione legata al rialzo dei tassi. La domanda è dove questo porterà l’industria del private equity, in particolare quella italiana già in difficoltà sul fronte della raccolta, e se non sarà una tegola destinata a creare non pochi problemi ai fondi.