L’attacco russo all’Ucraina ha messo in luce la posizione dominante di Mosca di fronte alla dipendenza che diversi Paesi europei hanno nei confronti delle risorse di gas russe. Nonostante questi Stati non sia indipendenti dal punto di vista energetico, però, hanno preferito fare fronte comune sulle sanzioni contro Mosca, piuttosto che piegarsi al Cremlino, e cercare di conseguenza altre fonti di approvvigionamento.

L’Unione europea importa il 90% del gas che consuma e, in media, circa il 40% proviene dalla Russia (45% nel 2021). Ciò rappresenta circa 140 miliardi di metri cubi all’anno, rileva il report di Europe’s exit from russian gas: 10 questions on utilities di S&P Global Ratings. Tra i Paesi più legati alla Russia, c’è l’Italia. Per la produzione energetica il nostro Paese usa moltissimo il gas (il 42% nel 2020): il 95% delle riserve sono importate da altri da altri Paesi e Mosca è il nostro principale fornitore (40%).

Per tagliare il cordone ombelicale il governo italiano sta quindi cercando di sostituire i 28,9 miliardi di metri cubi di gas importati dalla Russia lo scorso anno, sfruttando di più le fonti rinnovabili di energia, aumentando la produzione nazionale di gas e acquistando da altri Paesi (entro il 2023).

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi hanno così iniziato un tour in Africa per trovare nuovi fornitori di gas o aumentare le riserve con quei Paesi con cui l’Italia è già accordata. Secondo le previsioni del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, l’Italia potrebbe ridurre in maniera netta la sua dipendenza dal gas russo in 24 o 30 mesi.

Il piano del governo prevede anche l’aumento degli stoccaggi di gas che vengono fatti in estate – quando se ne usa di meno dato che non si accendono i sistemi di riscaldamento – in vista dell’inverno. Strategia condivisa anche dalla Commissione Europea, che vorrebbe introdurre una regola che obblighi i Paesi membri a riempire i siti di stoccaggio (in Italia ce ne sono 13) almeno al 90% della capacità entro il primo ottobre di ogni anno.

Da chi prendiamo il gas

Dopo la Russia, il Paese da cui l’Italia ha acquistato più gas negli ultimi anni è l’Algeria (il 31%) con 22,5 miliardi di metri cubi di gas importati nel 2021. Seguono il Qatar (9%) con 6,8 miliardi, l’Azerbaigian (10%) con 7,2 miliardi e la Libia (4%) con 3,2 miliardi. Il ministro degli Esteri Di Maio quindi si è incontrato proprio con i rappresentanti di questi Paesi per cercare di aumentare le riserve importate in Italia. Allo stesso tempo, sta cercando di aprire nuove trattative, ad esempio con l’Angola e Repubblica del Congo.

Algeria

Eni investirà per aumentare la produzione locale di gas, stagnante da alcuni anni, e poter così far crescere la quota destinata alle esportazioni: idealmente la quantità di gas in arrivo in Italia dall’Algeria può crescere fino a raggiungere i 30 miliardi di metri cubi annui (quindi circa 8 miliardi, rispetto al 2021).

Il colosso pubblico algerino degli idrocarburi Sonatrach è così pronto a fornire più gas all’Europa, in caso di calo delle esportazioni russe con la crisi ucraina, veicolandolo attraverso il gasdotto Transmed che collega l’Algeria all’Italia, passando per la Tunisia (coinvolta anche lei nella trattativa).

Qatar

Il Paese è il terzo produttore di gas naturale al mondo con oltre 177 miliardi di metri cubi all’anno e per l’Italia è il primo esportatore di gas naturale liquefatto (gnl) – cioè gas sottoposto a un processo di raffreddamento che ne riduce notevolmente il volume in modo tale da essere trasportato via mare–, per una fornitura di 6,9 miliardi di metri cubi l’anno pari a quasi il 10% del totale delle importazioni, contro il 40% del gas russo. Di Maio e Descalzi hanno raggiunto una prima intesa per garantire forniture aggiuntive di gnl rispetto a quello che già assicura al nostro Paese.

Il Qatar è da anni tra i primi esportatori al mondo di gas naturale liquefatto insieme all’Australia e, più di recente, gli Stati Uniti. Il combustibile in questa forma arriva a un terminal in provincia di Rovigo (Veneto), dove viene rigassificato in uno dei tre impianti in Italia predisposti per questo procedimento.

Azerbaigian

A differenza dagli altri Paesi da cui l’Italia importa gas da decenni, l’ex repubblica sovietica in Asia Centrale ha cominciato a importare nel nostro Paese il combustibile azero alla fine del 2020: appena 11 milioni di metri cubi. La cifra poi è rapidamente salita a più di 7,2 miliardi nel 2021, il 10% del totale, che potrebbero diventare 9 miliardi.

Nel dicembre 2020 infatti è stato attivato il gasdotto Tap, Trans-adriatico (pipeline) che, grazie all’unione con altre infrastrutture già esistenti, collega il giacimento azero di Shah Deniz con la Puglia, attraversando la Grecia e l’Albania.

Libia

A collegare l’Italia e la Libia c’è invece il gasdotto GreenStream, tramite cui abbiamo importato il 4% del nostro gas nel 2021. Negli ultimi tempi, però, le esportazioni di gas erano diminuite a causa della guerra civile.

Angola e Repubblica del Congo

L’Italia vorrebbe comprare gas liquefatto anche dall’Angola e dal Repubblica del Congo. Il piano di Eni sarebbe quello di realizzare due impianti per la liquefazione, per arrivare all’importazione dopo il 2023 fino a 2 milioni di tonnellate l’anno. Per ora comunque non c’è nulla di certo, “ancora da negozionare”, ha detto Di Mario.

La produzione nazionale

Già prima della guerra il governo aveva annunciato alcune misure nel breve periodo per contenere l’aumento dei costi dell’energia e altri provvedimenti, nel medio-lungo periodo, per aumentare la produzione nazionale di gas in modo da rendere l’Italia meno esposta alle oscillazioni dei prezzi. Prima di poter alzare veramente l’asticella del livello produttivo nazionale di gas ci vorranno anni e anche nella migliore delle ipotesi l’incremento non sarà tale da incidere in modo significativo e diretto sulle bollette, specialmente per le famiglie.

Negli ultimi anni l’Italia ha consumato 76,1 miliardi di metri cubi nel 2021, di questi solo il 3,4 miliardi di metri cubi derivavano dalla produzione nazionale. Una ventina di anni fa, però, non era così: i giacimenti italiani producevano fino a 20 miliardi di metri cubi all’anno, prima che vari siti si esaurissero o venisse sospesa l’estrazione per motivi ambientali o per mancato guadagno. Negli ultimi anni, infatti, la produzione è diminuita sempre di più, passando da 5,6 milioni di metri cubi di gas prodotto in Italia nel 2017 a 4,9 milioni nel 2019 e 4,4 milioni nel 2020.

Il ministro della Transizione ecologica Cingolani punta ad aggiungere altri 2,2 miliardi di metri cubi di produzione nazionale, che porterebbe così l’ammontare totale a circa 5,5 miliardi di metri cubi di gas. I giacimenti attualmente attivi sono 1.298, ma quelli che in realtà sono utilizzati sono 514, altri 752 sono attivi solo sulla carta.

Secondo i dati del Mise, la regione in cui si estrae più gas è la Basilicata con oltre un miliardo di metri cubi. Seguono Sicilia, Emilia Romagna e Molise. Per i giacimenti in mare la zona migliore è l’Adriatico, dalle coste al largo dell’Emilia Romagna alle acque di fronte a Marche e Abruzzo.

Aumentare la produzione, però, non è così semplice. In alcuni casi richiede un aggiornamento dei sistemi usati per estrarre il gas, dai macchinari alle infrastrutture per il suo trasporto, o bisogna attendere di avere completamente operativi pozzi in fase di costruzione: visti i tempi di lavoro, i primi benefici non si vedranno prima di uno o due anni, sicuramente non in tempo per la prossima stagione invernale.

Il ministro Cingolani, però, ha assicurato che l’aumento della produzione nazionale di gas dovrà derivare dai pozzi già attivi o comunque esistenti, senza l’apertura di nuovi giacimenti. Prima del conflitto russo-ucraino, il governo confidava che la domanda di gas potesse ridursi di fronte a una maggiore disponibilità di energia elettrica da altre fonti, a minore impatto dal punto di vista ambientale.

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