“Un modo indolore per frenare l’inflazione non esiste”. Spiegare in modo ancora più diretto la strategia della Fed contro la crescita dei prezzi rispetto a quanto già detto a Jackson Hole, era quasi impossibile. D’altronde “faremo tutto ciò che è in nostro potere per frenare l’inflazione”, come frase, non era certo soggetta a fraintendimenti. Jerome Powell però c’è riuscito. Il governatore della Federal Reserve lo ha fatto durante la conferenza stampa immediatamente successiva all’annuncio del terzo rialzo dei tassi consecutivo di 75 punti base, il quinto di fila dopo i primi due aumenti di 50 punti base. “Non c’è altro sistema. Andremo avanti finché lo riterremo opportuno”.

I tassi d’interesse negli Stati Uniti raggiungono così la forbice tra il 3% e il 3,25% (grafico Trading Economics sopra): gli ultimi Fed Funds avevano dato possibile anche il raggiungimento del 3,5%, se il board avesse votato un rialzo di 100 punti base. Ma il messaggio sempre più hawkish (se possibile) è arrivato ugualmente forte e chiaro. Al punto che l’urlo della Fed è arrivato ovunque. Regno Unito, Svizzera, Sud Africa, Norvegia, persino la Banca del Giappone, dormiente ormai da decenni con il presidente Haruhiko Kuroda considerato ormai l’ultimo samurai della politica monetaria “ultra dovish”.

Non solo Fed: per la Bank of England settimo rialzo di fila

Sarà che questa è la settimana delle decisioni per tante banche centrali. Sarà che le ultime notizie sul fronte geopolitico, in particolare dalla Russia, iniziano a preoccupare seriamente l’economia globale. Sta di fatto che la Bank of England non è stata da meno, annunciando il settimo aumento consecutivo dei tassi (il secondo di fila da 50 punti), con il board spaccato in due, tra chi ha sostenuto il ritocco dello 0,5% e chi invece ritiene ancora non si stia facendo abbastanza. Perché l’inflazione nel Regno Unito, lo ricordiamo, è passato anche in doppia cifra: +10,1% nel mese di luglio e +9,9% ad agosto.

Spiega Jamie Niven, Senior Fund Manager di Candriam: “Sebbene il rialzo dei tassi sia stato deciso all’unanimità tra i membri della BoE, ancora una volta c’è stato disaccordo sull’entità del rialzo. I pareri del comitato si sono divisi tra un rialzo di 25, 50 o 75 punti base, mentre gli economisti che si aspettavano un rialzo di 50 punti base e il mercato che si aspettava un rialzo più vicino allo 0,75% erano anch’essi in disaccordo. C’è una sola cosa chiara nella politica della BoE: nessuno sa quale può essere l’approccio più adatto. Di sicuro il tasso terminale stimato al 5% è il più alto attualmente previsto tra i membri del G10, ed è tutto dire”.

 

Svolta Svizzera: addio tassi negativi

Ma l’inflazione non spaventa soltanto il Regno Unito, con la Spagna unico paese ad aver superato la doppia cifra. La banca nazionale svizzera ha detto addio ai tassi negativi dopo otto anni, alzandoli di  75 punti base, inasprendo a sua volta la propria politica monetaria e portando il tasso nominale allo 0,5%. L’inflazione elvetica? Ad agosto ha raggiunto il 3,5%. Quisquilie, se paragonati all’Europa (+9,1%), agli Stati Uniti (+8,3%) e alla già citata Gran Bretagna. Ma si è trattato di un aumento inaspettato rispetto al 3,4% stimato dal mercato e del mese di luglio.

Inoltre si è trattata dalla lettura più forte dal mese di agosto del 1993. Un approccio ben diverso rispetto a quelli di Fed e Bce, che hanno aspettato a lungo prima di intervenire. Il timore dell’istituto svizzero è che l’inflazione continui a salire, ostacolando produttività e consumi. Quando i prezzi erano attorno al 3,5%, sia in Europa che negli Stati Uniti la valutazione era stata di un’inflazione “transitoria”.

E così anche la Banca Centrale Norvegese, sempre nella giornata di giovedì, ha deciso per un ritocco al rialzo di 50 punti base, portando il tasso nominale al 2,25%:  “L’inflazione a dodici mesi è stata del 6,5% ad agosto, molto più alta di quanto ci aspettassimo prima dell’estate” ha spiegato l’istituto in una nota, aggiungendo che per questo “il tasso di riferimento sarà molto probabilmente ulteriormente aumentato a novembre”. La Norvegia è il settimo esportatore di petrolio al mondo e il quarto di gas. Ma è diventato il primo fornitore in Europa di metano dopo l’interruzione da parte di Mosca, con enormi guadagni.

Bollettino Bce: tassi in aumento nelle prossime riunioni

Finita? Macché. Alla festa si è aggiunta la Banca centrale europea, nonostante il meeting del board si sia già svolto lo scorso giovedì 8 settembre. Il bollettino economico infatti ha sottolineato l’attesa di un ulteriore aumento dei tassi nelle prossime riunioni (grafico sotto), plurale che non è sfuggito agli analisti, “per frenare la domanda e mettere al riparo dal rischio di un persistente incremento delle aspettative d’inflazione, probabilmente su un livello superiore rispetto all’obiettivo per un prolungato periodo di tempo“.

Sul documento è riportata sia l’inflazione al 9,1% di agosto, sia la revisione al rialzo delle proiezioni degli esperti all’8,1% nel 2022, al 5,5% nel 2023 e al 2,3% nel 2024. Aggiungendo che “i dati recenti indicano un considerevole rallentamento della crescita nell’area dell’euro, con l‘economia che dovrebbe ristagnare nel prosieguo dell’anno e nel primo trimestre del 2023″.

Il risveglio della Bank of Japan

Gli effetti della mossa della Fed si sono visti nell’immediato. Gli indici azionari hanno virato in territorio negativo, con Wall Street che ha chiuso in rosso, zavorrando anche i mercati asiatici (e spingendo a un rialzo dei tassi anche la Banca centrale di Hong Kong) , mentre il dollaro è schizzato sul proprio indice principale al di sopra di quota 111,8, sopra i massimi di giugno 2002. I relativi cambi hanno sbandato a loro volta, in primis lo yen giapponese, scivolato a 145,9, mai così debole nei confronti del biglietto verde da agosto del 1998: ventiquattro anni fa.

Un crollo che ha dato la scossa persino alla Bank of Japan. Immobile sui tassi d’interesse, avendoli mantenuti nella notte ancora negativi, a quota -0,1%, per poi muoversi qualche minuto dopo a sostegno della propria moneta per la prima volta dal 1998, proprio a causa del tasso di cambio tra dollaro e yen, aumentato smisuratamente dopo la spinta ai massimi dal 2008 degli oneri finanziari, riportando così la valuta in area 140.

La Banca nipponica ha spiegato che la debolezza della domanda in Giappone farà sì che l’inflazione scenda da sola nel corso del 2023. “Con situazioni di prezzo ed economiche chiaramente diverse, il Giappone non ha bisogno di rimuovere i tassi negativi solo perché gli altri lo fanno”, ha dichiarato Kuroda.

Cosa farà la Fed in futuro?

Questo il commento di Pasquale Diana, Head of Macro Research di AcomeA Sgr: “Da un lato, la Fed potrebbe continuare ad alzare i tassi in maniera più aggressiva, ad esempio, ben oltre il 5%, deprimendo al massimo la domanda interna per creare una recessione severa e cercare di tornare al 2% in tempi brevi, costi quel che costi (il famoso ‘whatever it takes’ di Dragoniana memoria ma declinato all’inflazione’ NdR). In alternativa, la Fed potrebbe portare i tassi verso il 5% e tenerli a quei livelli per molti mesi, accettando implicitamente che nel nuovo mondo post-pandemia poterebbe volerci più tempo per portare l’inflazione più vicina al target e di fatto allungando il suo orizzonte temporale. In pratica, la Fed starebbe accettando un tasso d’inflazione corrente superiore al target per un periodo di tempo”.

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