A chi legge la stampa finanziaria (spero in molti!) non sarà sfuggita la risposta del sindaco di Milano Beppe Sala su Mf- Milano Finanza a una lettera aperta, a firma di Bepi Pezzulli e rivolta ai candidati-sindaco del capoluogo lombardo, che questa settimana proponeva un progetto specifico per rilanciare Milano dopo la pandemia. Si è parlato di porti franchi, Zes (Zone Economiche Speciali) e incentivi agli investimenti nell’area metropolitana dedicati al capoluogo lombardo: un “pacchetto” che dovrebbe permettere alla città di surfare sulla crescita economica che auspicabilmente vedrà tutto il paese, e consentirle di accelerare il suo sviluppo.

La proposta apre a una importante riflessione sulla città di Milano, dove vivo dal 2014, e sul suo rapporto con il resto d’Italia.

Milano va a una velocità diversa, tutta sua, dicono quelli che ci vivono. Milano è la città della performance, quella più internazionale, il fulcro del fashion europeo. Milano è anche una delle città in lizza per ospitare l’anno prossimo l’Eurovision Contest 2022 (mentre Roma è stata esclusa, per dire). E ha vissuto una trasformazione epocale: c’era la Milano ante-Expo 2015 e c’è una Milano dopo-Expo 2015. I numeri lo dicevano chiaramente: dal 2014 al 2018, il Pil della città cresciuto del 9,7%, il doppio rispetto all’incremento fatto segnare dal Pil italiano, pari al 4,6%, stando all’Osservatorio Milano 2019 di Assolombarda. La pandemia l’ha colpita duramente, va detto, ma la città si sta rimettendo in piedi, come dimostrano eventi come il Salone del mobile in programma per la prossima settimana, mentre si lavora a rendere la città un hub di innovazione ad esempio nel fintech. “La scelta di Banca d’Italia di fare della nostra città la sede di lavoro del suo gruppo Fintech è un segnale molto chiaro e incoraggiante della direzione in cui si deve lavorare”, ha scritto Sala, che ha ricordato le “funzioni essenziali che Milano svolge per il Paese come piazza finanziaria e sede di Borsa Italiana”.

Milano ha dunque tutte le carte per giocarsi la partita della crescita e ce le ha perché negli anni è stata capace di attirare talenti e investimenti, di allargare i propri confini (e quartieri), di dare risposte a chi domandava un’opportunità. Ed è l’unica città che probabilmente ci consente di competere a livello europeo.

Qui sta proprio il nodo della questione. Vogliamo davvero presentarci al tavolo con una sola carta vincente, davanti a potenze come la Germania per non dire gli Usa e la Cina? Quali sono poi le conseguenze economiche, sociali e culturali dell’all-in su un’unica mano? Non sono questioni che vanno prese sottogamba e c’è un esempio che lo dimostra: la Brexit. Che danni ha fatto l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea alla City di Londra, uscita che è stata voluta dalle province e a cui i cittadini londinesi si sono sempre fermamente opposti? L’emorragia di talenti e di business è appena cominciata ma sono già 400 le società finanziarie che hanno spostato le attività, il business e lo staff fuori da Londra (per un valore complessivo di 1400 miliardi di sterline).

Instaurare un regime speciale per favorire la Milano della finanza è una idea eccellente purché non contribuisca ad aumentare il divario con il resto del paese. Divario che è ormai una voragine. Confcommercio proprio di recente stimava che negli ultimi 25 anni il Pil del Sud Italia ha registrato un calo continuo e progressivo ed è arrivato a pesare il 22% sul totale nazionale. Questo ampliamento del divario con il resto del Paese è dovuto principalmente alla riduzione degli occupati, conseguenza a sua volta del crollo della popolazione giovanile (-1,6 milioni) e dei deficit del Mezzogiorno quali l’eccesso di burocrazia, l’illegalità diffusa, le carenze infrastrutturali e la minore qualità del capitale umano.

Questo deficit alla fine lo sconta anche Milano. Un centro-sud Italia efficiente e produttivo non può che essere un beneficio per la città e lo sanno bene tutti gli investitori e i consulenti che vanno a caccia di belle realtà aziendali sparse per il nostro Paese, messe però in ombra dal muro di questo divario che non può e non deve crescere.

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