Dopo lo stop a ChatGpt in Italia “finché non rispetterà la disciplina privacy”, il Garante per la protezione dei dati personali incontrerà OpenAI, la società statunitense che ha sviluppato e gestisce la piattaforma, per cercare di risolvere la situazione.

Ignorare lo sviluppo delle nuove tecnologie sarebbe, infatti, da folli – anche se le ultime decisioni in tema di innovazione, dalla carne sintetica al linguaggio non made in Italy, fanno pensare una direzione della culturale italiana che va in senso contrario rispetto al mondo intero -, ma anche se la misura del Garante ha posto le basi per parlare seriamente di dati, le priorità in tema da affrontare sarebbero altre.

Ne abbiamo parlato con Gianluca Maruzzella (nella foto), ceo di Indigo.ai, startup italiana che dal 2022 fa parte del gruppo Vedrai e sviluppa soluzioni di AI conversazionali per aziende attraverso l’uso di modelli linguistici come Gpt3 e a tecnologie di AI.

Che cosa è successo

Il Garante ha bloccato l’applicazione di intelligenza artificiale relazionale in grado di simulare ed elaborare le conversazioni umane, perché secondo il Garante ChatGpt non possiede una base giuridica per la raccolta di dati personali e non verifica l’età dei possibili utenti minorenni. Il servizio, infatti, è riservato a chi ha più di 13 anni ma non verifica chi vi accede e, soprattutto, con le fake news può limitare le nostre libertà.

La misura tutta italiana ha subito fatto il giro del mondo, poiché la nostra nazione è stata l’unica del pianeta ad aver adottato un provvedimento simile. Immediatamente, però, gli appassionati sono corsi ai ripari. Chi ha cercato di aggirare il blocco servendosi di semplici Vpn, anche gratuite, e chi ha preferito di sfruttare una soluzione tutta “italiana”, PizzaGpt.

Nel primo caso, è possibile utilizzare di nuovo ChatGpt visitando il sito del chatbot attraverso una Vpn, che quindi reindirizza l’IP dell’utente attraverso un server remoto posto in un altro paese, anche europeo. Nel secondo caso, invece, PizzaGpt non è altro che un clone del modello del Chatbot Usa che utilizza le Api di OpenAI, che sono a pagamento. In sintesi, le risposte date da questo strumento dovrebbero essere simili alla versione gratuita di ChatGpt.

La soluzione scelta dal Garante è quella giusta per risolvere il problema dei dati? Come avrebbe potuto intervenire invece che mettere lo stop?

ChatGpt è solo la punta dell’iceberg e il numero di modelli di Ai generativa sta crescendo in modo incontrollato: c’è stata addirittura una petizione firmata tra gli altri da Elon Musk per metterne in pausa lo sviluppo per sei mesi con l’obiettivo di poter aver tempo di regolarne l’evoluzione.

Il blocco di ChatGpt ha sicuramente posto le basi per parlare seriamente di dati, ma è come cercare di ripararsi da un uragano con un ombrello. Crediamo che bloccare l’accesso alle nuove tecnologie non sia la strada più opportuna; la priorità risulta infatti affrontare più seriamente due aspetti: come regolare i dati per l’addestramento e come controllare il testo generato dal modello.

Nel dettaglio?

Per il primo punto, i modelli come ChatGpt utilizzano dati pubblici su internet provenienti da blog, forum, libri o ricette per “addestrarsi” ovvero aumentare la capacità di generazione di contenuti, quindi migliorare le proprie prestazioni. Un modo efficace per regolamentare l’utilizzo dei dati è introdurre una convenzione internazionale per cui un url viene automaticamente escluso dagli addestramenti, per esempio inserendo un tag Html standard nel proprio sito.

Sul secondo aspetto, invece, quello del controllo della risposta, si può fare poco essendo un limite della tecnologia. Questi modelli generano contenuto testuale non in funzione di una conoscenza del mondo o del settore di riferimento, ma su base statistica in funzione della conoscenza del linguaggio: quindi generano una parola dietro l’altra per costruire delle frasi con alta verosimiglianza ma senza poterne garantire l’esattezza al 100%, quindi potrebbero rispondere con dati inventati su fatti o persone. Bisogna quindi fare in modo che i termini del servizio siano molto chiari e che ChatGpt non venga usato né come motore di ricerca né come fonte di informazione fattuale o previsionale. Se si cerca il massimo controllo delle risposte, è meglio non usarlo in autonomia ma rivolgersi a piattaforme che hanno maggiore esperienza e sanno come evitare queste problematiche dette, non a caso “allucinazioni”.

Dopo lo stop a ChatGpt in Italia, quali sono le conseguenze per voi e per tutto il settore sul territorio nazionale?

In Italia è stata disabilitata l’interfaccia più “consumer” di ChatGpt. Questo perché qualunque cittadino italiano, avendo a disposizione un’interfaccia in cui potenzialmente può scrivere qualsiasi cosa, avrebbe potuto anche riportare dei propri dati personali. Indipendentemente dal contenuto della stringa di testo, queste informazioni viaggiano fino ai data center di OpenAI (la società che ha creato ChatGpt) che sono verosimilmente negli Stati Uniti e vengono conservate e utilizzate per migliorare le performance del modello. L’aspetto che il garante è interessato a tutelare, in questa caso, è che i dati degli utenti vengano elaborati e conservati in Unione europea, protetti dalla Gdpr.

Questo però non ha un impatto sul nostro business perché noi utilizziamo le interfacce per “sviluppatori”. La piattaforma per sviluppatori accessibile attraverso Apiè stata costruita appoggiandosi all’infrastruttura cloud di Microsoft Azure in Unione europea, quindi tutte le aziende possono continuare a utilizzare la potenza di ChatGpt evitando che i dati fuoriescano dai confini europei.

Come vi state muovendo e cosa vi aspettate che succeda nel breve periodo?

Come indigo.ai abbiamo da sempre messo al centro del nostro sviluppo l’attenzione ai diritti degli utenti, sviluppando un servizio in cui la “privacy è by design”, quindi pensata come parte integrante e imprescindibile della nostra piattaforma. Come conseguenza abbiamo sempre integrato soluzioni e utilizzato modelli generativi che gestiscono i dati nei confini europei, quindi non abbiamo necessità di ripensare il nostro servizio e la nostra architettura.

Detto questo, ci aspettiamo che anche il blocco di ChatGpt sia una situazione temporanea, sia perché il garante ha dato un periodo di tempo (20 giorni) a OpenAI per poter rispondere alle sue richieste di chiarimento, sia perché crediamo che sia negli interessi di tutti trovare una soluzione che bilanci la privacy degli utenti con l’accessibilità alle soluzioni sviluppato dall’azienda americana.

Quali sono le potenzialità economiche del mercato?

A livello mondiale parliamo di 93,5 miliardi di dollari nel 2021. Mentre nel 2022 in Italia abbiamo toccato il record di 500 milioni di euro, il 32% in più rispetto al 2021. Una buona fetta di questi 500 milioni poi, il 28%, sono connessi al tema di relazione e linguaggio, il nostro segmento.

Mi aspetto che per 2023 sarà ancora più alto. I dati poi sono stati registrati a cavallo dell’uscita di ChatGpt, quindi nel corso dei prossimi mesi sarà una corsa all’oro nei confronti dell’AI.

Quali sono i limiti di questa tecnologia?

Questo tipo di tecnologia non è connessa a internet, quindi le informazioni che, ad esempio, ChatGpt ha a disposizione arrivano fino al 2022. Per questo noi costruiamo il ChatGpt sulla base dei dati delle aziende stesse e delle loro necessità.

La potenza è niente senza controllo, dopotutto. Questi strumenti sono potentissimi, ma senza controllo umano annientano. Noi quindi siamo quello strumento che li controlla e li adatta alle necessità.

C’è interesse da parte delle aziende?

Da quando ChatGpt è diventato famoso al grande pubblico è aumentata la curiosità e l’interesse per queste nuove tecnologie. Ma già da tempo imprese e pmi hanno cominciato a interessarsi e a prepararsi a utilizzarle e a sfruttarle per migliorare i propri servizi. Ad esempio, in passato il nostro prodotto era utilizzato per risolvere un problema, ma adesso l’uso si sta progressivamente spostamento anche in contesti di vendita e prevendita.

Nel 2022, infatti, abbiamo gestito 10 milioni di relazioni tramite la nostra intelligenza artificiale con l’obiettivo di migliorare la relazione tra gli utenti e le aziende. Tramite la nostra piattaforma, pmi e aziende inseriscono i propri dati e in pochi click possono usare una specie di ChatGpt personalizzata per loro. Essendo appunto costruita sui dati delle imprese vale per ogni settore.

L’intelligenza artificiale negli ultimi mesi è arrivata sulla bocca di tutti e le tecnologie sono diventate pop, ma noi addetti ai lavori abbiamo già sperimentato la potenza e limiti di questa nuova tecnologia.

Prospettive future?

Siamo noi a chiedere all’AI come comportarsi, di conseguenza possiamo usare questo tipo di tecnologia ovunque. Basta solo avere le possibilità per farlo.

Quali sono i vostri prossimi obiettivi?

Vogliamo accelerare dal punto di vista commerciale e continuare a focalizzarci sull’Italia, per poi consolidarci dal prossimo anno anche sul mercato estero.

Nel 2022 più dell’80% delle aziende ha usato in Italia un chatbot, ma si tratta di applicazioni di vecchia generazione, ed esempio le più celebri sono quelle utilizzate da alcuni colossi di telefonia. Il nostro obiettivo è quello di aggiustarle. Un tempo infatti non c’era la stessa potenza, ma adesso le aziende si aspettano certi servizi e per averli stanno venendo da noi.

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