L’Italia come il Giappone. Il nostro debito pubblico eccessivamente alto, i Btp e la scarsa propensione a investire dei cittadini potrebbero essere uno la soluzione dell’altra. Nel segno del Sol Levante. E della “giapponesizzazione” del debito. Sì perché il governo Meloni starebbe guardando proprio in questa direzione. In che modo?

Domanda: e se tutto l’imponente risparmio dei cittadini italiani venisse convogliato verso il debito nazionale? Magari attraverso le partecipazioni alle emissioni obbligazionarie? L’esecutivo ci sta pensando per far fronte alla prossima uscita dal Quantitative Easing da parte della Bce, che ancora oggi detiene gran parte del debito pubblico italiano: degli oltre 2.740 miliardi di euro dei debito pubblico italiano, in mano alla Banca centrale europea ce ne sono all’incirca 733 miliardi, tra programma Pspp, bilancio di Francoforte -il cui alleggerimento si completerebbe entro l’inizio del 2023- e bilancio pandemico. Nel timore, evidentemente, che una volta uscita di scena la Bce, i titoli di stato italiani possano “passare di moda” in un periodo in cui la propensione al rischio è ancora piuttosto basso, tra inflazione e recessione.

Spiega l’analista indipendente Andrea De Gaetano: “l’attenzione alla Bce è dovuta all’ultimo appuntamento dell’anno di giovedì 15 dicembre, in cui ci si chiede se Lagarde svelerà qualche novità sul Quantitative Tightening, oltre che sui tassi. Ovviamente quando l’istituto centrale sarà fuori dai giochi sorgerà la domanda: chi prenderà il suo posto, anche se i titoli acquistati nel Pepp saranno reinvestiti almeno fino alla fine del 2024, quindi da questo punto di vista la percezione della Bce è ancora accomodante”.

Btp made in Italy? “Sui nostri conti correnti c’è sette volte il Pnrr”

Le esperienze passate con il Btp Italia e il Btp Futura, sulla carta, farebbero ben sperare. Perché entrambi gli strumenti, promossi dal governo Draghi, hanno sempre raccolto un forte interesse da parte dei risparmiatori. Stavolta però l’idea è di spingersi ben oltre: ricomporre una base di investitori più solida possibile attraverso nuove metodologie di emissione, uno strumento cioè riservato solo ai cittadini italiani con vantaggi fiscali, e zero tassazione sui redditi da capitale.

Fonti della Lega hanno riferito recentemente sui quotidiani nazionali l’idea di riportare i cittadini a investire. Perché, ha detto a “La Repubblica” il parlamentare e tesoriere del Carroccio Giulio Centemero: “Sui conti correnti il contante in italia è pari a sette volte il Pnrr”. Diventa chiaro che collocarne anche solo la metà sull’economia reale potrebbe avere un effetto considerevole.

“Debito pubblico made in Italy? Una chiamata alle armi”

Secondo Angelo Drusiani, consulente di Banca De Rotschild, si tratterebbe di una vera e propria ‘chiamata alle armi’: “Sì, nel senso che se invece di tenere i soldi in banca gli italiani li mettessero sui btp capirebbero che potrebbe essere il bene di tutti. Non dimentichiamo che il denaro dato in prestito allo Stato in cambio di obbligazioni vengono poi spesi per generare benessere e ci viene restituito con un un tasso d’interesse maggiore. Il bene del paese è il bene di tutti. E il legame con il paese potrebbe diventare più profondo e compatto rispetto a prima”.

Da escludere, sempre secondo Drusiani, il rischio che il mercato dei Btp cada senza la Bce: “Il rendimento del decennale italiano (grafico sopra NdR) è sempre interessante, la domanda è destinata a rimanere sostenuta, soprattutto tra i fondi pensione. E anche se ci fosse questo rischio, è un problema che riguarda anche gli altri paesi”. Non bisogna dimenticare che se lo spread è sotto i 190 punti base, il motivo sta anche nel fatto che il rendimento del bund tedesco in questo periodo è piuttosto alto, vicino al 2% ai massimi dal 2011.

Btp autarchici “per non dipendere più dagli investitori esteri”

Insomma, l’obiettivo potrebbe essere un debito pubblico made in Italy. E un Btp autarchico. Il governo Meloni è al lavoro su questo fronte ed è una sorta di “imitation game” che guarda al modello del Sol Levante. Già perché il debito nipponico, il più alto al mondo (il rapporto rispetto al Pil è del 262%, più del Sudan e delle Grecia, mentre in Europa l’Italia, con il 150,8% vedi grafico sopra, è seconda) è completamente in mano ai giapponesi. O quasi.

Per la precisione è il 90% del debito pubblico a essere detenuto da risparmiatori residenti. E questo rende la situazione finanziaria molto più stabile, vedi il rendimento del decennale nipponico, attorno allo 0,2%. Più stabile rispetto a chi? All’Italia, per esempio, storicamente in balia alla volatilità sia per quanto riguarda l’azionario, sia per i titoli di stato. “Il governo attuale vorrebbe seguire il modello giapponese in modo da non dipendere più dagli investitori esteri, specie nel momento in cui verrà meno il primo compratore dei Btp, ovverosia la Bce” conclude Andrea Cartisano di Giotto Cellino Sim.

Ma come ha già ricordato Angelo Drusiani, il rendimento dei Btp è storicamente maggiore rispetto a quello di molti altri paesi europei. Aggiunge Andrea De Gaetano: “I Btp autarchici sono volti a svegliare l’interesse degli italiani verso l’investimento nel debito sovrano. Tuttavia né la risalita dei rendimenti, né l’inflazione a doppia cifra sono bastati per smuovere la liquidità che giace sopita sui conti degli italiani”. 

Il Giappone tra debito pubblico e inflazione

C’è da dire che il modello giapponese non è imitabile nel breve periodo. Per motivi strutturali. La pressione fiscale è molto bassa, ben differente rispetto a quella che c’è in Italia, basti pensare all’Iva, che nel nostro paese è più del doppio. Il debito nipponico finanzia in parte minore la spesa corrente, specie per la pensione. E infatti i lavoratori giapponesi smettono di lavorare otto anni dopo, di media, rispetto agli italiani -tradotto: il sistema pensionistico pesa molto meno sulla spesa. Inoltre, la Bank of Japan è rimasta ormai l’unica a mantenere i tassi bassi, nell’ambito di una strategia di espansione monetaria che permette all’istituto di mantenere l’inflazione tra le più basse al mondo: +3,7% (comunque ai massimi dal 2015).

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