Tassi d’interesse più alti? Significa che indebitarsi negli Stati Uniti, d’ora in poi, costerà di più. Aprire un mutuo comporterà interessi maggiori. Chiedere un prestito, oggi, sarà più oneroso. Ecco cosa succede, in buonissima sostanza, quando una banca centrale aumenta i tassi. Il motivo? Fare in modo che l’inflazione rallenti la sua corsa. Perché negli ultimi mesi l’aumento dei prezzi ha raggiunto livelli massimi che non si vedevano da oltre 40 anni, mettendo seriamente a rischio il potere d’acquisto delle famiglie. Ecco perché la mossa della Fed di mercoledì era così attesa dai mercati e dall’economia internazionale. Gli Stati Uniti rimangono la prima economia al mondo. E se si muove l’America, in linea di massima, prima o poi, allo stesso modo di muoveranno successivamente anche gli altri paesi. Ma andiamo con ordine.

Quali sono le decisioni della Fed

La Federal Reserve ha alzato i tassi d’interesse dello 0,5%, portando il costo del denaro all’interno di una “forchetta” tra lo 0,75% e l’1% (grafico sotto). Il range precedente oscillava tra lo 0,25% e lo 0,5%. Inoltre, la banca centrale Usa ha dato il via al cosiddetto quantitative tightening, o riduzione del bilancio, ovverosia la progressiva riduzione di liquidità nel mercato all’interno del programma del tapering, in buona sostanza l’avvio del rallentamento, da parte di una banca centrale, del quantitative easing, strumento di politica monetaria espansiva che, attraverso l’acquisto di asset sul mercato, solitamente obbligazioni ma anche titoli, stimola la crescita economica e sostiene l’inflazione.

Rialzo dei tassi d’interesse dello 0,5%: una scelta storica

Che cosa significa? E perché per l’economia e i mercati finanziari questa decisione è così importante? Tanto per cominciare, si tratta di una scelta “storica”. L’ultima volta che un governatore della Fed non attuava un rialzo di 50 punti base (o dello 0,5%) era il 2000. Allora, il presidente era Alan Greenspan. Siamo davanti dunque a un intervento record, mai così forte negli ultimi 22 anni.

Alzare i tassi significa aumentare il costo del denaro

Cosa vuol dire alzare i tassi d’interesse? Come già accennato in apertura, significa che la banca centrale americana ha deciso di aumentare il costo del denaro. Banalmente, d’ora in poi, chiedere un prestito o un mutuo costerà un po’ di più. Fino al 2021 i tassi sono rimasti molto vicini allo zero, nella forchetta che oscilla tra lo 0 e lo 0,25%. Una strategia dettata dalla crisi economica già in corso da prima della pandemia, poi esacerbata e aggravata dalla chiusura pressoché totale delle attività stabilita dai vari governi di tutto il mondo per arginare la diffusione del Covid 19. Gli interessi bassi hanno spinto investitori, grandi e piccoli, a propendere al rischio con più ottimismo, stimolando in questo modo la crescita (o quantomeno sostenerla il più possibile in un ampio periodo di emergenza globale). Indebitarsi costava poco perché l’interesse da restituire, in questo caso alle banche, le prime beneficiarie del quantitative easing, è leggermente più alto della somma di denaro chiesta in prestito.

Perché aumentare i tassi d’interesse

E allora perché la Fed ha deciso che il costo del denaro, d’ora in avanti, debba aumentare? Già perché non è il primo ritocco al rialzo stabilito dalla banca centrale americana. Nel mese di marzo scorso, il presidente Jerome Powell ha annunciato in conferenza stampa un aumento di 25 punti base (o dello 0,25%). Inoltre, nei prossimi due meeting, in programma a luglio e settembre, sono già stati “preventivati” altri due aumenti, entrambi dello 0,5%. L’obiettivo per la fine dell’anno? Portare i tassi, salvo imprevisti legati alla stretta attualità (l’esito della guerra in primis) tra il 3% e il 3,5%.

Il ruolo dell’inflazione nella decisione della Fed

Il motivo si può riassumere in una parola sola. Inflazione. Lo stesso governatore della banca centrale americana non ha usato mezzi termini nella conferenza di mercoledì 4 maggio: “L’inflazione è eccessivamente alta. Dobbiamo combatterla, a ogni costo”. Negli Stati Uniti, l’indice ha raggiunto l’8,5% nel mese di aprile (grafico sopra). Questo significa che rispetto allo stesso periodo del 2021, i prezzi al consumo sono cresciuti dell’8,5%, per quella che si può considerare come una specie di tassa “occulta” sulle spesa annuale delle famiglie. E questo ci porta a spiegare un altro passaggio fondamentale, vale a dire il ruolo delle banche centrali.

Qual è il compito delle banche centrali

Il loro compito fondamentale è controllare l’oscillazione dei prezzi. E’ importante sottolineare che l’inflazione non è per forza un indicatore negativo. L’obiettivo dei governatori è fare in modo che la crescita sia stabilmente attorno, o di poco superiore, al 2% di crescita. Questo è il target stabilito dalla Bce e dalla Fed, le banche centrali più importanti. Se mantenuto nel lungo periodo allora l’inflazione è virtuosa, in grado cioè di contribuire alla crescita generale dell’economia. Al contrario, se supera di gran lunga il 2%, allora diventa pericolosa: e come già anticipato, in America il valore si è più che triplicato. Il rischio di un’inflazione troppo alta è l’erosione del potere d’acquisto delle famiglie. In casi estremi, può generare condizioni estremamente negative per l’economia come la stagflazione (crescita economica stagnante, alta disoccupazione e alta inflazione).  

In una condizione estremamente complicata, tra shock legato al costo delle materie prime, la guerra, la Cina nuovamente in lockdown e il rallentamento della ripresa economica post Covid, l’unico modo secondo la Fed per frenare il forsennato rialzo dei prezzi è aumentare il costo del denaro. Una mossa che dovrebbe spingere grandi e piccoli investitori verso una minore predisposizione al rischio, e quindi possibili performance minori dei mercati azionari. Semplificando molto, l’equazione finale è la seguente: meno domanda uguale correzione al ribasso dei prezzi.

Il rendimento dei titoli di Stato

C’è un ultimo aspetto da considerare. E cioè quello legato al rendimento dei titoli di stato. Sono aumentati considerevolmente con l’avanzare dell’inflazione,  specialmente il decennale, il trentennale e il biennale americano: in alcuni casi è stato raggiunto il valore massimo degli ultimi 4 anni (grafico sotto, t-note decennale Usa). Il loro movimento è inversamente proporzionale al valore dei titoli di stato stessi. Più vengono comprati, più il rendimento scende. Al contrario, più sono venduti, più esso aumenta.

Aumento dei tassi d’interesse: il ruolo dei titoli di Stato

I titoli di stato sono estremamente importanti. Trattasi di obbligazioni emessi periodicamente dal ministero dell’Economia per coprire il debito pubblico del paese. E’ una forma di prestito allo Stato. Soldi che poi vengono spesi, semplificando molto, per realizzare progetti legati ad esempio all’istruzione, alla sanità o alle infrastrutture. Se il mercato vende grandi quantità di titoli di stato, il loro rendimento aumenta. E questo significa che lo Stato in questione dovrà pagare di più al momento della restituzione del prestito, per “attirare” nuovamente gli acquisti delle proprie obbligazioni. Ecco perché le banche centrali per anni hanno sostenuto tali emissioni attraverso il quantitative easing. Con l’inflazione galoppante, che ha coinciso anche con l’inizio del tapering, c’è stato un brusco aumento dei rendimenti, uno dei tanti segnali che la Fed ha dovuto tenere in considerazione nella scelta dell’aumento dei tassi.

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