Inflazione in Italia sotto il 2%. E quindi missione compiuta? Non proprio. Tuttavia è un chiaro segnale per la Banca centrale europea, nel senso che l’era del rialzo dei tassi d’interesse potrebbe considerarsi definitivamente conclusa, visto anche il dato riguardante l’Eurozona, come quello italiano in decisa fase di frenata.

Di sicuro la Bce non è un organo che salta a decisioni affrettate. Dunque, meglio affidarsi ai dati, seppur provvisori, e alla loro contestualizzazione, prima che qualche politico se ne impossessi per dire qualcosa del tipo: “Visto? Grazie a noi, l’inflazione ora è sotto controllo”.

Si diceva, partiamo dai dati. Il tasso di inflazione annuale in Italia nel mese di ottobre ha registrato un rallentamento: +1,8%, rispetto al 5,3% del mese precedente e al di sotto delle aspettative del mercato del 2,3%. Si tratta del valore più debole da giugno 2021. Un risultato principalmente dovuto al forte calo dei costi energetici, sia non regolamentato (-17,7% vs 7,6%) sia regolamentato (-32,7% vs -27,9%). Inoltre, i prezzi al consumo hanno rallentato anche per gli alimenti non trasformati (5% contro 7,7% a settembre) e per quelli trasformati, compreso l’alcol (7,4% contro 8,9%).

Inflazione in Italia all’1,8%. Cosa significa

Appare evidente che si tratta di un’ottima notizia, come detto: il +1,8% non si vedeva da oltre due anni, dunque ben prima dello scoppio della guerra in Ucraina. Una sorta di quiete prima della tempesta, anche perché era il periodo dell’inizio della crisi post Covid legato alla supply chain. In aggiunta, anche l’inflazione di fondo ha rallentato: 4,2% rispetto al 4,6% di settembre. Tuttavia il dato va interpretato e non è certo il momento di cantare vittoria.

Spiegazione: il valore è molto basso, ben al di sotto del target della Bce che è del 2%. Ma perché va rapportato a quello dell’anno precedente, ovverosia ottobre 2022, quando l’inflazione in Italia era al picco: +11,8%. Questo significa, in buona sostanza, che a quell’epoca i prezzi medi erano superiore dell’11,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e quindi ottobre 2021. Nel 2023, come detto, il dato è del +1,8%. Dunque rispetto a quel prezzo maggiorato dell’11,8% dell’anno scorso, bisogna aggiungere un ulteriore 1,8%. Tradotto ancora in poche parole: non è che i prezzi scendono. Sono ancora in aumento, ma crescono molto meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Inflazione in Europa

Anche in Eurozona il rallentamento è molto netto: tasso di crescita del +2,9% (grafico sotto), livello più basso da luglio 2021 e al di sotto del consensus del mercato, +3,1%, secondo le stime preliminari. Anche il tasso core, che filtra la volatilità dei prezzi alimentari ed energetici, è in calo, +4,2%, sui minimi di luglio 2022.

Al contrario dell’Italia, il dato è superiore al target della Bce, ma non è mai stato così vicino dall’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina. E infatti il costo dell’energia è crollato del -11,1% (rispetto al -4,6% di settembre), e i tassi di inflazione si sono attenuati sia per i prodotti alimentari, alcolici e tabacchi (7,5% rispetto a 8,8%) sia per i beni industriali non energetici (3,5% rispetto al 4,1% precedente).

L’inflazione armonizzata dell’Eurozona rimane significativamente al di sopra dell’obiettivo, ma sta scendendo più rapidamente del previsto. A ottobre si è attestata al 2,9%, dal 4,3% di settembre, sorprendendo al ribasso rispetto all’atteso 3,1%. L’inflazione core è scesa al 4,2% a ottobre dal 4,5% di settembre. La Bce si aspettava un’inflazione media del 3,3% per il quarto trimestre del 2023 e un’inflazione core del 4,1%.

Commento di Joachim Nagel della Bce

“La Banca centrale europea deve mantenere i tassi d’interesse alti quanto necessario per un periodo sufficientemente lungo perché l’inflazione nella zona euro non è stata sconfitta, nonostante il significativo calo nell’ultimo anno” ha detto il banchiere centrale Joachim Nagel, presidente della Bundesbank. Che continua: “La nostra politica monetaria restrittiva sta funzionando, ma non dobbiamo mollare troppo presto. Piuttosto, i tassi di interesse di riferimento dovranno rimanere a un livello sufficientemente alto per un periodo sufficientemente lungo”.

Secondo Nagel è troppo presto per dire se i tassi abbiano raggiunto il picco, nonostante molti dei suoi colleghi abbiano detto di sperare che il rialzo del mese scorso sia l’ultimo della Bce e un funzionario abbia addirittura parlato di un possibile taglio l’anno prossimo.

Commento degli analisti: recessione tecnica in arrivo

I numeri mostrano che l’inflazione è sicuramente molto al di sotto delle aspettative della Bce, anche se non si può dire lo stesso dell’inflazione core -è il commento di Tomasz Wieladek, chief european economist di T. Rowe Price-. Per il futuro, ci aspettiamo che queste tendenze disinflazionistiche continuino. Anche se l’inflazione dei servizi resiste, la forte pressione deflazionistica dei prezzi dei beni di base continuerà a far scendere l’inflazione core nel prossimo mese. Di conseguenza, la stagnazione economica finirà per far scendere anche l’inflazione dei servizi”.

L’analista si concentra poi sui dati sul Pil, pubblicati lo stesso giorno dell’inflazione: “L’economia dell’Eurozona si è contratta nel terzo trimestre del 2023 (-0,1%, grafico sotto NdR). Alla luce dei recenti dati delle indagini, è probabile che il Pil si contragga anche nel quarto trimestre, il che porterebbe l’economia dell’Eurozona in recessione tecnica. La Bce deve impedire un calo continuo dell’inflazione fino al di sotto dell’obiettivo per evitare che l’economia ricada in una persistente stagnazione. Nel decennio precedente la pandemia, l’inflazione core dell’Eurozona era in media pari a circa l’1%. Allo stesso tempo, l’economia ristagnava. Nemmeno mille miliardi di euro di Quantitative Easing è riuscito a risollevare in modo significativo l’inflazione core. L’area euro si trovava bloccata in un regime di bassa inflazione e di economia stagnante nel decennio pre-Covid”.

Conclude Wieladek di T. Rowe Price: “I rischi che l’Eurozona ritorni a questa negativa situazione di stallo sono più elevati del solito. Tre importanti fattori di sostegno all’economia sono ormai svaniti: l’energia a basso costo; una maggiore partecipazione della forza lavoro grazie alla riforma della rete di sicurezza sociale; abbondanza di manodopera dall’Europa centrale e orientale. L’economia europea dovrà ora attraversare un periodo di trasformazione strutturale per imparare a funzionare senza questi venti favorevoli”.

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