La certificazione della parità di genere, inserita nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), diventa operativa. D’ora in avanti le imprese possono chiedere agli organismi di valutazione accreditati l’attestato sul possesso di parametri minimi di equità uomo-donna in azienda. Si tratta di un ulteriore sferzata al gender gap aziendale, dopo che la legge Golfo Mosca che ha previsto nel 2011 le quote di genere nei cda nelle quotate e delle partecipate, ha attivato in questi anni un cambiamento culturale. Ne abbiamo parlato con Florinda Scicolone, giurista d’impresa e membro della Fondazione Marisa Bellisario.
Siamo improvvisamente e inaspettatamente giunti a conclusione della legislatura. Il governo Draghi, grazie al Pnrr si è impegnato verso la parità di genere consegnando lo strumento della certificazione della parità di genere. Secondo lei, in che modo la certificazione nel mondo aziendale può riuscire a contribuire al superamento del gender gap?
Da adesso in poi dobbiamo essere proiettati verso il nuovo governo, nella speranza che questo sia proficuo per il gender gap. La certificazione della parità di genere grazie al Pnrr è stato un obiettivo del governo attuale. Le aziende, da adesso, sono chiamate a certificare le politiche parietarie attraverso un’informativa annuale sulla parità di genere alle organizzazioni sindacali aziendali.
La certificazione della parità di genere non è obbligatoria, quindi secondo lei come risponderanno le aziende a qualcosa che non è sanzionabile? I tempi sono maturi affinché le imprese (la maggior parte formate da posizioni apicali al maschile) scelgano su base volontaria d’investire sulla parità di genere?
L’Italia, purtroppo, resiste ad ogni forma di cambiamento verso la valorizzazione dei talenti femminili. Il nostro è un Paese ancora con una posizione dominante al maschile, sia nel mondo delle istituzioni che nel mondo della governance. Ci sono amministratori delegati illuminati, ma sono ad oggi mosche bianche. Il mondo della governance però guarda, come è giusto che sia, al risultato del business. Quindi è importante far comprendere alle imprese che dovranno investire sulla parità di genere e cominciarla a considerare come un asset importante, driver di sviluppo del business.
Le imprese dovranno cambiare ottica e non vedere più la parità di genere come una concessione al mondo femminile, dovranno avere la consapevolezza che i talenti femminili producono business: tutte le aziende virtuose nell’empowerment women, infatti, aumentano il profitto. Dati alla mano si può constatare che dove ci sono donne nella governance i bilanci aziendali migliorano.
Quindi le imprese comprenderanno che possedere la certificazione di parità di genere può essere producente?
Sì, sono convinta che la certificazione di parità di genere produrrà un’obbligatorietà di fatto. L’impresa sia pubblica che privata analizzerà gli effetti pratici della certificazione e ben presto, accorgendosi dell’effetto premiale (come l’occasione di partecipare ai bandi nazionali ed europei), risulterà conveniente possederla. Successivamente, si innescherà un processo di competitività: gli stakeholders preferiranno investire su chi dimostra un cambiamento sostenibile e complici di questo cambiamento saranno gli obiettivi dell’azienda 2030 Onu dove la parità di genere è un risultato da mettere in pratica anche nel mondo aziendale entro il 2030. Il programma della parità di genere della Commissione europea poi si dovrà realizzare entro 2026.
L’impegno verso la parità di genere è europeo e internazionale, le imprese ad oggi ne sono consapevoli. L’accordo sulla direttiva della Commissione europea sulle quote di genere nei cda ne è un esempio. Quindi non seguire questo trend importante e non cogliere questa occasione porterebbe all’esclusione (delle aziende) dal mercato. Le imprese rimarrebbero penalizzate, non da una sanzione per aver violato un obbligo, ma dalla competitività stessa.
Quale dovrebbe essere uno dei principali obiettivi da eseguire per la parità di genere con la nuova legislatura?
La costituzione di un’Authority per le pari opportunità, una delle battaglie storiche di Lella Golfo, presidente della Fondazione Marisa Bellisario, che per prima in Italia presentò un progetto di legge. Sono certa che nella prossima legislatura ci saranno donne parlamentari che riprenderanno questa battaglia e saranno fautrice di tale traguardo normativo.