Tempo di Pride, tempo di discussioni sui temi della Diversità e dell’Inclusione. Ma come viene affrontato il tema Diversity & Inclusion (D&I) dalle aziende? E che tipo di ricadute economiche porta con sé una politica aziendale più aperta e inclusiva? La realtà fotografata da alcuni studi si presenta in chiaroscuro. Prima di entrare nel dettaglio con i dati, cerchiamo di capire che cosa caratterizza un’azienda che investe in diversità e inclusione.
Investire in D&I: cosa significa
Per “azienda inclusiva e diversificata” si intende un’organizzazione che non solo si dedica al rispetto della legislazione vigente in questo campo sociale, ma promuove e incoraggia anche pluralità di genere, diversità etnica e religiosa, rifiuta i pregiudizi di genere, di orientamento sessuale o età e che include, fra gli altri, lavoratori con diversità funzionale. È anche un tipo di azienda che applica politiche e strategie di talent management, in grado di assicurare diversità e inclusione tra i propri team di lavoro e in tutti i processi messi in atto dall’organizzazione, oltre a formare, in questa direzione, tutti i lavoratori a partire da leader e manager.
Situazione in evoluzione
Negli ultimi anni molte aziende hanno rinnovato il proprio impegno a tutelare diversità e inclusione sul luogo di lavoro: brand conosciuti e realtà più piccole si stanno attivando per introdurre cambiamenti positivi e immediati nella cultura della Diversity aziendale. La Diversity sembra dunque essere tra le priorità per il mondo del lavoro. Su questo tutti si mostrano concordi, eppure sei aziende su dieci non hanno ancora definito un piano a riguardo e due su dieci non ritengono importante farlo. È quanto emerge dalla ricerca “Future of Work” condotta da Inaz – Osservatorio Imprese Lavoro e Business International – Fiera Milano, che ha riguardato circa cento HR director di aziende italiane.
Secondo lo studio, l’84% degli intervistati ritiene la D&I urgente per questioni etiche. Solo il 50% pensa all’impatto che potrebbe avere sul business e meno di uno su due (ovvero il 42%) al riscontro in termini di fiducia riposta dal mondo finanziario. Non stupisce, quindi, che solo il 46% delle aziende abbia già una pianificazione attiva in questo campo. Il 63%, invece, non ha ancora messo a punto un piano strutturato (anche se assicura di realizzarlo in futuro), mentre il restante 20% non ritiene importante dotarsene.
Le ricadute economiche
Eppure è noto da tempo che una cultura d’impresa improntata a inclusione e valorizzazione della diversità, oltre a rappresentare una questione di responsabilità sociale, crei notevoli vantaggi: migliora la reputazione e le relazioni con clienti e consumatori, la capacità di attrarre e trattenere talenti, con un impatto positivo su innovazione, competitività, e ancora, capacità di stare sul mercato e conseguenti risultati finanziari.
I dati parlano chiaro: i profitti sono superiori alla media (+25-35%) fra quelle imprese che sono riuscite a instaurare un clima di parità e inclusione; inoltre vi è un più alto tasso di innovazione (+20%) e una migliore capacità di gestire i processi decisionali, che corrisponde a un +30% della capacità di individuare e ridurre i rischi aziendali (dati World Economic Forum 2023). Le aziende che adottano politiche basate su tali valori e che le sanno comunicare, riportano poi benefici anche in termini di immagine.
Focalizzando sull’Italia, l’88% dei nostri concittadini dichiara di scegliere brand inclusivi (erano il 52% nel 2017), mentre il 55% si mostra attento e attivo sulle tematiche della diversità (dati Diversity Brand Index 2021).
Il punto di vista LGBTQ+
A fornire un quadro più ampio arrivano i dati della ricerca “Inclusivity at Work”, realizzata da Bain & Company Italia e guidata dall’affinity group BGLAD, sull’inclusione e le politiche a favore della comunità LGBTQ+ nelle realtà corporate del Paese. Secondo lo studio, ad oggi quattro aziende su cinque considerano questi temi un aspetto chiave della propria strategia di business, alla luce di attenzione e interesse crescenti da parte delle risorse nei confronti di questi aspetti.
Il cammino, però, è ancora lungo: si pensi che soltanto 4 aziende italiane su 10 hanno istituito una funzione formale dedicata al tema Diversity, Equity & Inclusion, con differenze importanti fra i vari settori: i servizi professionali, ad esempio, risultano più proiettati verso la completa inclusione, con una penetrazione di 6 aziende su 10, contro il settore edilizio, dove questa area esiste solamente in 2 realtà su 10.
Ad emergere è inoltre una persistente difficoltà nel fare coming out sul luogo di lavoro. Nel nostro Paese, a fronte di una popolazione LGBTQ+ stimata al 10% del totale, nel mondo aziendale questa rappresentanza cala drasticamente: 3 persone su 10 ritengono che essere out o open possa influenzare in negativo le relazioni sul luogo di lavoro e le proprie prospettive di carriera. Fenomeno alimentato anche dalla percezione di un sostanziale conformismo nei vertici aziendali, dove gli stereotipi tradizionali di leadership sembrano resistere.