I colossi del petrolio stanno cambiando l’iter di tutte le loro spedizioni navali: Shell, Qatar e British Petroleum non transitano più per il Mar Rosso ma deviano verso l’Africa meridionale. Un cambio di rotta che sta causando inevitabilmente un’impennata dei prezzi del trasporto marittimo: tra i vari effetti, i tempi che si allungano, circa quattro volte quelli normali, una carenza di capacità e porti congestionati.
Potenzialmente una tempesta perfetta per le catene di approvvigionamento, come quella che si verificò nel periodo post Covid del 2021, un’impennata della domanda che andò a infiammare l’inflazione, poi peggiorata con l’invasione della Russia in Ucraina, costringendo le banche centrali ad alzare i tassi.
Stavolta è diverso. Si tratta di una regione, il Mar Rosso, colpita dai ripetuti attacchi alle navi cargo da parte degli Houthi, i ribelli sciiti che controllano metà Yemen come ritorsione all’invasione israeliana della Striscia di Gaza. Ed è una delle rotte più importanti al mondo: collega il mar Mediterraneo all’oceano Indiano, essenziale per le merci scambiate tra Europa e l’Asia, da qui viene trasportato il 12% del petrolio e l’8% del gas naturale via mare.
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Ma quindi c’è da preoccuparsi?
La risposta è duplice. Nel senso che forse non c’è tanto da preoccuparsi per la supply chain. Rispetto al periodo post pandemico c’è molta meno domanda di beni e di prodotti del settore manifatturiero e ce n’è molta più per quanto riguarda i servizi.
Questo significa, come riportato anche da Schroders, tra i principali gruppi finanziari globali con un patrimonio gestito e amministrato pari a 846,1 miliardi di dollari, all’interno di un report firmato da David Rees, senior emerging markets economist, che in generale l’economia globale è molto più equilibrata rispetto a due anni fa.
Potrebbe suscitare al contrario preoccupazione un eventuale aumento dei prezzi dell’energia. L’analista di Schroders fissa un possibile target del petrolio in area 120 dollari al barile, oltre a una possibile stagflazione, cioè: risale l’inflazione ma si fermano produttività, salari e crescita. E in questi casi le banche centrali non tagliano i tassi, tutt’altro: li alzerebbero nuovamente.
Mar Rosso, ma il prezzo del petrolio sale o scende?
Solo che il prezzo del petrolio, in questi giorni, è sceso. Questo perché il rallentamento della Cina continua. Anzi, il tasso di crescita del Pil di Pechino non è mai stato così basso dal 1989. E se la Cina produce meno, acquista meno petrolio e importa meno merci. Questo significa che in buona sostanza oggi i problemi della Cina pesano più della crisi in Medioriente.
Le cose cambierebbero in caso di escalation, ad esempio con un coinvolgimento nel conflitto anche di altri Paesi, in primis l’Iran. Anche se per certi versi un escalation è già in corso. In fondo gli scontri sul Mar Rosso sono direttamente collegati al conflitto tra Israele e Striscia di Gaza. E anche Teheran, come riporta anche la Bbc, ha iniziato a muovere attacchi militarmente rilevanti contro Iraq e Pakistan.