Ci affacciamo al 2023 in un contesto in mutamento. Ciò che sembrava assodato, la recessione, fa un po’ meno paura agli addetti ai lavori. Questo perché le banche centrali sembrano voler rallentare l’innalzamento dei tassi per via dell’inflazione che pare sia al giro di boa, perlomeno quella statunitense.

Le conseguenze si riflettono non solo sui mercati pubblici, che stanno scontando in maniera pesante l’era della liquidità facile e le varie crisi a partire da quella provocata dall’invasione della Russia in Ucraina, ma anche su quelli privati. In particolare qualche problema potrebbe arrivare per i private equity sul fronte della raccolta.

Qualche avvisaglia c’è. Qualche giorno fa il Financial Times riportava le difficoltà di Carlyle, fra i principali private equity al mondo, nel raccogliere i 22 miliardi di dollari che si era prefissato per quello che si pensa sarà il suo fondo più grande. Il gruppo statunitense di buyout, riporta il quotidiano inglese, potrebbe non raggiungere l’obiettivo di raccogliere quella circa entro marzo 2023, come si era prefissato, e avrebbe chiesto agli investitori una proroga fino alla fine di agosto. Secondo fonti interpellate dal giornale, il fondo avrebbe raccolto finora circa 17 miliardi di dollari.

Allo stesso modo anche Apollo Global Management ha dichiarato che ci vorrà più tempo per raccogliere il suo ultimo fondo di buyout.

Le ragioni sono facilmente intuibili.

Se negli ultimi anni i private equity hanno raccolto nuovi fondi a un ritmo record grazie al fatto che i fondi pensione e altri investitori hanno riversato somme sempre più ingenti nel settore, nella speranza di ottenere rendimenti più elevati in un’epoca di bassi tassi di interesse, adesso, con l’aumento dei tassi, molti di questi investitori sono restii nel tenere fermi i contanti sui mercati privati illiquidi. Inoltre alcuni hanno raggiunto o superato i limiti massimi di liquidità che possono impegnare nei fondi di buyout. Per il co-presidente di Apollo, Scott Kleinman, ha affermato che ciò è dovuto all'”effetto denominatore”, ossia al fatto che il valore degli asset quotati in borsa dei fondi pensione è diminuito, ma non quello delle loro partecipazioni private, lasciando una percentuale troppo alta di investimenti nei mercati privati. Anche gli investitori retail si stanno ritirando, ne è riprova il fatto che Blackstone abbia subito forti ritiri dai suoi fondi immobiliari.

Fatto sta che nel 2021 i fondi di private equity hanno raccolto un totale di 697 miliardi di dollari, la cifra più alta mai registrata, secondo i dati di Preqin, mentre quest’anno la cifra è scesa a 537 miliardi di dollari, il livello più basso dal 2015.

E in Italia? Stando agli ultimi dati disponibili di Aifi, nel primo semestre di quest’anno la raccolta si è attestata a 1,704 miliardi di euro, il -40% rispetto allo stesso periodo del 2021 che però era stato un anno record (5,7 miliardi raccolti). La cosa positiva è che è aumentato il numero di operatori, 26, cioè il 24% in più. Il che ci dice che essendo il mercato italiano ancora in fase di piena maturazione, con gli istituzionali che hanno veramente approcciato il comparto solo negli ultimi tre o quattro anni, le difficoltà nel fundraising potrebbero essere minori rispetto al panorama internazionale. Ci sono ancora tanti nuovi investitori da coinvolgere, insomma, e quindi un più ampio margine di manovra. Ma le criticità che si presentano da oltreoceano non dovrebbero essere sottovalutate. Soprattutto nell’affrontare e nel gestire il nuovo ma già strano anno che sta per arrivare.

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