L’Italia non spicca per presenza femminile ai vertici aziendali e la situazione peggiora sempre di più. Se nei Consigli di amministrazione, di aziende quotate e non, la quota femminile è ferma al 35% nel 2021, scende al 3% quella delle donne ceo (chief executive officer ossia amministratore delegato), l’anno precedente era al 4%. Il nostro Paese si posiziona così in fondo alla classifica nello studio Gender Diversity Index 2021 realizzata da Ewob, l’associazione European women on boards.
Diversa, invece, la situazione per le aziende nel mid market che invece godono sempre di più della quota femminile: in questo caso il numero delle donne nei ruoli di vertice è molto più alto e sale al 20%. L’effetto della legge Golfo-Mosca del 2011 mostra i suoi effetti e dove non agisce è evidente la differenza. Nei consigli di amministrazione delle banche quotate rispetto a quelle non quotate le donne sono di più: le non quotate (che non rientrano nella norma), presentano solo il 14,5% di percentuale femminile rispetto al 38% delle quotate nel board di amministrazione.
Ancora lontani dal gender equality
La magra consolazione è che la situazione è simile anche per Germania (3%), Svizzera (2%), Spagna (4%) e Portogallo (6%), quest’ultima per poco non rientra nella media europea (7%). Paesi in cui, invece, la quota femminile si fa sentire sono la Norvegia con il 26%, la Repubblica Ceca con il 18% e la Polonia con il 14%.
Se nei ruoli più importanti le donne italiane sono ancora assenti, non si può dire lo stesso nei Consigli di amministrazione. Secondo lo studio, che ha analizzato 668 società quotate di 19 Paesi europei nel 2021, l’Italia con il 47% ha la più alta percentuale di donne nei Cda assieme ai Consigli di sorveglianza. Ben più bassa, invece, la percentuale di donne alla guida dei Cda (15%) che porta il nostro Paese in terza posizione.
Al di fuori dei Cda, invece, la leadership femminile è ancora lontana dall’essere bilanciata. La percentuale di donne nei livelli esecutivi, infatti, è solo del 17%, contro il 32% della Norvegia e il 24% della Gran Bretagna. Il tutto in un’Europa che vanta in tre donne le sue figure apicali Ursula von der Leyen, presidente della Commissione eu, Roberta Metsola, presidente del Parlamento eu e Christine Lagarde, presidente della Banca centrale.
Molte più donne nel mid market
La situazione in Italia, però, è ben diversa e molto più speranzosa se si guardano solo le aziende nel mid market. Il numero di donne nei ruoli di vertice è notevolmente più alto: nel 2022 le donne ceo sono salite al 20% (dal 18% nel 2021), così come sono aumentate al 30% (rispetto al 29% dell’anno precedente) nei ruoli di senior management.
Secondo il rapporto annuale Women in business, curato dal network di consulenza internazionale Grant Thornton, la crescita è globale, anche se solo in parte. Nel 2022 le donne detengono il 32% delle posizioni aziendali di comando, il 2% in più rispetto all’anno precedente, nonostante il protrarsi della pandemia abbia rallentato le economie di tutto il mondo. Nel dettaglio, però, rispetto al 2021, se sono aumentate al 37% le donne cfo (chief financial officer), al 24% donne coo (chief operating officer), non si può dire lo stesso per le donne ceo, che sono invece diminuite di 2 punti percentuali (24% rispetto al 26% dello scorso anno).
Tutte le macro-aree hanno superato la soglia del 30% di donne che detengono ruoli dirigenziali inclusa l’Apac (Asia pacifica), che era stata l’unica regione a non raggiungere questo traguardo nel 2021. Il sud Africa è la zona geografica a registrare il dato più alto con il 42% delle aziende con donne ai vertici, seguita dalla Turchia e dalla Malesia entrambe con il 40%.
Il settore in cui le donne spiccano di più ai vertici è l’healthcare con il 39%, seguito da quello del turismo e dell’estrazione, entrambi con il 37%. D’altra parte, invece, manifatturiero e trasporti, con solo 28% e il 29% di donne in posizioni di leadership, si posizionano tra gli ultimi settori.
Nelle banche non quotate scarseggiano
Nei Consigli di amministrazione delle banche quotate, rispetto a quelle non quotate, ci sono più donne, effetto anche della legge Golfo-Mosca del 2011. Dal report Questioni di economia e finanza: La diversità di genere nelle dichiarazioni non finanziarie delle banche italiane di Banca d’Italia, che analizza come le banche italiane comunicano la propria posizione su questo tema nelle Dichiarazioni non finanziarie (Dnf), emerge che le banche non quotate, che non rientrando nella legge del 2011, presentano solo il 14,5% di percentuale femminile rispetto al 38% delle quotate nel board di amministrazione.
La diversità di genere è una componente importante della strategia di sostenibilità delle imprese. La direttiva europea del 2014, recepita in Italia nel 2016, ha introdotto per gli enti di interesse pubblico l’obbligo di redigere le Dnf sulla sostenibilità ambientale e sociale e per il profilo sociale sono richieste anche informazioni sulla gestione del personale, incluse le azioni per garantire la parità di genere. La normativa, però, non impone l’adozione di uno specifico standard ma richiede comunque la pubblicazione delle informazioni.
In riferimento all’esercizio del 2019, sono state poco più di 200 società, di cui 36 banche, a pubblicare la Dnf, come riporta la Consob. Il principale settore tenuto alla rendicontazione non finanziaria (18% sul totale delle società) è pertanto quello bancario. Dall’analisi degli ultimi anni, di preciso dal 2017 al 2019, sulle 36 banche che pubblicano la Dnf, emerge una rappresentanza femminile nei Cda superiore rispetto a quanto rilevato dalla prima analisi ricognitiva condotta dall’Osservatorio interistituzionale sulla partecipazione femminile negli organi di amministrazione e controllo delle banche italiane (rapporto dell’Osservatorio interistituzionale del 2021): 26% rispetto al 17%, anche in ragione dell’elevata presenza nel campione (47%) di società quotate soggette agli obblighi previsti dalla legge Golfo-Mosca e delle successive proroghe.