Tacca! Come recitava il Barone Rosso nel film: Superfantozzi. Una sola tacca divide il rating di Moody’s rivolto al Btp italiano dal giudizio che equivale a “junk”, spazzatura. E il 19 maggio non è poi così lontano, giorno in cui l’agenzia tornerà a esprimersi proprio sul nostro Paese. E se sarà declassamento, per il Governo Meloni saranno guai.
Guai perché un rating che equivale a Non-investment grade speculative/High Yield, alto rendimento e quindi alti anche i costi di finanziamento del debito, contemporaneamente a una crescita lenta, “anemica” come la definisce Moody’s stessa, e alla politica monetaria della Banca centrale europea (spieghiamo tutto qui) che coincide con un rialzo dei tassi destinato a proseguire, come direbbe qualcuno: “Non è un buon inizio” per quanto riguarda il 2023.
In fondo, ricorda l’agenzia, l’Italia è attualmente l’unico paese sovrano con rating Baa3 e outlook negativo. Insomma, traballante da quasi un anno. A conferma che uno spread sotto controllo non basta. Specie se il rendimento dei Btp viaggia sui massimi del 2013 e quello dei Bund su livelli che non si vedevano dal 2011. In una situazione dunque già per niente rassicurante, prima è arrivata la sberla di Goldman Sachs: “Scommettete al ribasso sul decennale italiano” ha fatto sapere la banca d’affari. “Molto Meglio i titoli di stato spagnoli” con tanto di previsione al rialzo per quanto riguarda lo spread, destinato ad aumentare almeno fino a 235 punti base entro la fine dell’anno, ben oltre la soglia di attenzione, che si aggira attorno ai 200 pb.
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La doppia sberla Goldman Sachs – Moody’s
Dopo Goldman Sachs, come detto, è toccato a Moody’s fare la parte del professore che agita il ditino in faccia a chi non ha fatto i compiti a casa. I titoli di stato italiani rischiano di finire sotto pressione perché non c’è soltanto la crescita anemica, i maggiori costi di finanziamento dovuti al rialzo dei tassi della Bce e la fiducia nell’obbligazionario italiano che puntualmente viene meno nel momento in cui nell’aria si comincia a percepire un peggioramento di una crisi economica già in atto (qualcuno ha detto -di nuovo- recessione? Qui vi spieghiamo perché se ne parla ancora).
A tutto questo si aggiunge infatti il tema del Pnrr. Preoccupa in particolare l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Preoccupa la debole capacità amministrativa, in particolare quella di alcuni governi locali. Preoccupano i limiti di capacità nei mercati del lavoro e dei prodotti “in aggiunta all’inflazione elevata (ah già, l’inflazione! NdR) e al fatto che alcuni progetti si sono rivelati molto più ambiziosi di quanto originariamente previsto” spiega Moody’s. Non ci sono riferimenti al ponte sullo stretto (noi ne parliamo qui) ma c’è chi sospetta che l’agenzia faccia riferimento proprio a tal progetto.
Cosa succede con il rating spazzatura
Ricapitolando: Pnrr e incapacità di attuarlo, crescita bassa, debito pubblico alto, inflazione, rialzo dei tassi, fiducia. Un mix letale in grado, secondo gli analisti dell’agenzia, di trasformare i nostri titoli di stato in “spazzatura”, il che renderebbe impraticabile l’investimento in Btp per gli investitori istituzionali, come i grandi fondi pensione o le multiazionali finanziarie, e non permetterebbe più alla Bce di accettare titoli del debito italiano per operazioni bancarie e monetarie.
E un debito difficile da finanziare sui mercati ha una sola conseguenza. Un aumento, a volte spropositato, dei rendimenti (all’epoca della crisi del debito il Btp superò il 7%), e quindi anche dei costi che andrebbero a pesare sulle casse del governo.
In un report, Moody’s ha scritto che 28 paesi sono diventati fallen angels dal 1995 a oggi (cioè Paesi emittenti diventati “junk” ). Di questi, solo 12 hanno recuperato il lviello di investment grade. Ci hanno messo fra i 3 e i 14 anni. e lo hanno fatto dopo aver avviato importanti trasformazioni, a partire dalle riforme strutturali.
Qual è la situazione oggi
“Il sentimento fra gli operatori economici è ancora positivo, anche se si comincia a vedere un rallentamento” spiega Moody’s. Piazza Affari rimane tra gli indici più vivaci nel vecchio continente. Il rallentamento di cui parla l’agenzia può riferirsi all’inflazione rimasta alta, allo spread che nella seconda metà di aprile si è avvicinato più ai 190 punti base. E a un obiettivo di crescita del Def, segnato all’1%, che appare sempre più ambizioso, anche se ancora non irrealizzabile come fanno notare alcuni analisti.
Tuttavia il rendimento del Btp resta, per il momento, ancorato al 4,3% (grafico sopra) che è sì poco distante dai valori di dieci anni fa in piena crisi del debito, ma è anche vero che la speculazione appare ben lontana. Inoltre, S&P Global Ratings, la maggiore agenzia di rating mondiale, non ha applicato alcun declassamento al proprio giudizio rivolto all’Italia venerdì scorso. In questo caso, insomma, nessuna tacca. E a giudicare dal finale della scena del film Superfantozzi, qui sotto, molto meglio così.