L’aumento dei tassi di interesse potrebbe aver avuto un altro effetto inaspettato sul mercato, ovvero quello di deterrente per le fusioni e acquisizioni tra le banche europee. E secondo il Financial Times, che ha interpellato alcuni player del settore, il rallentamento sarebbe di almeno due anni a causa delle norme contabili che porterebbero in basso il valore delle operazioni.
All’inizio la situazione sembrava opposta: tassi più elevati avrebbero potuto offrire più liquidità per le acquisizioni, poiché le banche beneficiavano di margini migliori e di un aumento del valore delle loro azioni grazie al miglioramento della redditività. Inoltre, il salvataggio di Credit Suisse sostenuto dallo Stato svizzero avrebbe potuto innescare operazioni simili tra altri campioni nazionali.
Tuttavia, le banche in tutta Europa detengono ampi portafogli di prestiti corporate e al consumo, oltre al debito pubblico, che sono stati venduti in un contesto di tassi molto più bassi. Come parte di qualsiasi acquisizione, tali attività dovrebbero essere rivalutate al valore di mercato e valutate significativamente più basse rispetto ai nuovi prestiti emessi a tassi più vantaggiosi.
La questione rivalutazione
In base alle norme contabili internazionali, infatti una volta completata un’acquisizione gli attivi e i passivi dell’azienda acquisita vengono rivalutati al valore di mercato in un processo noto come allocazione del prezzo di acquisto. Se un’azienda viene acquistata per un importo inferiore al valore dei suoi attivi, come avviene nella maggior parte delle banche europee, l’acquirente beneficia di un guadagno contabile noto come goodwill negativo o badwill. Ma tale guadagno può essere azzerato se il valore degli attivi diminuisce come parte del processo di allocazione del prezzo di acquisto.
“Con l’aumento dei tassi, si verifica un adeguamento negativo del valore equo quando si rivalutano gli attivi al valore di mercato al momento dell’acquisizione e una parte del badwill evapora”, ha spiegato al quotidiano britannico Dirk Lievens, head of European Fig presso Goldman Sachs. “Se stai acquistando una banca a sconto rispetto al valore contabile e l’allocazione del prezzo di acquisto riduce tale valore, ciò che pensavi fosse capitale, cioè il badwill, non è più capitale. Dovresti quindi incrementarlo, il che rende più complicato fare operazioni nel settore bancario al momento”.
Da oltre un decennio, quasi tutte le principali banche europee sono state oggetto di sconti rispetto al valore contabile dei loro attivi mentre lottano con costi elevati e bassa redditività. Non a caso, investitori, regolatori e politici hanno tutti chiesto una consolidamento nel settore frammentato, esplorando molteplici combinazioni, come l’acquisizione di Société Générale da parte di Unicredit o l’assorbimento della sua rivale nazionale Commerzbank da parte di Deutsche Bank.
Nessuna di queste operazioni è andata in porto fino a quando Ubs ha dovuto assumere il controllo di Credit Suisse a marzo. Tale operazione è stata soggetta a un adeguamento del fair value di 13 miliardi di dollari, riducendo il badwill gain di Ubs, come riferito dalla banca questo mese.
“La combinazione di tassi che aumentano rapidamente e il trattamento contabile del fair value hanno creato un ostacolo a breve termine per le fusioni e acquisizioni bancarie”, ha poi commentato Andreas Lindh, co-direttore del gruppo delle istituzioni finanziarie EMEA in JPMorgan. “Le norme contabili stabiliscono che gli acquirenti devono apportare adeguamenti del valore equo agli attivi e ai passivi degli obiettivi al momento dell’acquisizione, una questione particolarmente evidente per i prestiti a lungo termine e i titoli detenuti fino a scadenza scritti o acquisiti a tassi significativamente più bassi.
Il caso Cerberus e la divisione consumer di Hsbc
Nel giugno 2021, quando il tasso di interesse della Banca centrale europea era zero, il private equity statunitense Cerberus ha accettato di acquistare la divisione di consumer banking di HSBC in Francia per un simbolico euro. Tuttavia, il mese scorso la banca ha avvertito che Cerberus potrebbe ritirarsi dall’accordo perché “aumenti significativi e imprevisti” dei tassi fino al 3,5% avrebbero comportato “un significativo impatto contabile del fair value sull’acquisizione” provocando un aumento notevole dell’importo del capitale richiesto.
La principale questione riguarda i prestiti a lungo termine ai consumatori, in particolare i mutui a 30 anni, che costituiscono la maggior parte del portafoglio di prestiti di 21,5 miliardi di euro, secondo una fonte informata della situazione interpellata dall’Ft.
Cerberus dovrebbe quindi rivalutare al valore di mercato i mutui che sono stati emessi con tassi di base pari a zero, lasciandoli valutati considerevolmente più bassi rispetto a quelli attualmente emessi a tassi di interesse più elevati. Pertanto, al fine di ottenere l’approvazione regolamentare per l’accordo, dovrebbe iniettare più capitale sin dal primo giorno. Sebbene nel tempo il portafoglio di mutui potrebbe diventare più redditizio poiché viene rinnovato e rivalutato, l’impatto iniziale significativo potrebbe indurre Cerberus a ritirarsi.
Le due parti sono in trattative per cercare di mitigare l’impatto del capitale per Cerberus con una struttura alternativa dell’accordo, ma una persona coinvolta ha descritto l’accordo come “in bilico”.
No M&A, si a buy back e dividendi
Sebbene l’aggregazione resti la strada preferibile, dati i vantaggi che crea in termini di “stazza”, l’aumento dei tassi a ben vedere sta portando ad altre vie e il capitale in eccesso non sta venendo usato per le operazioni ma per pagare dividendi e riacquistare le proprie azioni.
L’esempio è quello di Unicredit. Il ceo Andrea Orcel ha evitato finora – volente o nolente – diverse potenziali operazioni sia a livello nazionale che internazionale, affermando che nell’attuale mercato nessuna ha senso. Invece, con le azioni di UniCredit che si scambiano con uno sconto del 40% rispetto al valore contabile, Orcel ha incrementato ripetutamente un programma di buyback di azioni per un totale di oltre 3 miliardi.
Restando in Italia, Unicredit non è l’unica banca a riacquistare il proprio capitale. Nelle ultime settimane sia Banco Bpm sia Bper hanno ottenuto in assemblea il via libera per programmi di riacquisto di azioni proprie mentre Intesa Sanpaolo ha votato un piano di riacquisto azioni a favore dei piani incentivanti dei dipendenti dopo aver concluso da poco un buyback con due tranche da 1,7 miliardi di euro che hanno portato a 3,4 miliardi complessivi l’esborso per l’acquisto di azioni proprie.