Un aumento dell’aliquota sul guadagno da investimenti in criptovalute che arriva al 42%. Nella legge di bilancio 2025 anticipata dal governo c’è anche questo e i rappresentanti del settore non ci stanno. Non è la prima volta che le cripto finiscono nel mirino del fisco. Già dalle legge di bilancio del 2023 le plusvalenze sono state tassate al 26% come le altre rendite finanziarie compresi i dividendi delle società quotate o le obbligazioni emesse dai privati ma ora l’aliquota proposta – che dovrà passare il vaglio del Parlamento – è tra le più alte nel Paese.
“L’imposta sostitutiva al 42% prevista per il 2025 sarebbe fiscalmente discriminatoria e quindi iniqua, probabilmente anche incostituzionale- ha commentato Ferdinando Ametrano, amministratore delegato di CheckSig e tra i più grandi esperti di valute digitali-. Come tutte le idee mal concepite, avrebbe l’effetto dannoso di far fuggire i capitali cripto dall’Italia, creando distorsioni di mercato e inducendo gli investitori a realizzare il capital gain entro la fine del 2024 con un danno per l’industria italiana che fornisce servizi in ambito cripto enorme”.
Dice la sua anche Massimo Siano, Managing Director e responsabile per il Sud Europa di 21Shares: “Questa misura creerà più paura tra gli investitori e rischi di fuga di capitali che entrate per il nostro Erario. Come riportato recentemente dalla Consob, il 18% degli investitori italiani detengono criptovalute nei loro portafogli. Anche se non c’è nessun aumento sul capital gain degli Etp sulle criptovalute – i prodotti della mia società – non esulto per questo provvedimento. E non esulterei neanche se avessi solo bond. Chi mi assicura che nel prossimo futuro non sarà lo stesso anche per altri strumenti finanziari e classi di attivo?”
“A rischio nostra competitività mondiale, ma pronti a collaborare”
Se da un lato condanna (anche lui) la nuova tassazione, dall’altra Massimo Di Rosa, Country Director di Bitpanda in Italia, apre a una collaborazione con le istituzioni italiane per trovare “soluzioni che bilancino le esigenze fiscali con la promozione dell’innovazione”. Spiega infatti il manager: “Un dialogo aperto e costruttivo è fondamentale per permettere al nostro Paese di sfruttare appieno il potenziale delle criptovalute e delle tecnologie sottostanti, mantenendo al contempo la competitività con i mercati internazionali”.
Pronto al dialogo dunque. Ma anche critico nei confronti della prospettiva dell’aumento della ritenuta sulle plusvalenze di Bitcoin. Continua infatti Di Rosa: “Comprendiamo l’esigenza di recuperare risorse per importanti misure sociali, ma serve una riflessione più ampia e profonda sulle conseguenze a lungo termine. Un aumento della tassazione, come quello proposto, non solo potrebbe disincentivare l’investimento in questi asset, ma rischierebbe di creare barriere all’ingresso per chi desidera partecipare a questo nuovo modello di finanza digitale, apprezzato soprattutto perché considerato più democratico e accessibile”.
Aggiunge infine Di Rosa: “Bitcoin e le altre criptovalute non sono semplici asset speculativi, ma tecnologie con il potenziale di rivoluzionare il sistema finanziario, rendendolo più sicuro, trasparente e inclusivo. Una tassazione così elevata rischierebbe di provocare una brusca frenata per lo sviluppo di queste innovazioni, minando la competitività dell’Italia non solo a livello europeo, ma anche globale. Mercati come Asia e Medio Oriente, tra gli altri, stanno adottando politiche fiscali più favorevoli, creando un contesto molto più attrattivo per gli investitori”.
“Incentivo a spostare capitali verso Paesi con regimi fiscali più favorevoli”
Anche ItaliaFintech, principale associazione che riunisce le più innovative realtà del fintech in Italia, esprime forte preoccupazione per la proposta di aumento della tassazione sulle plusvalenze da criptovalute, che passerebbe dal 26% al 42%. “Un aumento forte a solo un anno di distanza dalla sua regolarizzazione fiscale dimostra ancora una volta la volatilità del sistema regolamentare a scapito di chi in Italia investe in innovazione”, si legge nella nota. Inoltre, “i capitali italiani rischiano di essere investiti comunque su queste asset class all’estero, incentivando di fatto lo spostamento di capitali verso Paesi con regimi fiscali più favorevoli ma senza nessun potere di vigilanza da parte del nostro Paese”.
All’estero infatti la situazione è ben diversa. Un esempio su tutti: questo mese gli Emirati Arabi Uniti hanno esentato le transazioni di criptovalute dal pagamento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), allineando il settore a diversi servizi finanziari tradizionali. La modifica, che entrerà in vigore il 15 novembre, si applica retroattivamente alle transazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2018. L’esenzione chiarisce per la prima volta che l’imposta non si applica ai beni digitali ma riguarda lo scambio e il trasferimento di proprietà di tali beni, il che significa che tutti i trasferimenti e le conversioni di criptovalute saranno ora esenti dal pagamento dell’imposta del 5%.
Criptovalute, quale mercato
La misura andrebbe a colpire, secondo i dati dell’Organismo Agenti e Mediatori (Oam), un mercato che a giugno 2024 in Italia registrava solo 1.947.887 clienti con un valore medio di 1.645,76 euro per cliente. Pertanto, il mercato delle criptovalute, ancora relativamente piccolo, rischia di subire un rallentamento a causa di questo incremento fiscale. La crescita del settore, che nel 2024 ha registrato un aumento del 4%, potrebbe essere compromessa, limitando fortemente le prospettive di sviluppo e innovazione.
Con una tassazione al 42%, l’Italia avrebbe uno dei regimi più elevati in Europa, accentuando la disparità rispetto ad altri strumenti finanziari, inclusi gli strumenti derivati con profili di rischio comparabili che sono tassati al 26%.
“Settori ad alto impatto di innovazione tecnologica come quello delle Crypto attraggono soprattutto giovani laureati con forti competenze tech, e sono un bacino potenziale di sviluppo e innovazione da custodire in Italia –dichiara il presidente di ItaliaFintech, Michelangelo Bottesini -. Questa misura rischia di incentivare ulteriormente la propensione di giovani brillanti laureati a cercare all’estero sbocchi lavorativi stimolanti nei contenuti e attrattivi in termini di percorso di carriera”.
Ha collaborato Giacomo Iacomino