Partire dalla provincia con un’intuizione e arrivare a costruire una multinazionale, leader in diversi segmenti industriali, in grado di acquisire un gruppo multinazionale per 270 milioni di euro.

E’ la storia di Interpump Group. Una storia paradigmatica, perché racconta quel che è una certa imprenditoria italiana, un modello che purtroppo non è stato adottato da tutti.

E’ l’impresa italiana per antonomasia, così come potrebbe e dovrebbe essere: innovativa, in grado di competere su tutti i mercati internazionali, quotata, con al vertice un fondatore che ha saputo costruire una squadra di manager in grado di raccoglierne l’eredità, un imprenditore che si è fatto affiancare da un investitore per ottenere capitali per la crescita, perché questa è un’azienda costantemente in crescita.

 

 

Il deal

L’1 giugno Interpump ha annunciato di aver sottoscritto un accordo vincolante per l’acquisizione dal gruppo Danfoss della business unit White Drive Motors & Steering. La divisione comprende tre stabilimenti di produzione: Hopkinsville (Kentucky), Parchim (Germania) e Wroclaw (Polonia). In aggiunta, è prevista l’acquisizione di tre linee di produzione, provenienti da stabilimenti Eaton
Hydraulics negli Stati Uniti, che verranno spostate nello stabilimento di Hopkinsville, e di una linea di
produzione in Cina.

Interpump ha messo sul piatto, in termini di enterprise value, 230 milioni di euro, più una quota (attualmente stimata in 40 milioni di euro) variabile in funzione dell’ebitda 2021.

La business unit dovrebbe archiviare quest’anno con un fatturato di circa 200 milioni e un ebitda di 45 milioni.

 

 

 

 

La storia

Interpump non è una multinazionale tascabile, come veniva definita un po’ riduttivamente fino a qualche tempo fa. E’ una multinazionale punto e basta. E pensare che la storia dell’azienda comincia a Sant’Ilario d’Enza, in provincia di Reggio Emilia. Il fondatore, Fulvio Montipò (nella foto), racconta – a chi lo va a trovare nel suo ufficio e passa un po’ di tempo a chiacchierare con quest’uomo gioviale con il sigaro spento perennemente fra le labbra – che tutto cominciò da un’intuizione.

Montipò capì che inserire pistoni in ceramica all’interno delle pompe a pressione per uso professionale avrebbe consentito una maggiore durata, minore usura e conseguente risparmio dei costi. Interpump è nata così, nel 1977.

E ora è un gruppo industriale che opera nel settore della meccanica, leader mondiale nella produzione di pompe per applicazioni industriali e uno dei principali gruppi operanti sui mercati internazionali nel settore dell’oleodinamica.

Nelle pompe a pistoni ad alta e altissima pressione ha una quota di mercato mondiale del 50% circa: non la batte nessuno.

Guardando all’industria dell’olio, che ha dimensioni ben maggiori rispetto all’acqua, la società emiliana è leader mondiale nelle prese di forza, nonché uno dei principali produttori al mondo di cilindri, distributori/valvole, tubi/raccordi e sistemi per la trasmissione di potenza/riduttori (settore oleodinamico).

Approdata a Piazza Affari nel 1996, dopo essersi fatta affiancare da Tamburi Investment Partners (Tip) nel percorso di crescita, Interpump è cresciuta attraverso decine di acquisizioni: oltre quaranta, al ritmo di due-tre l’anno.

 

 

Interpump l’anno scorso ha realizzato un fatturato pari a 1,294 miliardi e un ebitda di 294,1 milioni, quindi con un ebitda margin pari al 22,7%. Una percentuale monstre, che normalmente viene toccata nel fashion. L’utile netto si è attestato a 173,3 milioni.

Dal 1996, anno di quotazione, a oggi il total return per gli azionisti è stato pari al 14,7% annuo.

Essere quotati, per Interpump, ha significato avere maggiore facilità ai mercati dei capitali. E, soprattutto, poter utilizzare le azioni come contropartita nelle acquisizioni. Gran parte dell’attività di M&A è stata effettuata facendo ricorso alla carta. E, considerato l’andamento del titolo, gli azionisti non hanno di che lamentarsi.

Interpump Group è presente con oltre cento siti nel mondo. Gli insediamenti produttivi sono in Italia, Germania, Stati Uniti, Brasile, Cina, India, Russia, Corea del Sud, Australia, Romania, Bulgaria, Spagna e Portogallo.

Il gruppo impiega direttamente circa 8.000 persone.

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