La mancata scelta di una professionista qualificata a ricoprire il ruolo di presidente della Repubblica è stata un’occasione persa per la politica. Non tanto o non solo per l’elezione in sé – durante la quale la figura di “una donna” è stata spesso invocata più per retorica che per reale intenzione –  quanto più perché non è stata in grado di trovare e valorizzare delle figure femminili competenti e preparate. Per quanto invece di donne di questo tipo, nel nostro Paese, ce ne siano. Viene allora da chiedersi, quando sarà l’Italia matura per un presidente della Repubblica (o del Consiglio) donna? Cosa può fare la legge in questo senso, a oltre dieci anni dall’introduzione della legge Golfo-Mosca?  Ne parliamo con Florinda Scicolone (nella foto), giurista d’impresa, impegnata da vent’anni in Italia nelle dinamiche di inclusion women, ha diretto per molti anni un dipartimento dei Diritti Civili delle Donne, membro della Fondazione Marisa Bellisario.

D.ssa Scicolone, in Italia arriverà mai il tempo delle donne?
Siamo all’indomani dell’elezione del Capo dello Stato e l’Italia ha rimandato, ancora una volta, l’occasione storica dell’elezione della prima donna al Quirinale, tendenza decisamente controcorrente rispetto alle istituzioni Europee che sono tutte guidate da professioniste, Christine Lagarde alla guida della BCE, Ursula Von der Leyen alla guida della Commissione Europea, Roberta Metsola alla guida del Parlamento Europeo, con l’italiana Pina Picierno che è vice Presidente del Parlamento Europeo. Invece, il nostro paese non riesce a consegnarci un cambiamento culturale nell’approccio alla parità di genere.

Perché secondo lei, ancora oggi, l’Italia non è riuscita a compiere il salto storico eleggendo una donna al Quirinale, la nostra nazione non ha donne autorevoli e competenti che avrebbero potuto ricoprire questo ruolo?
Purtroppo, la meritocrazia declinata al femminile nel nostro Paese è una mera illusione. La causa non è nella mancanza di donne di standing ma nel fatto che l’egemonia continua a essere decisamente maschile. In Italia il potere è uomo e non è ancora donna e uomo insieme. La riflessione di quanto ho appena affermato non la derivo da un assunto demagogico ma dall’analisi dei numeri. La fotografia dell’attuale parlamento è data da 321 senatori e, soltanto, 112 donne e da 630 deputati, di cui soltanto 227 donne. Conti alla mano comprendiamo che su un Parlamento composto da quasi mille parlamentari, attualmente, abbiamo soltanto 339 parlamentari donne. Sui grandi elettori delegati dalle Regione per l’elezione del Presidente sono stati su 58, solo sei donne. Che imperversi un gender gap nelle istituzioni è un dato incontrovertibile e fin quando il Parlamento non sarà composto da metà donne e metà uomini, come i grandi elettori delegati, è difficile che si arriverà a un’elezione al femminile al Quirinale. Perché è nello stato delle cose un parlamento quasi tutto al maschile non voterà mai un capo dello Stato donna. Adesso un ulteriore banco di prova saranno le prossime politiche perché temo che la riforma costituzionale della riduzione del numero dei parlamentari, penalizzerà ancor di più le presenze femminili in Parlamento. Sarà importante la legge elettorale con la quale si andrà votare perché se il listino rimarrà bloccato è capitato spesso che in occasioni di candidature al parlamento e a fronte di grande impegno, le donne siano state posizionate dove con certezza non sarebbe scattato il seggio.

Quali strumenti giuridici potrebbero essere utili per combattere un gap nelle istituzioni?
Importante passo avanti si avrebbe con l’istituzione di un’Authority per la Parità di genere, in conformità all’ art 51 della Costituzione. Proposta di legge che l’Onorevole Lella Golfo, attuale presidente della Fondazione Marisa Bellisario, presentò nel 2008 alla Camera. Nel proseguo altre parlamentari donne si sono impegnate verso tale istituzione come l’On. Cristina Rossello. Un altro importante passo sarebbe la trasformazione del dipartimento delle Pari Opportunità in ministero con portafoglio, un’altra battaglia portata avanti negli anni della presidente Golfo.

L’Italia, mentre nelle istituzioni, nell’empowerment women è indietro rispetto all’Unione Europea, in tema di governance societaria è, invece, avanti di dieci anni grazie alla Legge Golfo- Mosca. Infatti, la Presidente della Commissione europea Von der Leyen ha affermato recentemente che nel 2022 si dovrebbe riprendere il cammino della direttiva presentata nel 2012 sulle quote di genere nei cda . Lei come Giurista d’Impresa ha seguito in questi anni l’applicabilità della normativa nelle quotate, cosa ne deduce?
Camminiamo, per cosi dire, su due binari: in Europa grazie alla Legge Golfo- Mosca siamo un esempio da seguire in tema di parità di genere aziendale e siamo avanti di dieci anni. Infatti, lo scorso novembre io e Cristina Rossello abbiamo promosso e celebrato alla presenza di Lella Golfo il primo decennale alla Camera dei Deputati, nel quale la Consob ci ha presentato il bilancio dei tre mandati che hanno visto nei board dei cda il 42,8% di quote femminili. Il Parlamento europeo, invece, deve ancora riprendere il cammino della direttiva presentata proprio dieci anni fa e ci auspichiamo che quest’anno veda la luce.

Nelle Società o negli enti o organismi dove non si applica o non è applicabile la Legge Golfo- Mosca il cambiamento non si è attivato, corretto? 
Si è proprio vero, dove non trova applicazione la legge Golfo- Mosca, quindi ad esempio nelle deleghe, i numeri non decollano e abbiamo di conseguenza solo il 2% di Ceo donne nelle quotate Ma non decollano neanche nei board delle quotate nel mercato non regolamentato Euronext Growth Milan e nei board delle non quotate. Si desume, pertanto, che anche nella governance societaria il salto storico del cambiamento culturale, acceso dalla Legge 120/2011, si consoliderà solo e soltanto, a meno di una normativa ad hoc, quando la valorizzazione del talento femminile dalle aziende verrà visto come scelta volontaria, come un asset del business nel quale investire perché i dati dimostrano che dove vi sono maggiori ruoli apicali affidati alle donne i bilanci societari ne beneficiano. Da quest’anno ciò è ancor più importante, essendo entrata in vigore la certificazione di parità che produrrà un effetto premiale alle imprese che la dimostreranno.

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