Chi si avvicina ad Alessandria, in Piemonte, dopo aver superato la cittadina di Spinetta Marengo, potrebbe raggiungere lo stabilimento Paglieri a occhi chiusi, utilizzando come unico senso per l’orientamento l’olfatto.

Basta affidarsi all’inconfondibile profumo del prodotto più noto della Paglieri, il talco Felce Azzurra, e si raggiunge lo stabilimento che si estende su una superficie di 76mila metri quadri. L’azienda da oltre 140 anni produce e commercializza un’ampia gamma di prodotti che vanno dalla cosmesi per il corpo fino alla cura del bucato e della casa. Oggi li distribuisce in oltre 50 Paesi, attraverso la GDO e i negozi specializzati, impiega 150 dipendenti. L’ultimo fatturato disponibile, quello del 2021, ha raggiunto i 150 milioni di euro.

“Questo stabilimento è l’ultimo che abbiamo realizzato, nel 1961, e tra le nostre priorità c’è quello di riammodernarlo”, precisa Debora Paglieri, presidente e amministratore delegato di Paglieri spa nonché amministratore delegato di Selectiva spa e della Holding Immobiliare spa.

Entrata nel 1989 nell’area tecnica “come voleva la tradizione”, Paglieri rappresenta la quinta generazione dell’impresa nata nel 1876 in Alessandria, per opera del bisnonno, Luigi Paglieri.

Il papà era profumiere, un cosiddetto ‘naso’, il professionista che realizza i profumi. “Da bisnonno a nonno quel ruolo era per il primogenito maschio – racconta l’imprenditrice -. Io sono entrata come capoarea e rappresento la quinta generazione. La sesta? È già pronta mia figlia, che dopo una laurea in Economia aziendale e uno stage a Parigi, è già in consiglio di amministrazione.

Ha sempre pensato che sarebbe entrata in azienda?

Non ho mai pensato ad alternative, andavo nell’ufficio del nonno e poi del padre già a cinque anni a giocare con gli scarti della plastica. A casa si parlava di azienda e in azienda di famiglia. Il profumo è sempre stato un legame molto forte, un ponte che mi ha attratto in maniera piacevole e viscerale.

Qual è stato il suo percorso?

Prima nell’area tecnica e dopo nel marketing. A un certo punto ho capito che i due settori avevano grossi problemi di comunicazione: c’era bisogno di una sorta di mediazione culturale. Creatività, innovazione, ascolto del consumatore: il product manager nella metà degli anni ’90 era una figura nuova e io assunsi quasi naturalmente questo ruolo.

Come si proietta nel futuro un’azienda nata nel 1876 senza snaturarla?

Poche regole, ma inderogabili. Osservare sempre i consumatori nei punti di vendita avendo in mente un panel ben preciso. Affidarsi a manager, che portano metodo laddove la famiglia ha la libertà di ideare e seguire la strategia. Abbiamo molto svecchiato il target: oggi il 50 per cento dei nostri clienti ha meno di 35 anni. Nello stesso tempo, abbiamo mantenuto reputazione e notorietà del brand altissima, sfioriamo il 97 per cento.

Il momento in cui avete corso dei rischi?

Nel 2002, quando abbiamo esteso le referenze alla cura del bucato. Erano in gioco diversi fattori, la riconoscibilità, il marchio, il posizionamento. Il rischio di creare confusione nel cliente era alto. Oggi l’ammorbidente vale il 50 per cento del fatturato. E poi quando abbiamo introdotto la nuova profumazione con Felce Azzurra Natura. A Londra trovammo una linea da bagno che per la prima volta sfruttava il concetto dell’aromacologia, una pratica secondo la quale la sola inalazione di una fragranza o essenza agisce andando a rilassare il sistema nervoso e a influenzare positivamente l’umore. Creare altre profumazioni oltre a quella iconica poteva essere rischioso invece fu un successo e oggi abbiamo circa quattordici referenze di bagno.

Quanto conta la comunicazione?

È fondamentale. Il colore che è passato alla storia, un azzurro tra il pervinca e il glicine non è un pantone generico ed è brevettato. Negli anni ‘30 facevamo il Carosello, i nostri manifesti erano firmati Boccasile, tra le nostre testimonial Loredana Bertè, Ornella Vanoni, Marcella Bella.

Quali sono le vostre strategie di crescita?

Partiamo dall’assunto che crescere dimensionalmente è determinante. Ci muoviamo anche attraverso M&A in Italia e all’estero, come l’acquisizione del marchio Schiapparelli, a base di probiotici. Puntiamo sulla sostenibilità etica, sociale, ambientale, oggi imprescindibile. Crediamo nella digitalizzazione, tanto che nel 2018 abbiamo vinto il Premio Smau.

E il futuro?

Abbiamo da poco ultimato la redazione di un documento molto corposo, Future Vision, che contiene tutti i nostri progetti dei prossimi dieci anni. Tra i primi step proprio la ristrutturazione dello stabilimento storico, che però sarebbe meraviglioso che rimanesse un enorme, efficace, esempio di marketing olfattivo. Eravamo in procinto di concludere una operazione di M&A all’estero, in Francia, ma data la situazione contingente, con l’aumento del costo di materie prime, energia e logistica, abbiamo preferito conferire maggiore stabilità al capitale, con il consolidamento delle quote associative. Mai come in questo momento storico guardare al futuro significa tenere conto della complessità del presente.

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